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Il nostro Western

di - mercoledì 24 marzo 2021 ore 09:59

Lungo le verdi strade dei paesini della nostra Val d’Era, un rapinatore solitario, che arrivava in moto, casco calzato, in mano una pistola, entrava all’improvviso nel piccolo ufficio postale e si faceva consegnare il denaro della cassa.

“Me lo sono trovato davanti e mi ha chiesto di dargli i soldi.”

Gli attacchi di panico causati dallo spavento fecero sì che la direttrice necessitasse di cure e di conseguenza, nei giorni successivi, l’ufficio rimase chiuso.

Con un’alternanza di due/tre giorni l’azione “nel nostro far western”, si ripeteva, e il rapinatore rivolgeva l’attenzione a un altro piccolo ufficio postale, un solo addetto. Una donna, direttrice di sé stessa.

“Dammi i soldi, non mi far perdere tempo”.

Come una cantilena e senza alcuna inflessione dialettale, ripeteva la formula con voce alterata dalla paura e forse anche dall’assunzione di stupefacenti.

I giornalisti si interessarono ai fatti e iniziarono a fare domande:

“Quanti soldi ha portato via il rapinatore?” – “Avete dei sospetti?” -

Di fatto le indagini non erano mai iniziate e come si suol dire: “si brancolava nel buio”.

La direzione centrale delle Poste nell’immediatezza non comunicava la cifra asportata e mai era stata portata via la famigerata mazzetta civetta, tenuta sempre in disparte per paura di dovere dare delle giustificazioni qualora, per un motivo o per un altro, andasse smarrita oppure, malauguratamente, fosse stata utilizzata per fare il resto a un utente.

I giornalisti premevano per una pronta e precisa risposta:

“Abbiamo un sospettato, siamo alla ricerca dei riscontri, non possiamo dire di più.” Rispondeva il responsabile degli investigatori, mentendo spudoratamente

“Almeno diteci la somma sottratta.”

Non sapendo cosa rispondere, visto che la comunicazione della direzione centrale delle Poste non era ancora giunta, si tentava l’azzardo:

“nel corso della prima rapina si è impossessato di 6000 euro, mentre in quella successiva ha portato via 4000 di euro”.

Il giorno seguente, sulla cronaca locale con il racconto delle due rapine e i malesseri accusati dalle direttrici, venivano riportate, ben in evidenza, le somme rapinate così come riferite dagli inquirenti.

Nel pomeriggio della stessa giornata giunse la risposta della direzione. Dal rendiconto contabile risultava che nel corso della prima rapina erano stati asportati 4.400 euro e dalla seconda solo 2.500 euro.

Nei giorni successivi fu compiuta la terza rapina, sempre con il casco calzato il rapinatore faceva irruzione nell’ufficio pubblico trovando all’interno la direttrice intenta a consumare la colazione di metà mattinata: un panino e un caffè appoggiati sul bancone, insieme a bollettini di pagamenti e ricevute varie. Ormai come un veterano dei “colpi” agli uffici postali, mostrando sicurezza e sangue freddo, mentre si faceva consegnare i soldi afferrò il panino dandogli dei famelici morsi e sorseggiò il caffè. Arraffò poi il denaro e intimando di non chiamare i Carabinieri, si allontanò precipitosamente. La direttrice non aveva avuto ancora il tempo di riprendersi dallo spavento quando se lo vide rispuntare davanti, entrò nuovamente nell’ufficio dicendole: “Grazie del panino e del caffè e scusa tanto”.

La direttrice nel raccontare le fasi della rapina ci tenne a sottolineare più volte che il rapinatore era sicuramente un ragazzo educato, dato che era ritornato indietro per ringraziare del panino e scusarsi dell'invadenza.

Ovviamente i giornalisti riportarono la notizia corredata dal colorito episodio del panino, e regolarmente riportarono la inesatta cifra asportata. 8.000 euro raccontarono gli inquirenti, 8.000 euro riportarono gli organi di stampa. 4.500 euro comunicarono, dopo qualche giorno, i contabili della direzione provinciale.

Ancora non vi era un preciso sospettato, anche se gli indizi facevano supporre che potesse appartenere al sottobosco della microcriminalità comune.

Gli investigatori coscienti che “il confidente suggerisce, non rivela e la notizia buona la confonde tra mille bugie, perché il confidente non si fida neanche dei Carabinieri”, andarono alla ricerca di informazioni contattando, chiamiamoli così, i noti personaggi e gli abituali confidenti.

Forse fu perché si ipotizzò che i Carabinieri stessero stringendo le maglie attorno all’autore delle rapine, forse solo per deviare le indagini, così che uno degli investigatori venne avvicinato da un personaggio già supposto fra i probabili autore delle rapine. Nell’ex bar Fornai avvenne la rivelazione, il soggetto sosteneva che le impiegate degli uffici postali rapinati erano tutte e tre delle ladre, perché si erano impossessate di una parte del denaro che asserivano fosse stato asportato dall’ufficio. Aggiunse di avere saputo che dal primo ufficio erano state asportate 4400 euro, dal secondo 2500 euro e dall’ultimo 4500 euro, mentre le rapinate avevano dichiarato cifre maggiori intascandosi il denaro.

Non ci volle molto per comprendere che eravamo giunti alla soluzione del caso. L’improvvisato confidente era anche il solitario autore delle rapine, solo lui sapeva l’esatta somma rubata mentre quella che compariva sui giornali non era che la somma che era stata scelta nell’ambito di un improvvisato metodo investigativo.

Ulteriori indagini rimossero ogni dubbio e oggettivi riscontri schiacciarono la posizione del soggetto che, una volta tratto in arresto, decise di confessare i misfatti dinanzi al Giudice.


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