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venerdì 30 maggio 2025

LA TOSCANA DELLA BIRRA — il Blog di Davide Cappannari

Davide Cappannari

Sono nato a Livorno nell’ormai lontano 1976. Naturalista nell’animo e system manager per destino, nella vita mi occupo di sistemi informatici e comunicazione (per ora). Ma la mia vera passione è un’altra: la birra artigianale. E ve ne parlerò in questo blog, se vorrete accompagnarmi nei miei viaggi brassicoli.

​PFAS nella birra: perché lo studio USA ci riguarda

di Davide Cappannari - giovedì 29 maggio 2025 ore 09:00

Un’indagine scientifica pubblicata il 24 aprile 2025 sulla rivista Environmental Science & Technology ha rilevato la presenza di sostanze per- e polifluoroalchiliche (PFAS) in numerose birre popolari negli Stati Uniti. Le cosiddette 'sostanze chimiche eterne', note per la loro persistenza nell’ambiente e nel corpo umano, sono state rintracciate in concentrazioni significative, alimentando interrogativi sulla qualità dell’acqua utilizzata nei processi produttivi.

La Brewers Association (BA), organizzazione che rappresenta i birrifici americani, ha confermato di essere a conoscenza dello studio e del crescente interesse mediatico. Chuck Skypeck, direttore dei progetti tecnici dell’associazione, ha commentato che la presenza di PFAS rappresenta una 'questione ambientale onnipresente' e che 'la birra non presenta un rischio maggiore rispetto all’acqua del rubinetto locale'. La BA ribadisce il proprio impegno nel garantire acqua sicura e pulita per i produttori, sostenendo le iniziative volte a proteggere le risorse idriche.

Il primo test diretto dei PFAS nella birra

Lo studio, condotto da un team di RTI International, è il primo ad aver adattato il Metodo 533 dell’Agenzia per la Protezione Ambientale (EPA) – sviluppato per il monitoraggio dei PFAS nell’acqua potabile – all’analisi diretta della birra. I ricercatori hanno esaminato 94 campioni suddivisi in aliquote, ovvero porzioni da 40 mL prelevate da lattine di birra. In particolare, nella seconda fase dell’indagine (Fase 2), sono state analizzate 75 aliquote prelevate da 15 tipologie di birra, con l’obiettivo di valutare la variabilità interna. In alcuni casi sono state utilizzate aliquote provenienti da cinque lattine diverse della stessa birra, per garantire rappresentatività e rigore nei dati.

I risultati chiave

I risultati dello studio hanno mostrato che la presenza di PFAS nella birra è tutt’altro che episodica. Nella seconda fase dell’analisi, ben il 95% delle aliquote esaminate – ovvero 71 su 75 – conteneva almeno un composto appartenente a questa famiglia chimica in concentrazioni superiori al limite di rilevamento metodologico. Complessivamente, 13 delle 15 birre testate sono risultate contaminate.

Tra le sostanze individuate, quelle più comuni sono state i PFOS, presenti nell’84% dei campioni, seguiti dai PFBS (53%) e dai PFHxS (47%), tutti appartenenti alla sottofamiglia dei PFSAs. Il PFOA, un altro composto noto e monitorato, è stato riscontrato nel 36% delle aliquote analizzate. Questi PFAS sono frequentemente associati all’uso di schiume antincendio (AFFF) e a processi industriali.

Lo studio ha evidenziato come la principale via di contaminazione della birra sia rappresentata dall’acqua, che ne costituisce oltre il 90% in volume. È stata osservata una correlazione positiva tra i livelli di PFAS presenti nelle birre e quelli riscontrati nelle acque potabili delle contee in cui hanno sede i birrifici. In particolare, le birre prodotte in aree con elevate concentrazioni di PFAS nell’acquedotto pubblico avevano una probabilità quindici volte superiore di risultare contaminate rispetto a quelle provenienti da zone prive di fonti note di inquinamento.

Anche la distribuzione geografica della contaminazione ha fornito spunti rilevanti. Le concentrazioni più elevate di PFAS sono state rilevate in birre prodotte nella Carolina del Nord, in particolare nella regione del bacino del fiume Cape Fear. Elevati livelli di PFOA sono stati trovati anche nei campioni provenienti dalla contea di Kalamazoo, nel Michigan. Le contee con le medie più alte di contaminazione sono risultate essere Chatham e Mecklenburg, entrambe nella Carolina del Nord, oltre alla già citata Kalamazoo.

In alcuni casi, le concentrazioni rilevate di PFOS o PFOA nelle birre hanno superato i limiti massimi di contaminazione (MCL) fissati dall’Agenzia statunitense per la protezione ambientale (EPA) per l’acqua potabile, attualmente pari a 4 parti per trilione. Tuttavia, va precisato che al momento non esistono soglie normative specifiche per i PFAS nella birra.

Infine, lo studio ha stimato che circa il 18% dei birrifici statunitensi si trova in aree servite da acquedotti pubblici in cui è documentata la presenza di PFAS. Al contrario, le birre prodotte al di fuori degli Stati Uniti sembrano mostrare livelli significativamente inferiori o addirittura non rilevabili di questi contaminanti.

Le reazioni: tra preoccupazione e proposte operative

Jennifer Hoponick Redmon, co-autrice dello studio, ha sottolineato che 'se la fornitura idrica locale contiene PFAS, queste sostanze possono finire nella birra', aggiungendo che i risultati ottenuti hanno 'confermato esattamente questo'. Per Terrence Collins, professore di chimica ambientale, le 'minuscole quantità di PFAS nella birra dovrebbero preoccupare', e lo studio 'potrebbe ridefinire il mercato della birra'.

La Brewers Association ha ricordato che molti birrifici trattano e filtrano l’acqua prima dell’uso, ma consiglia a tutti i produttori di verificare i livelli di PFAS nella propria acqua di processo, tramite i report dell’utility locale o attraverso test mirati sulle fonti private. In caso di contaminazione, possono risultare efficaci filtri a carbone attivo granulare (GAC) o sistemi di osmosi inversa (RO), sebbene quest’ultimo comporti costi significativi. Lo studio suggerisce inoltre che i birrifici più grandi, dotati di sistemi di filtrazione più avanzati, siano mediamente meno esposti rispetto ai microbirrifici artigianali.

Oltre all’acqua, altre possibili fonti di contaminazione individuate includono ingredienti (come cereali e luppolo), attrezzature di produzione (tubazioni, serbatoi), e materiali per il confezionamento (come le lattine). Tuttavia, queste componenti non sono state direttamente analizzate nel corso dello studio.

Prospettive future

Gli autori dello studio auspicano che i risultati ottenuti possano orientare le politiche pubbliche sui PFAS nelle bevande, fornire indicazioni pratiche ai birrai e aiutare i consumatori a compiere scelte informate. 'Speriamo che questo lavoro contribuisca a cambiamenti concreti, rendendo anche i prossimi happy hour più sani', ha concluso Jennifer Hoponick Redmon.

Il contesto normativo in Italia e in Europa

Sebbene gli studi specifici sulla presenza di PFAS nella birra siano ancora limitati in Europa, compresa l’Italia, la crescente attenzione verso queste sostanze ha spinto le istituzioni a rafforzare il controllo a monte della filiera, in particolare sull’acqua destinata al consumo umano, che rappresenta la base anche per la produzione birraria.

L’Unione Europea ha introdotto norme sempre più stringenti per monitorare e ridurre la presenza dei PFAS negli alimenti e nelle acque potabili. In Italia, il riferimento normativo principale è il Decreto Legislativo n. 18 del 23 febbraio 2023, che recepisce la direttiva europea 2020/2184 e sostituisce la precedente normativa del 2001. Il decreto stabilisce i requisiti e le responsabilità per garantire la sicurezza delle acque destinate al consumo umano, introducendo l’obbligo di monitorare i PFAS e fissando limiti specifici di concentrazione. In particolare, vengono definiti due parametri: la “somma di PFAS”, con un limite massimo di 0,10 microgrammi per litro, e i “PFAS totali”, con limite fissato a 0,50 microgrammi per litro.

La normativa fornisce anche indicazioni sui metodi analitici da utilizzare per la rilevazione e attribuisce alle autorità sanitarie locali, in collaborazione con il Sistema Nazionale per la Protezione dell’Ambiente (SNPA), la responsabilità di mettere in atto programmi di controllo lungo tutta la filiera idrica. Inoltre, prevede che anche gli alimenti, inclusi quelli la cui produzione dipende dall’uso di acqua potabile come la birra, siano sottoposti a verifiche per garantire la sicurezza dei consumatori. L’entrata in vigore effettiva dell’obbligo di controllo dei PFAS nelle acque potabili è prevista per il 12 gennaio 2026.

Perché lo studio USA sui PFAS nella birra ci riguarda da vicino

Anche se condotto negli Stati Uniti, questo studio solleva un allarme valido per l’Europa. La birra è una bevanda globale e la contaminazione da PFAS nell’acqua è un problema diffuso oltre i confini nazionali. La relazione emersa tra qualità dell’acqua e presenza di PFAS potrebbe verificarsi ovunque manchino controlli adeguati lungo la filiera produttiva.

In Italia e in Europa le normative si stanno aggiornando, ma i dati americani evidenziano l’urgenza di intensificare monitoraggi e adottare standard più rigorosi, estendendoli anche agli alimenti e alle bevande.

La politica europea dovrebbe quindi promuovere studi analoghi sul territorio, accompagnandoli con misure per tutelare il mercato interno da importazioni potenzialmente contaminate. Così si proteggerà la salute pubblica, si garantirà trasparenza e si rafforzerà la fiducia dei consumatori.

Un passo necessario per mettere davvero in sicurezza ciò che finisce nei nostri bicchieri.

Davide Cappannari

Fonti:

  • Studio scientifico 'Hold My Beer: The Linkage between Municipal Water and Brewing Location on PFAS in Popular Beverages' – Environmental Science & Technology
  • Articolo 'Is there PFAS in your pint?' – The New Lede
  • Articolo 'PFAS Compounds Found in Beer' – Brewers Association
  • Articolo 'Study finds toxic “forever chemicals” in beer' – WRAL.com
  • Gazzetta ufficiale della Rep. Italiana: DECR. LEGISLATIVO 23 febbraio 2023, n. 18

Davide Cappannari

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