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Personaggi e parole

di - venerdì 01 luglio 2022 ore 07:30

La lingua italiana dispone di qualche centinaio di migliaia di parole con un proprio significato secondo un conto che non può che essere approssimativo e provvisorio, ciò nonostante, in alcune non si riescono a distinguere “abissali” differenze in esse contenute.

Pensiamo ad esempio a un termine come -artista-, o alle complicazioni dovute all’intensità, al diverso grado di valore, in un’altra come -musicista-, o infine all’uso metaforico che è possibile farne: vedi il caso di -eroe-.

I media annullano sia le differenze, sia le proporzioni. Non possono, talora nemmeno vogliono, stabilire le giuste diversità. La tivvù, in particolare, pone tutti i personaggi di cui tratta sullo stesso piano: dal presentatore di successo a Leonardo da Vinci, dal cantante del momento al grande compositore. Crea miti in un circolo vizioso in cui è arduo distinguere popolarità spontanea o indotta, dove causa ed effetto si confondono e dove anche non si possono escludere occulte sponsorizzazioni, fini propagandistici o altre meschine motivazioni.

Michelangelo finisce insieme all’ultimo saltimbanco associato dal termine artista, così come musicista accomuna Mozart all’infimo strimpellante conciato da pagliaccio.

In fondo la tivvù celebra se stessa, nell’idea, voluta o inconscia, che il “celebratore” diverrà un celebrato andando a far parte e infoltire la schiera dei personaggi pubblici con conseguente riconoscimento in onori e denari.

Definire eroe il campione sportivo va bene ma presuppone da parte di chi legge o ascolta la capacità critica e culturale nel cogliere l’uso iperbolico del termine.

Ci sentiamo rappresentati da uno sportivo nazionale per amore patriottico, per un oscuro senso di rivalsa o comprensibili motivi, per percepirlo poi invece come avversario, o addirittura nemico, quando da professionista gioca per una squadra che non è la “nostra”. Il senso di appartenenza dopo si divide, si frantuma per regione, città, quartiere. Finché un giorno non faremo il tifo tra terrestri, “marziani” e “venusiani”?

Il paradosso, l’aspetto grave, più grave, è poi che solo metà della popolazione, per corso di studi, in base ai programmi scolatici seguiti, sa, o dovrebbe sapere, chi siano Raffaello, Platone o Ravel, mentre conosce bene o male il presentatore, il calciatore, il cantante e le loro “gesta”. Così diviene una tentazione l’idea retrograda, populista, snob, decadente che forse fosse meglio quando la cultura si limitava al paese, alle conoscenze e alla sapienza del lavoro nei campi, al mondo della Natura, alla saggezza popolare, alla crescita e alla cura dei figli, alla dura fatica del vivere.


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