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​La guerra dei mondi

di - domenica 14 giugno 2020 ore 07:30

Hanno preso avvio a Roma gli Stati Generali, non dell’Ancien Régime, almeno si spera, ma dell’economia: una serie di confronti internazionali proposti dal premier Conte per il rilancio, post covid, del Paese e della collegialità del governo. La destra comunque diserta: loro non fanno passerelle romane, semmai marce. Sembra una guerra di nervi: non si capisce se si dividerà prima il centro destra o il centro sinistra. Il convegno si terrà a Villa Pamphili sull’Aurelia Antica. Che è già suggestivo di suo. Nella “sala degli stucchi” -intesi come decorazioni- ci sarà un tavolo -ovale secondo alcune agenzie, rettangolare secondo altre- con un massimo di 22 posti, ma si può allungare fino a 30, perché si vede che non era il massimo. Anche in Consiglio Comunale di Pontedera c’è un tavolo ovale che, rivelatosi insufficiente, fu allungato. Fu chiamato un artigiano di Pontedera, il Pieraccioni, mi pare, che aggiunse una striscia centrale. Comunque l’idea alla fine non è malaccio. I confronti sono sempre utili occasioni per scambi di idee o riflessioni. E c’è da elaborare il Recovery Plan italiano. Sono già annunciati pezzi da novanta dell’economia e della politica a livello europeo e mondiale. E anche ambientalisti, archistar e personalità varie del mondo della cultura. Capace viene anche Colao da Londra ad esporre di persona il piano di 102 proposte per l’Italia. Gli incontri avverranno nel villino Algardi, detto “casino del bel respiro”. Ecco allora speriamo soprattutto nel “bel respiro”, che ne abbiamo bisogno, anche con queste mascherine, perché il “casino” invece non manca.

Ma, questa domenica basta politica, tregua, mi voglio distrarre un po’, parliamo di fantascienza. Si è rivisto in tivvù “La Guerra dei Mondi”, film del 2005 diretto da Steven Spielberg, con protagonisti principali Tom Cruise, una undicenne Dakota Fanning e Tim Robbins. Il film è liberamente ispirato al romanzo omonimo del 1897 di H.G. Wells, il famoso scrittore britannico considerato uno dei padri della fantascienza.

Non racconterò nei dettagli la storia che del resto è nota. Solo a grandi linee. La terra è invasa da una specie aliena, i marziani comandano degli automi tripodi che inutilmente le nostre forze militari cercano di contrastare. Gli esseri sono dei cattivoni e disintegrano tutto quello che gli capita a tiro. Spielberg esce dalla fase buonista degli extraterrestri amici e si misura con la serie dei visitatori ostili, riprendendo lo sceneggiato radiofonico del 1938 di Orson Welles -a sua volta tratto dal romanzo di Wells- che, con i suoi annunci realisti relativi all’invasione -praticamente fake news- tanto terrorizzò l’America e gli americani. Qualcuno chiese a che ora fosse la fine del mondo, addirittura si parlò, forse a sproposito, di suicidi. Gli statunitensi sono un grande popolo che tende drammaticamente all’esagerazione. Nel film del 2005 si avverte anche qualche lontana eco dell’incombente pericolo terrorista. La colonna sonora è ossessionante, con un rumore di macchine sordo e ipnotico. Ma insomma insomma, com’è come non è, alla fin fine la razza umana ancora una volta se la cava. Perché dove non possono le armi riescono virus e batteri a sopraffare gli invasori. Bene! Il regista però non è mai rimasto convinto della fine del film, dichiarò, anzi, che non era un bel finale. Non si capisce perché: tra l’altro anche il libro si risolve così. Semmai si può dire che quella fine è tanto sorprendente quanto brusca. Tradisce un po’ le aspettative. Però, tutto sommato, mica male. Spielberg sostiene che è la voce narrante fuori campo di Morgan Freeman a renderla accettabile, anzi migliore. Può darsi, ma giudicate voi, questa è la frase finale:

«Quando gli invasori arrivarono e cominciarono a respirare e a nutrirsi, quegli organismi infinitesimali, che Dio nella sua saggezza aveva messo sulla Terra, iniziarono a condannarli, annientarli, distruggerli dopo che tutte le armi e gli stratagemmi umani avevano fallito. Mediante il sacrificio di miliardi di vittime, luomo ha acquistato la sua immunità, il suo diritto alla sopravvivenza tra le infinite creature di questo pianeta, e quel diritto è suo contro ogni sfida, poiché gli uomini non vivono e non muoiono invano».

A me sembra bella. La voce calda e graffiante di Morgan Freeman è quella di Renato Mori, un magistrale doppiatore scomparso qualche anno fa. È vero la frase non sarà pari a quella cult di “Blade Runner” di Ridley Scott, pronunciata e sembra in parte improvvisata da Rutger Hauer, il replicante Roy Batty:

«Io ne ho viste cose che voi umani non potreste immaginarvi: navi da combattimento in fiamme al largo dei bastioni di Orione, e ho visto i raggi B balenare nel buio vicino alle porte di Tannhäuser. E tutti quei momenti andranno perduti nel tempo, come lacrime nella pioggia. È tempo di morire».

Grande! Però anche il richiamo agli organismi infinitesimali, ai virus che distruggono i potenti invasori alieni, non immunizzati come noi, è efficace e quanto mai attuale, anche se Spielberg, seppur cineasta visionario, allora non lo poteva immaginare. La realtà a volte supera l‘immaginazione, nel bene e nel male. G.H. Welles invece lo immaginò nel 1897, quando scrisse e pubblicò il suo romanzo. In Italia la prima edizione fu nel 1901. Wells, allievo e seguace di Aldous Huxley, fu un propugnatore di uno Stato mondiale di pace e giustizia e un sostenitore del socialismo e del pacifismo, nonché delle teorie evoluzionistiche di Darwin, entro le quali si inquadra la lotta per la supremazia di specie tra marziani e terrestri.

Il libro è anche una critica alla politica del colonialismo europeo. E di quello inglese, in particolare. Secondo le idee del tempo, la superiorità tecnologica degli europei dava loro diritto di governare anche nelle altre aree del mondo. Il romanzo critica questa visione, descrivendo l'invasione aliena come ingiusta e crudele, nonostante la palese superiorità tecnologica dei marziani. Ce ne parla l'autore nel primo capitolo “L’alba della guerra”:

«E prima di giudicarli troppo pesantemente, dobbiamo ricordare quale crudele e estrema distruzione la nostra stessa specie ha imposto, non solo su animali, come gli ormai estinti bisonte e dodo, ma sulle sue razze inferiori. I Tasmaniani nonostante le loro sembianze umane, sono stati interamente spazzati via dalla Terra in una guerra di sterminio portata da immigranti europei, nello spazio di cinquant'anni. Siamo tali apostoli di pietà da lamentarci se i Marziani ci portassero guerra nello stesso spirito?».

Giusto. Magari sorvolando, per carità di patria e contestualizzazione del concetto, sul giudizio relativo alle “razze inferiori”. Da «è tempo di morire» di “Blade Runner” si passa «agli uomini non vivono e non muoiono invano» di “War of the Worlds”. Due frasi a effetto. Il film di Ridley Scott è migliore, ineguagliabile forse, però questa affermazione e finalizzazione della vita e perfino della morte degli esseri umani ha una sua grandezza e verità. Il linguaggio fa cose con le parole, dice un filosofo della logica. Tutte le creature si aggrappano con forza alla vita e lottano per sopravvivere. Nella “Guerra dei mondi” non c’è il rovesciamento positivo dello straniero, da alieno ad amico -che sarebbe meglio- c’è però quello del virus, non più solo ostile a noi, ma compreso di un suo significato biologico. Così noi supereremo il covid, ce ne renderemo immuni divenendo più forti e, se saremo invasi, ci servirà a resistere. O a capire com’è quando siamo considerati alieni e siamo schiavizzati, sottomessi, uccisi. Ci aiuterà a salvare la Terra da noi stessi. Oppure, se andremo sulla Luna o su Marte o chissà diavolo dove a portare la nostra paranoica, progredita e vaccinata civiltà, almeno non li infetteremo e andremo in pace. Tranne gli asintomatici.

P.S. Anche questo finale non è proprio granché e a me non me lo legge nemmeno Morgan Freeman! Buona domenica e buona fortuna.


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