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​Una società più solidale

di - martedì 10 marzo 2015 ore 10:24

La crisi che sta consumando le speranze e i progetti di milioni di persone si fa sentire con sempre maggiore durezza nel nostro paese. Sono cresciuti in questi anni in Italia i poveri in povertà assoluta, ci sono milioni di persone disoccupate e milioni di persone disponibili a lavorare ma che hanno persino rinunciato a cercare un’occupazione, perché scoraggiati. Percentuali in crescita, visto che la situazione economica del paese continua a peggiorare e le risposte che le istituzioni e tutti i soggetti economici e sociali dovrebbero elaborare restano deboli e inefficaci.

E così i genitori continuano a sostenere i figli senza lavoro, o intrattenuti/sfruttati con qualche stage gratuito o a “rimborso spese”, la cassa integrazione copre – chissà per quanto – le chiusure delle fabbriche, le mense si riempiono di italiani, le persone straniere immigrate nel nostro paese restano disoccupate e, sempre più spesso, tornano nel loro paese. Si è fermato tutto – l’economia, ma anche i desideri – perché non si vedono prospettive. E la paura attanaglia non solo i più poveri, visto che negli ultimi dieci - quindici anni i redditi medi sono stati falcidiati, perdendo una parte notevole di potere di acquisto. Tanti sono i vulnerabili, coloro che rischiano di scivolare in una condizione economica di grave deprivazione quando non di vera e propria povertà. Tanti, ma non tutti: i ricchi sono sempre più ricchi, non risentono della crisi. Le banche, dopo la crisi finanziaria del 2007-2008, sono tornate in breve tempo a fare soldi con i soldi. E a far crescere le disuguaglianze, davvero notevoli nel nostro paese.

L’Italia si distingue anche per un’altra performance non invidiabile: la scarsa efficacia delle proprie politiche di contrasto alla povertà. Manca uno strumento universale di sostegno, quel reddito minimo di inserimento che o si cancella o, tutt’al più, “si sperimenta”. Ma è tutto il complesso delle misure di welfare che è inefficace. L’Italia non è un paese per poveri.

Di fronte a questo scenario bisogna prendere una posizione chiara: è questa l’emergenza che dobbiamo affrontare, con politiche adeguate e innovative! Oppure decidiamo che la vita della gran parte delle persone non conta e debbono sbrigarsela da soli in attesa di una fantomatica “ripresa” di cui non si vede traccia? Sembra una domanda retorica, eppure continuiamo ad assistere a un dibattito che ruota su altre priorità, che mette in primo piano altri interessi.

Va creato un nuovo welfare, certo, e tutti coloro che hanno un ruolo in questo gigantesco sistema di tutele hanno il dovere di pensare nuovi modi di rispondere ai bisogni delle persone e non solo di reclamare soldi e interventi pubblici. Tuttavia, è chiaro che abbiamo bisogno soprattutto di una nuova economia, in cui la condivisione, la partecipazione e la solidarietà – oltre al rispetto per l’ambiente – divengono i principi cardine del sistema. Altrimenti avremo (in basso) una lotta di tutti contro tutti per accaparrarsi risorse sempre più scarse, a cominciare dal lavoro, e (in alto) una ristretta fascia di popolazione che avrà i soldi e le altre risorse – istruzione, salute … – per progettare davvero la propria vita.

Sembra uno scenario apocalittico, ma purtroppo tutt’altro che improbabile. Dunque, il punto non sono solo “i poveri”, ma la società che vogliamo, i meccanismi che regolano economia e processi sociali e culturali. Per avere meno poveri, ci vuole una società più solidale e fondata, anche in economia, su collaborazione, mutuo appoggio, condivisione. Ci aspetta un grande lavoro perché le scelte politiche attuali non sembrano adeguate. E non remiamo tutti nella stessa direzione …


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