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Primo Maggio

di - martedì 01 maggio 2018 ore 16:05

È un primo maggio un po’ triste, fa fresco, pioviggina. In questi giorni è stato bello, sembrava già estate. Ma oggi no. Ci vorrebbe una legge che garantisse il bel tempo nelle feste comandate, laiche e religiose. Semmai per il Natale andrebbe bene la neve. Basterebbe anche un decreto per tenere chiusi i negozi, almeno oggi. Invece stamani il supermercato è aperto. Che festa del lavoro è? Capisco i servizi essenziali. Se non avessi niente in frigo, piuttosto digiunerei. E, sopratutto, ci vorrebbe che quei poveri cristi che sono sotto una tenda da mesi per il posto di lavoro potessero andare a casa o, in campeggio, al mare. Perché un lavoro è stato trovato e restituito loro. Il lavoro, se non c’è, come si fa a festeggiarlo?

Pure alla radio parlano della Festa dei lavoratori. Con l’immagine del Quarto Stato di Pellizza da Volpedo, mi è arrivato per chat l’inno, Turati, credo: Il riscatto del lavoro dei suoi figli opra sarà o vivremo del lavoro o pugnando si morrà”. Basterebbe anche viverci. E Toscanini che il 25 Maggio 1944, al concerto di beneficienza per la Croce Rossa al Madison Square Garden di New York, dirige l’Internazionale. E sa anche le parole! Era un secolo fa.

Il Primo Maggio, da ragazzi, andavamo alle Vallicelle, in bici e ci portavamo baccelli e formaggio. Oppure sull’argine a giocare a zebra che consisteva nel saltarci addosso in fila, a cavallina e farci male, urlando zebra! Da qui il nome. Un gioco da imbecilli, come da giovani tutti, più o meno, siamo stati. Poi vennero le ragazze e si smise. Almeno la zebra, non la cavallina e non di essere imbecilli. Non sempre.

Ho nostalgia del tempo e di noi. Siamo stati soli troppo a lungo, poi la vita prende il sopravvento. La vita ci unisce e ci separa. Ci allontana da chi eravamo e da chi avremmo voluto essere. Se ne può piangere, se ne può ridere. Dicono che non si dovrebbe mai credere a un cane che zoppica, a un gatto che fa le fusa o a una persona che piange e che ride. Un centesimo per ogni nostra malinconia e saremo tutti ricchi. Ma forse di questo e per questo, ricchi siamo. E, comunque, ci si campa.

Tempo fa il Primo Maggio si andava in una villa settecentesca dei dintorni. Il parco veniva aperto e c’era la banda e il discorso di sindaco e sindacati in riscatto di antiche lotte contadine. Dal paese arrivavano bancarelle e da mangiare e bere. Veniva tanta gente. Oggi non si fa più. Proprietà e Comune sono in causa. Tutto quel verde non dovrebbe essere privato. Privato al pubblico, intendo. Ci sono piante secolari, platani che occupano un prato intero e sequoie altissime, svettanti sopra il bosco. C’erano prati di collina solatii ed era bello stare se il sole si degnava di farci visita o solo di affacciarsi tra le nubi che il vento di primavera portava lontano. Lontano da noi. Eravamo anche più giovani, per quel che ancora voleva dire.

La formula del lavoro è L= Fs. Che non è Ferrovie dello Stato, almeno non solo. Vuol dire lavoro uguale forza per spostamento. E non riguarda soltanto i pendolari. Da notare che le forze per le quali il lavoro eseguito non dipende dal percorso, sono chiamate forze conservative. Non a caso. E il lavoro eseguito da una forza conservativa, lungo un qualunque percorso chiuso, è nullo. Vale a dire: da una forza conservativa non si può ricavare lavoro, se il percorso è chiuso, ovvero se il processo è ciclico. Forse ci vuole innovazione, qualcosa che rompa gli schemi. E una scala più grande. Perché a livello microscopico, tutte le forze sono conservative. Un esempio di forze non conservative sono le forze di Resistenza. Ora e sempre! Anche la fisica, a non capirci una mazza e citarla a caso, aiuterebbe. Evviva il Primo Maggio, festa del lavoro: la forza per lo spostamento.

Pontedera, 1 Maggio 2018 


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