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DIZIONARIO MINIMO: I Savoia

di - domenica 28 gennaio 2018 ore 07:00

Dopo la guerra e il tragico ventennio della dittatura, gli italiani scelsero la democrazia e la repubblica, abolirono la monarchia e si dettero una nuova Costituzione nelle cui disposizioni transitorie fu stabilito l’esilio per re e discendenti maschi della real casa savoiarda, compromessa con il regime fascista. E questo s’è detto e ripetuto, che è sempre bene.

Poi con gli anni i vincoli dell’esilio per gli eredi Savoia sono stati allentati. Infatti “grazie” alla legge costituzionale del 2002, si sono esauriti gli effetti di alcune disposizioni transitorie ed è stato consentito ai discendenti maschi di casa Savoia di entrare in Italia e richiedere la cittadinanza. Così l’ultimo rampollo della real casa, Emanuele Filiberto, pur essendo stato abolito il valore giuridico dei titoli nobiliari, sedicente altezza reale, principe di Piemonte e di Venezia, è potuto rientrare in Italia, sopratutto in televisione. Anche se non credo risieda nel Bel Paese, combattuto com’è tra Ginevra e Los Angeles. L’abbiamo comunque potuto ammirare a Quelli che il calcio, San Remo, Ballando con le stelle, Notti sul ghiaccio e, immancabile, all’Isola dei Famosi. Solo per citare alcune delle trasmissioni a cui, dopo il doloroso esilio, ha potuto partecipare. Insomma, un simpaticone. Qualche anno fa pare vendesse spaghetti, cucinati da uno chef «con i sughi della nostra tradizione», su un furgoncino per le strade di Los Angeles: «così è nata la mia nuova iniziativa che ho ribattezzato "Prince of Venice"». E ti pareva! Venezia del resto è nota per la tradizione degli spaghetti: con prìncipi e gondole sono la morte sua.

Ed è di giorni addietro una notizia. La salma di Vittorio Emanuele III, sepolta finora nella cattedrale di Santa Caterina ad Alessandria d'Egitto, è tornata in Italia. L'aereo militare che la trasportava è atterrato all'aeroporto di Cuneo-Levaldigi. Il corpo del re riposerà accanto a quello della regina Elena, traslato da Montpellier, nel Santuario di Vicoforte, in Piemonte, in un loculo ricavato all'interno della cappella di San Bernardo. Ma, nonostante ciò, una parte della famiglia reale non è d'accordo e, a quanto sembra, è intenzionata a dare battaglia.

«Mio nonno - ha detto Emanuele Filiberto alla televisione- diceva che le salme resteranno in esilio finché non torneranno al Pantheon a Roma. Ma abbiamo sempre aspettato. Ed è da sempre. che vogliamo siano collocate al Pantheon». Aggiunge che “comunque sarà la Chiesa a decidere”, non si capisce perché, né a che titolo.Suo nonno era Umberto II in favore del quale il bisnonno, Vittorio Emanuele III, fuggito a Brindisi, aveva abdicato il 9 maggio del ‘46. Fu re solo dal 9 maggio al 10 giugno di quell’anno, “il re di maggio”. L’ultimo, in seguito all’abolizione della monarchia con il Referendum Istituzionale del 2 giugno 1946.

Il Presidente del Senato, Pietro Grasso, ha dichiarato che la traslazione delle salme reali rappresenta un mero atto di umana compassione senza alcun onore pubblico, gestito con prudenza e sobrietà. Si potrebbe tuttavia eccepire sull’uso dell’aeronautica militare. Le associazioni partigiane hanno protestato e la comunità ebraica ha espresso indignazione: l’Italia non può e non deve dimenticare chi avvallò il fascismo, le leggi razziali, la guerra, le deportazioni, nessun onore pubblico per chi porta il peso di decisioni che hanno gettato discredito e vergogna su tutto il paese. Vittorio Emanuele, un altro con quel nome, ma senza più numeri dinastici progressivi, figlio del re di maggio e padre di Emanuele Filiberto non ha mai avuto un buon rapporto con la comunità ebraica. Dichiarò che le leggi razziali non erano così terribili, solo dopo disse che erano state un grave errore. Nonostante i nobili natali è un uomo spiccio, facile alle armi, lui sa perché. È stato coinvolto con il figlio in vicende giudiziarie, ma entrambi ne sono usciti assolti. Ecco, questi sarebbero i nostri reali.

La morte di tutti è rispettabile anche quando la vita non lo è o lo è meno. Quella degli ultimi come quella dei re. Che le salme dei loro avi riposino in Italia, in Piemonte, loro terra d’origine, si può comprendere. Carlo Alberto che non fu re d’Italia, ma dette inizio alla Prima Guerra d’Indipendenza per l’unità nazionale, è sepolto nella cripta reale della Basilica di Superga. Siano contenti così gli eredi savoiardi e stiano al loro posto: quello che la storia che hanno scelto ha loro assegnato. E quel posto per Vittorio Emanuele III, non è più il Pantheon, come è stato per i re d’Italia, suoi predecessori. Non dopo il fascismo e, alla sua caduta, quella fuga ingloriosa e così poco regale.

Si capisce che non sono imparziale e non sopporto la monarchia. Sopratutto per due motivi. Intanto perché i re hanno questo vizio di chiamarsi tutti alla stessa maniera: pochi nomi, i soliti, distinti soltanto per numero successivo. Impossibili da tenere a mente. Quando non indulgono ad accoppiarsi entro una stretta parentela, ciò che non migliorerebbe la specie umana, anzi: gli asburgo con questa pratica assidua si produssero un difetto congenito noto come “il mento asburgico”, una bazza talmente prominente che il povero Carlo II Asburgo di Spagna, “lo stregato”,non riusciva nemmeno a mangiare e parlare come si deve. Un altro motivo, legato a quanto sopra, è che si trasmettono per linee ereditarie il titolo regale, non sono elettivi e alternabili. Così ti devi puppare quelli che ti capitano, savi o matti che siano e non si sa mai quale delle due fattispecie temere di più. Poi, mi sa, che pur facendo turismo, audience e gossip, costino un casino. E a noi, dopo la tragedia del fascismo, ci sarebbero capitati e restati sul groppone cortigiani da operetta. Perché in questo caso aveva ragione Marx, Karl non Groucho, “la storia ripete se stessa, prima come tragedia, poi come farsa”. Evviva la Repubblica! Tutta la vita.

Pontedera, 28 Gennaio 2018


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