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Il Lotti dal tazebao femminista al grazie degli ultras

I tifosi della gradinata nord hanno avuto il permesso di ringraziare con uno striscione medici e personale. Ma ai tempi del '68 scoppiò un caso

Nato 158 anni fa come ospizio e pian piano evoluto in ospedale, il Lotti di Pontedera ne ha viste tante sul suo cammino. Fino a vedersi piacevolmente addobbato sul cancello d'ingresso da un grande striscione in cui i tifosi più agguerriti del Pontedera Calcio omaggiano i medici, gli infermieri e il personale tutto, per l'impegno nella lotta al coronavirus. Gli ultras della gradinata nord ne hanno esposti tanti di striscioni, pro e contro questo e quello, per omaggiare, ricordare tifosi scomparsi o pesantemente accusare chi non gli sta simpatico. Ma c'è voluto questo maledetto virus per preparare e appendere uno striscione a favore del personale sanitario che, diciamoci la verità e tempi del virus a parte, non riceve sempre ringraziamenti.

In questi 158 anni che toccano tre secoli, il Lotti ne ha viste così tante, di intonazione sanitaria, sociale e politica, che di TuttoPONTEDERA dedicati al Lotti ce ne vorrebbero decine e decine. Ma qualcosa si può raccontare. Come il caso del cartellone-tazebao che al tempo del '68 e passa il collettivo femminista di Pontedera - erano gli anni delle donne che sfilavano in corteo mostrando a mani alzate il loro simbolo che usando i pollici e gli indici delle due mani mostrava il loro orgoglio sessuale - appoggiò alla porta dell'ospedale. 

Un cartellone-tazebao in cui erano scritte diverse cose fra le quali due che colpirono l'allora neo giornalista pagato poco e non ancora professionista. Una diceva che per essere assistiti bene in maternità 'bisognava' dare una mancia alle infermiere e l'altra, la più grave, che al Lotti nascevano bambini malformati, e peggio, perché i macchinari sanitari, tipo quelli radiografici, erano malmessi e peggio.
L'iniziativa ci sembrò pessima come pessimo ci sembrò il fatto che i dirigenti dell'ospedale non avessero rimosso subito quel cartellone, davanti al quale passavano centinaia e centinaia di persone al giorno. Decidemmo perciò di far sapere a tutti (tramite La Nazione) che le opzioni erano due: si ritirava il gazebo (cosa che fu poi fatta) oppure si punivano le infermiere e soprattutto si chiudeva il reparto radiologico.


Ebbene: verso le 10 di mattina due carabinieri chiesero al sottoscritto di seguirli spontaneamente in pretura, altrimenti si sarebbero ripresentati con un mandato di comparizione che ci sembrò anche di... cattura. Scelsi la prima opzione e ci trovammo di fronte a un giovane giudice che senza nessun preambolo mi chiese di rivelargli chi erano gli autori-autrici del tazebao. E se non li avesse detti, "sarebbero stati presi immediati provvedimenti", ovviamente a carico del sottoscritto. Spiegai però che i giornalisti non potevano, in pratica, far le spie e consigliai al giudice di chiedere ai carabinieri di indicargli gli autori, anzi, le autrici, di quel cartellone. Mi salvai così, mentre la cosa finì poi con un processo contro alcune delle femministe incriminate e sostenute da altre.
Alla lunga la questione finì, ci pare, senza vere condanne, ma crediamo che un cartellone come quello sia stato il peggior attacco di tutta la vita dell'ospedale, pur se dal punto di vista pratico bisogna ricordare i bombardamenti, che lo costrinsero a trasferirsi a Montopoli, e l'alluvione.