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​Il riso africano contro la fame nel mondo

Secondo uno studio di università di Pisa e Sant'Anna, l'Oryza glaberrima resisterebbe meglio alla siccità rispetto alle specie di riso asiatiche

I ricercatori della scuola superiore Sant’Anna e dell’università di Pisa hanno condotto degli studi sul riso africano per migliorare la sua resistenza alla siccità. Lo studio, pubblicato sulla rivista Nature Genetics, è consistito nel sequenziamento completo del genomadell’Oryza glaberrrima, conosciuto anche come riso africano, e della specie da cui ha origine: l’Oryza barthi.

La ricerca, guidata dalla University of Arizona ha visto anche la partecipazione dell’istituto di Scienze della vita della scuola superiore Sant'Anna e dell'università di Pisa.

Come spiega il ricercatore del Sant’Anna Andrea Zuccolo: “Questo tipo di riso si contraddistingue da quello asiatico per la sua resistenza alla siccità, all' elevata acidità del suolo, alla tossicità da ferro e a quella da alluminio”.

Il riso africano, infatti, non ha la stessa origine di quello asiatico. La sua addomesticazione, che ha avuto luogo fra i 6 e i 7mila anni dopo quella del riso asiatico e la sua coltivazione ha già avuto un ruolo importante nello sviluppo dell'agricoltura in Africa occidentale.

La ricerca ha permesso di ricostruire la storia evolutiva e di comprendere meglio i processi di addomesticamento e di selezione ai quali il riso africano è stato sottoposto e ha aperto nuove prospettive per contrastare la fame nel mondo. “Si stima – conclude Zuccolo - che la popolazione del pianeta raggiungerà i nove miliardi di persone nel 2050. Il bisogno di selezionare vegetali che offrano rese due o tre volte superiori alle attuali e che richiedano poche quantità di acqua, fertilizzanti e pesticidi è sempre più forte. In questo senso, il riso è una delle specie più promettenti”.