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Ombre

di - venerdì 22 dicembre 2017 ore 07:45

L’immagine che accompagna e ispira questo racconto non è mia. È un disegno del sole. Che sarebbe una stella. Si dice nato sotto una buona stella e forse su questo speculano gli astrologi per i loro oroscopi. È una foto del riflesso della tenda della finestra sul soffitto di casa. L’ho scattata un pomeriggio di questi, l’ho riportata in verticale con effetti virati sul blu e qualche altro trucchetto per darmi arie d’artista. L’ho chiamata “ombre”, perché di questo si tratta. E in fondo ombre siamo, riflessi di vita sulla Terra. Siamo ombre del tempo. Noi vivi e i morti che ricordiamo. E tutti gli amori che sono passati e quelli che verranno ancora per aiutarci a vivere, non sono che ombre. Impressioni di noi, proiettate sull’esistenza, lungo i giorni, gli anni, il tempo che scorre e noi con lui.

Quella volta, quel bacio, quel morso nella carne viva, quel tuffo nel cuore, il cuore nel petto. E tutti gli incontri e gli addii come un eterno ritorno o un eterno abbandono. Il fiore che cresce, la foglia che cade, la nube che vola, il cielo che piove, il sole che splende. E l’ombra che cade nella sera che viene. Ogni giorno. E ogni notte di luna e di stelle. O cupa come le tempeste, rischiarata dai lampi e scossa dai tuoni. Le stagioni della Terra: il freddo di un inverno, il calore di un’estate, la rinascita di primavera, la triste malinconia degli autunni. E tutte le ingiustizie del mondo.

Un amico che chiama e tu non rispondi, perché risposte non hai. Per lui, per te. Non ci sono risposte, non ci sono domande. Solo sentire, sentirsi ogni tanto. Come va? Tutto bene? Sono solo parole e silenzio. La notte mi sogno. Corriamo giù per la discesa. Siamo povere bestie, creature. E in questa penombra passano le memorie che affastellano la mente: quel ristornate lungo il fiume, in Francia dove pranzammo o la diga sul mare dove si frangevano le onde che restammo a guardare non so per quanto. Quella casa sulle colline senesi e un focolare nelle notti di neve sull’Appenino. Ricordi, bagliori, sensazioni della vita che è stata.

Non mi piacciono le tende, nemmeno queste che ingentilisce il sole. Tolgono luce. Le ho messe perché piacevano a te. Con il filo che pende ci gioca il gatto che tu detesti. Il gatto combinaguai è un regalo dei figli. E alla fine tutto si tiene, le tende, il gatto, persino la vita per quello che serve. Fraintendimenti, incomprensioni, giochi di sguardi e di ombre. Il niente di ogni giorno e il tutto che diviene, tranne noi. Di questa materia sono fatti i racconti, di niente e di tutto, di giochi di parole. E delle malinconie che coltivo per sentirmi una persona per bene.

Ogni cosa si perde e torna a noi sotto forma di immagini e sentimenti. Riflessi, penombre, anime danzanti, fuggevoli istanti colti o lasciati a se stessi. Dove se ne vanno? Forse a finire lontano, lontano dove non c’è più nulla. In nessun luogo. Dove andremo anche noi a ritrovarli per sempre. Perché tutti completiamo un ciclo e forse nessuno ha compreso veramente la propria vita, né sente di aver vissuto abbastanza.

Marco Celati

Pontedera, 2 Novembre 2017

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Lontano, “dove non c’è più nulla” è Jaques Prévert, “Barbara”. La frase finale si deve al film “Non lasciarmi” di Marek Romanek, dall’omonimo romanzo di Kazuo Ischiguro.


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