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Attualità domenica 09 settembre 2018 ore 06:00

La congiura della bettola amore e vendetta

Il delitto dei delitti di Pontedera, con una vittima e cinque colpevoli, apre una serie dedicata ai fatti di sangue.



PONTEDERA — La vittima del più complesso delitto d'amore e morte della storia contemporanea (che comincia nel 1789, rivoluzione francese, e tuttora prosegue) di Pontedera risale al 21 gennaio del 1927. Complesso per il numero di partecipanti al sanguinoso regolamento di conti e perché la vittima ormai predestinata aveva allegramente cenato, come spesso faceva, con i suoi diretti o indiretti carnefici prima d'esser ucciso pugnalate e gettato in un pozzo, sotto l'argine dell'Era nella zona cimiteri. Pozzo nel quale sarà ritrovato giorni dopo da due suoi cugini, che per prima cosa ritrovarono la bicicletta di Orlando appoggiata all'argine, mentre le forze dell'ordine avevano ormai interrotto le ricerche.


Nel '27 la Grande Guerra era finita da nove anni e il fascismo era al governo da cinque. Ma in questo caso le cannonate e la politica, o, se volete, il regime di Mussolini, non c'entrano nulla perché le coltellate inflitte nottetempo al ventitreenne Orlando (risparmiamo i cognomi) di Valdicava, aiuto ciclista in una bottega dell'odierna via Pisana, erano 'soltanto' una punizione per aver tradito più volte, spinto dalla sua prestanza fisica e dal suo carattere di sciupafemmine, la diciottenne Dina, cameriera ponsacchina di una bettola sulla strada per Fornacette. Un locale, come usava allora, dove si poteva cenare anche portando il pranzo da casa e spendendo solo per il vino, frequentata da Orlando e da un gruppetto di amici fra i quali spiccava, un po' come capo comitiva, un sensale di una certa età. 

E forse fu proprio lui, il sensale, a organizzare la cospirazione, tanto che la Corte d'Assise gli inflisse la pena maggiore: trent'anni. A ventitré anni fu invece condannata la moglie dell'oste, anche lei, come tutti gli altri, vogliosa di vendicare la Dina e, pare, autrice del piano vendicativo. Mentre Vasco, componente dell'allegra quanto focosa brigata, collega-inferiore di Orlando e addetto a metter toppini ai tubolari forati delle biciclette, a sua volta innamorato di Dina, ebbe soltanto tredici anni di carcere. "Perché le sue coltellate non furono mortali". E ancora: pena di undici anni per l'oste che pur partecipando alla congiura non avrebbe usato il coltello - paura? ripensamento in extremis? - e di otto anni alla stessa bella Dina con l'accusa di essere l'ispiratrice e la mandante morale del delitto. Ma mentre non si sa quanti anni passarono realmente in carcere tutti gli altri, anche allora c'erano gli sconti di pena per buona condotta, si sa invece che proprio lei, la Dina, in carcere ci morì di morte naturale quanto terribile: tubercolosi. 

(continua)

Mario Mannucci
© Riproduzione riservata


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