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Attualità mercoledì 05 novembre 2014 ore 14:43

Alluvione del '66, i ricordi della gente

Un video di Renato Camilli e un racconto di Claudio Nencioni fanno rivivere l'atmosfera che si respirava nei tragici giorni del novembre di 48 anni fa



PONTEDERA — Un video e un racconto per far ricordare a chi c'era i drammatici giorni dell'alluvione del 4 novembre 1966 e per far capire a chi non c'era cosa visse la popolazione durante la calamità di 48 anni fa. Danni e disagi ma anche tanta solidarietà tra le persone.

Renato Camilli ha montato un video con tante foto scattate durante l'alluvione, Claudio Nencioni all'epoca dei fatti era un ventenne pieno di energia e racconta con dovizia di particolari quella che doveva essere una normale giornata. Proponiamo il video in fondo all'articolo e qui di seguito il racconto integrale di Nencioni, intitolato La mia alluvione:

Oggi è venerdì 4 novembre 1966, festa Nazionale e stamani ho l’allenamento al campo Piaggio. Sono diversi giorni che piove ma ora c’è una tregua, prendo il sacco, monto in vespa, ponte, piazzone, viale 4 novembre, viale Piaggio, parcheggio sotto la grande tettoia che introduce al campo. I commenti negli spogliatoi riguardano la situazione ambientale con l’Era in piena e l’arrivo annunciato da Firenze di una prossima ondata dell’Arno. Quando arriva da un dirigente la notizia che l’Arno sta tracimando a La Rotta e che per Pontedera sta girando una macchina che avverte la popolazione di una possibile alluvione, l’allenatore Capaccioli ci manda tutti a casa. Sta piovendo e lascio al riparo la vespa facendomi accompagnare in auto da un compagno di squadra. Si costeggia la Tosco Romagnola e all’altezza della trattoria l’Autista, ci sono degli operai che stanno mettendo dei sacchi di sabbia, perché dalle fessure del cancello, sta filtrando l’acqua dell’Arno. E’ quasi mezzogiorno e le strade vicino ai fiumi sono brulicanti da tanti curiosi e di mezzi del Comune.
Abito sul ponte dell’Era, e a pranzo oggi abbiamo i coniugi Papucci proprietari degli autobus con i quali i miei genitori Mario e Paolina, organizzano le gite turistiche. Vista la situazione anticipiamo il pranzo e mangiamo le famose lasagne al forno della Paolina, ma alcune grida che giungono da fuori ci fanno affacciare alle finestre che danno sul retro; l’acqua dell’Era sta entrando nell’orto. I coniugi Papucci ci salutano e partono per ritornare a Lari, mentre io scendo in strada in via Veneto, e vedo che l’acqua gonfia e supera le saracinesche, oppure cala dall’alto davanti a piazza Trieste, e comincia a trasformare la strada in un fiume. La casa dove abito è situata un po’ più in alto della via Veneto, siamo già sulla salita del ponte, ma l’acqua dopo aver invaso l’orto, trova una via di uscita attraverso l’andito (dove di solito parcheggio la vespa, ma che oggi è al sicuro sotto la tettoia al campo Piaggio), e sfocia a mezzo ponte per scendere in basso e invadere anche viale Italia.
Dal tocco in poi sono alla finestra con i miei genitori e mia sorella Maria, e non possiamo far altro che assistere al lento, ma costante aumento dell’altezza dell’acqua che arriva dall’Era, ma che qualcuno dice che arrivi anche dall’Arno. La radio comunica che Firenze è allagata da stamani, la gente del centro di Pontedera, viene a vedere la situazione fuori del ponte, mentre finalmente cessa di piovere. Sentiamo un grande boato, ma non capiamo bene da dove arrivi, scendo le scale e vado in cima al ponte, e insieme ad altre persone assistiamo ad un evento unico; l’Era non scorre più, anzi sembra tornare indietro…grida allarmate ci fanno capire che qualcosa è accaduto al ponte della ferrovia, e purtroppo capiamo tutto quando vediamo che l’acqua sta arrivando sul piazzone.
Le fonti ufficiali ci dicono che la rottura dell’argine sinistro dell’Era è avvenuta alle 14,30, ma il boato io l’ho sentito verso le due. Dalla sommità del ponte assistiamo impotenti ad una situazione paradossale; in Pontedera centro, l’acqua sale rapidamente, mentre fuori del ponte, l’acqua seppur lentamente, sta calando. Una barca che naviga fuori del ponte, viene fatta accostare e sollevata da molte braccia viene adagiata dalla parte di Corso Matteotti, che in un silenzio devastante, vede l’acqua raggiungere circa 2 metri. Da una radiolina a transistor, apprendiamo tutto quello che non riusciamo a vedere dalla nostra postazione, che possiamo definire privilegiata.
Niente luce o telefono, il pensiero va a coloro che abitano in centro e sono isolati; visto che oggi è un giorno festivo, avranno i viveri almeno per la cena, organizziamoci per domani.
Di buon mattino, fuori del ponte c’è solo la melma, incontro Domenico con la sua vespa e mi viene in mente la mia che credevo al sicuro, invece…,entrambi abbiamo dei parenti in centro e decidiamo di cercare provviste e stivali, che troviamo solo a Santa Colomba. Gli stivali che compriamo sono di quelli normali, bassi però per avventurarsi in centro, ma nel pomeriggio un cacciatore suo amico ci procura due paia di stivali a coscia e con l’acqua ritiratasi all’altezza di circa un metro, affrontiamo il Corso Matteotti, reggendoci al muro e avanzando con cautela arriviamo all’incrocio con via Guerrazzi, che percorriamo, incrociando anche un patino che con la sua ondata ci ha fatto tremare.
Diverse persone sono alle finestre o sui terrazzi e diamo notizie di quello che è successo; preso confidenza con gli anfibi e con il percorso ci dividiamo all’altezza di piazza della Concordia, per andare ognuno verso i propri parenti. Stupore dei miei zii Lando e Lida, che per fortuna è alla finestra e scende ad aprirmi. Dopo questo piccolo atto di irresponsabilità, dovuto ai miei 20 anni,
il mio pensiero va alla vespa, e appena posso, andrò al villaggio Piaggio. Anche la domenica 6 novembre, a circolare sono solo i mezzi del Comune o dei Vigili del fuoco, l’acqua si sta ritirando ma la melma non permette di camminare. Martedi 8, armato di coraggio e di un paio di stivali, con le chiavi della vespa in tasca, intraprendo il cammino che avevo fatto la mattina del venerdì 4.
Quando arrivo alla Montagnola, che non c’é più, vedo la casa squarciata dalla furia delle acque e l’enorme voragine al posto dell’argine, vedo il viale alberato con ai lati ancora le automobili piene di fango e ammaccate, vedo che la gente è al lavoro per salvare qualcosa, vedo che la Piaggio è diventata marrone; capisco che in questo viale l’acqua è arrivata con violenza perché è proprio di fronte alla rottura dell’argine, e quando avvicinandomi al campo Piaggio, non vedo niente davanti al muro che fa da biglietteria, mi cadono le braccia, la vespa non c’è! La cerco, domando, e alla fine la trovo vicino alle rotaie della ferrovia, al termine del campo sportivo; le chiavi mi servono per disinserire il bloccasterzo, non certo per metterla in moto in quanto invasa dal fango.
A spinta ritorno al campo Piaggio e con il permesso del mitico custode Bertini, la metto in un angolo, in attesa che le officine, alluvionate anch’esse, riaprano i battenti e fare il motore nuovo. Per tornare a casa passo dal centro e in via 1 Maggio, vedo al lavoro il mio coetaneo Mario e gli dò una mano. Anche nei giorni seguenti, torno in quel luogo dove il suo babbo ha una torrefazione di caffè e molti sacchi sono rimasti sott’acqua, e prima di buttarlo via, facciamo una operazione di recupero. Insieme a Dario e Mario carichiamo su un furgone i sacchi alluvionati, li portiamo ad Alica, li laviamo con acqua corrente e li mettiamo ad asciugare sull’aia della piccola frazione. Qualcosa abbiamo recuperato ma il danno è enorme.
Tutta la città ha il solito problema, salvare il salvabile, gettare il resto che viene accumulato in luoghi precisi e portato via da camion militari. Vicino al ponte alla Navetta, vengono scavate enormi fosse, che conterranno tutti gli animali che sono morti in questa alluvione. Gli operai della Piaggio, tornano nello stabilimento per darsi da fare, senza badare agli orari, riuscendo a far ripartire la fabbrica in tempi brevi, e di lì a poco nascerà il ciclomotore Ciao.
n.c.

N.B. Ho adoperato volutamente alcuni vocaboli che nel '66 non erano ancora stati sostituiti come: allenatore e non mister, il tocco per dire le tredici, il sacco da gioco e non la borsa.


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Alluvione a Pontedera, 4 novembre 1966 - di Renato Camilli

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