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L'airone

di - mercoledì 09 settembre 2015 ore 09:28

Questo articolo uscì, mi pare di ricordare, su La Nazione o comunque sulla stampa locale, diversi anni fa. La data è esattamente riportata. Racconta un fatto che mi accadde. Lo ripropongo non perché sia granché, ma perché, anche per me, fu una rivelazione: denotava una sensibilità che credevo di non avere. Il suo messaggio semplice parla ancora oggi, più che mai, al nostro animo e alla nostra mente.

Stavo rientrando a casa verso le quattordici, percorrevo la Toscoromagnola lungo l’argine dell’Era. Giornata grigia, invernale, stava piovendo. La passerella che mi traghettava di solito dall’altro lato del fiume era chiusa per lavori in corso. Me ne ero dimenticato e ho imprecato da sotto l’ombrello sbirciando la strada che mi si allungava. Come quando ero ragazzo e dalla Bellaria, i libri sotto il braccio legati con la cinghia, mi facevo a piedi tutto il tragitto passando dall’argine della Madonnina fino al Liceo Scientifico, allora sezione distaccata del Classico ricavata nell’ex ombrellificio Romiti, nella nuova zona scolastica di Oltrera. Ogni mattina - il "ponticulus" non c’era - in genere correndo per il cronico ritardo. Così ero diventato campione di corsa campestre della scuola. Facile correre senza libri! Guardavo la passerella compromessa dalla ruggine. Chissà perché la dipingeranno di questo stucchevole celeste, così facile a rivelare l’aggressione degli agenti ossidanti e l’inclemenza del tempo!? Riconobbi che aveva bisogno dei lavori che erano in corso e allungai il passo.

Ad un tratto l’occhio mi cadde sul pelo dell’acqua: un grande uccello grigio stava spiegando le sue ali risalendo il corso del fiume. Si posò sulla sponda e rimase sotto la pioggia a guardare la corrente. Mostrava un’eleganza e un distacco dalle cose che mi affascinavano. Cercai di avvicinarmi tagliando per l’argine e infradiciandomi le scarpe nell’erba bagnata che, falciata di recente, mi consentiva di avanzare verso il greto. L’uccello lasciava che mi avvicinassi un po’ e poi si alzava in volo, tenendomi ad una distanza prudente, immagino quella a cui gli uomini devono essere tenuti. Per seguirlo, in questo rito ripetuto e reciproco di circospetti avvicinamenti e brevi fughe, ho saltato il ponte sulla Toscoromagnola e il pranzo. Poi l’uccello se n'è volato più lontano, stanco forse di quell'invadente umana curiosità. Era un airone cinerino. Si erano già notati lungo lo Scolmatore, ma mai così vicini alla città, visibili tra le sponde ripulite del fiume.

Oggi, sempre sull’Era, vicino alle case di Forderponte, ferma e nobile sulla riva, una garzetta bianca sfidava il freddo pomeriggio. L’ho notata rientrando al lavoro dal ponte di mezzo. Ecco vorrei annunciare solo questo all’opinione pubblica, in mezzo a tanto frastuono: che è bello sapere che in città, lungo il fiume, tornano a visitarci aironi e garzette. È bene che si facciano vedere ogni tanto per ricordarci la leggerezza e la grazia. Perché sarebbe bello pensare, in vista del duemila, che Pontedera, descritta da un maldestro poeta città di motori e assessori, potesse crescere e svilupparsi a livello economico e sociale - come si dice in politica - senza recare danno alla natura e alle sue creature.

Pontedera 15 Dicembre 1998


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