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— il Blog di

Sal

di - venerdì 22 settembre 2017 ore 11:23

Arcipelago di Capo Verde, Isola di São Vicente, Mindelo, scuola di ballo di Pilar: una grande stanza con servizi a piano terra, accanto alla sua abitazione. La scuola è chiusa da tempo, ma stamani ha riaperto per una lezione speciale e riservata.

— Cammina, commissario, cammina! La camminata è tutto nel tango. La senti la musica? Devi sentire la musica, il ritmo, i battiti maggiori. Vai a tempo, fatti trasportare dal tango e gira intorno alla stanza in senso antiorario, segui la linea di ballo.

— È una parola!

— Quei piedi, muovili quei piedi: um, dois, três, quatro, i passi coincidono con il tempo della musica, cinco, seis, sete, oito, sono solo otto passi fondamentali, di base, un movimento a “elle” o a “u”, è “la salida”, si chiama così.

— Non mi riesce, Pilar! Nemmeno in bicicletta ero bravo in salita…

— Che spirito di patate! Stai dritto con le gambe! Sulle punte, non sui talloni! Avanti e indietro.

— Per te è facile, eri maestra di ballo…

— Ma che sacco di patate! Pensare che ho riaperto la scuola soltanto per te…

— Grazie, non dovevi. Te l’avevo detto, sono senza speranza. Che tango è?

“Il tango della gelosia”, ti dice qualcosa?

— No, non sono geloso. Ti sembro geloso, io?

— Se è per questo, geloso e cretino, s’era già appurato. Intendevo che è un tango composto da un musicista, tuo connazionale: Vittorio Mascheroni. Sai che diceva «il mio è un mestiere che bisogna affrontare ridendo, se si vuol concludere qualcosa di serio»?

— Ma chi? Quello di “Papaveri e papere”? Che, in effetti, non era una canzone così stupida, a ripensarci.

— Mi sembri te un papero, per come ti muovi! Riuscirai mai a ballare con me, un giorno, commissario?

— E dai! Non sono più commissario, sono un pensionato, quante volte te lo devo ripetere? Fino a quando continuerai a chiamarmi così, signora Dias? Non dico Favati che è un brutto cognome, ma Nedo sarebbe più che sufficiente, anche se, come nome, non è il massimo.

— Finché non impari il tango e, comunque, sempre commissario pensionato sei.

— Vabbè, te piuttosto perché non riapri la scuola per aspiranti ballerini, migliori di me?

— Perché ho un’età, ormai.

— Ma se sei ancora brava e bellissima!

— Grazie, la bellezza sta negli occhi di chi guarda, caro il mio commissario. E poi basta, gente. Noi siamo più simili di quanto tu non creda: a me, come a te, nella vita non è mancato il pubblico, è mancato il privato.

Squilla il telefono, una voce di là dal filo chiede se è la scuola di ballo di Pilar Dias di Mindelo e Pilar risponde che è chiusa da tempo. Ma vogliono sapere se chi parla è proprio Pilar. Sì, dice lei. E io con chi parlo, chiede. È il capitano della polizia dell’Isola di Sal e vorrebbe mettersi in contatto con il commissario Favati, quantunque ex. Si tratta di una questione urgente e importante, una questione di vita o di morte. È qui, fa lei e poi dice a Nedo, è per te. Nedo domanda come fanno a sapere e Pilar risponde che l’arcipelago è piccolo e la gente mormora e gli passa la cornetta.

Nedo prende il telefono, ascolta, risponde a monosillabi, la faccia si contrae, è molto più preoccupato ora che a imparare il tango, il che è tutto dire. Poi butta giù, la conversazione è finita. Quello che doveva sapere gli è stato detto, quello che dovevano chiedergli gliel’hanno chiesto. Pensa a suo figlio, come sta, quant’è che non lo sente! Guarda Pilar che gli rivolge uno sguardo interrogativo.

— A Sal, c’è una ragazza in ospedale e due scomparse. Sono italiane. Vogliono che li aiuti, la polizia…

— Meu Deus! Che pensi di fare?

— Non lo so, non capisco quanto posso essere utile: a Sal parlano tutti italiano, è pieno di italiani, troppi. È la prima isola che ho visitato a Capo Verde e me ne sono venuto. Dice ci sono due posti prenotati su un volo di linea che parte tra quaranta minuti. Verresti con me, Pilar?

— Certo, non posso mica abbandonare al suo destino un aspirante e promettente tanguero…

— Citrulla!

Dall’aeroporto Cesária Évora di Mindelo per arrivare a Sal, l’aereo impiega meno di un’ora. Atterrati all’areoporto Amílcar Cabral, trovano una macchina della polizia locale che li aspetta. Salgono. Durante il tragitto il comandante, Carlos Furtado, ragguaglia Nedo. Lo chiama commissario, nonostante le sue precisazioni circa lo status di pensionato. C’è una ragazzina italiana, diciassette anni, al pronto soccorso, è sotto shock, dice che era con due amiche e con dei ragazzi, parla di un bosco. Ci dia una mano, commissario, a Sal il tasso di criminalità è basso, non siamo abituati; fra poco verranno anche il responsabile dell’Ambasciata d’Italia a Dakar e il Console onorario italiano a Capo Verde.

Arrivano all’ospedale di Espargos, la ragazza si chiama Agnese, è agitata, continua a chiamare le sue amiche, Dalia, Giorgia, piange, dice sono nel bosco. È stato Sandro. Chi è Sandro? Che bosco, le chiedono. Mocho, risponde, nel bosco.

Il comandante dice non ci sono boschi a Sal. Nedo apre la carta dell’isola che era nell’auto: cosa può somigliare ad un bosco? C’è un’oasi verde di palme, vicino alla spiaggia di Fontona, prima di Palmeira, il porto dell’isola.

Si recano sul posto, cercano, ci mettono poco a capire. In una buca, quasi completamente ricoperti di sabbia e sassi, ci sono due corpi: sono ragazze, sono state massacrate. Sul terreno si notano diverse impronte, il comandante e il commissario, anche se ex, convengono che possa essere stata l’azione di almeno due uomini. La scena è straziante, Pilar distoglie lo sguardo, abbraccia Nedo. Perché, dice, perché?

Le giovani donne sono Dalia, trentatreenne di Ravenna, da tempo residente a Sal e Giorgia, ventotto anni, veronese, in vacanza sull’isola. Dalia è campionessa e istruttrice di windsurf e Giorgia ha un’agenzia di viaggi a Verona. Tutte e due innamorate dell’isola, dell’oceano, delle onde su cui scivolare. E ora sono solo due corpi riversi, inanimati, martoriati, sommersi dalla terra, ciò che resta della giovinezza, della bellezza, della vita.

Le ragazze si vedevano con un gruppo di amici italiani che soggiornano nel villaggio di Santa Maria. Insieme al comandante si recano da loro. Nedo chiede se c’è qualcuno che si chiama Sandro. No, nessuno di noi si chiama così, ma c’è un Sandro, non è italiano, è capoverdiano e fa la guida turistica.

Agnese si è ripresa, racconta. Sandro era l’ex di Dalia, avevano avuto una storia. E gli amori, le estati, le storie finiscono. Lui non se ne dava ragione, diventava insistente, Dalia voleva chiarire. Era stato proposto un incontro, una cena. Lei non si fidava e aveva invitato le sue amiche. Le tre ragazze erano salite in auto con Sandro ed un altro. Dovevano andare ad Espargos, la capitale di Sal, ma ad un certo punto la vettura cambia percorso, fermandosi in una zona appartata. E nel buio, all’improvviso il male prende forma. I due uomini trascinano a forza Dalia e Giorgia fuori dall’auto. Lasciano dentro Agnese, minacciandola. Lei è atterrita, paralizzata dalla paura, sente le implorazioni, le grida delle amiche che si perdono nella notte. Dentro il nero dell’anima, nel suo lato oscuro. Cos’è che scatena la ferocia e la violenza degli uomini, che dà forza all’orrore? Il sesso negato, la passione respinta, il rifiuto? Le ragazze vengono uccise a colpi di pietra e gettate nella buca. Forse era già tutto premeditato e hanno scavato loro la fossa con dei badili, forse c’erano dei lavori in corso. Le ricoprono malamente di sabbia e sassi, sepolte sotto quell’oasi verde di palme. Risulterà che Dalia era ancora viva quando è stata sepolta, stando all’autopsia: nei suoi polmoni il medico legale rinverrà sabbia. Poi è la volta di Agnese. Viene fatta uscire dall’auto, colpita alla testa con una pietra. Lei perde subito i sensi, la credono morta e la lasciano lì, sanguinante, per terra. Devono fuggire, lasciarsi tutto alle spalle, la morte, la colpa, la coscienza, cattiva come la vita quando la vita è cattiva. Agnese rinviene, si nasconde nella vegetazione, aspetta che passi quella notte, quel buio e faccia di nuovo giorno. All’alba s’incammina per Santa Maria, un taxi la raccoglie e la riporta, ferita e sconvolta, al villaggio turistico. Poi gli amici, il centro sanitario, le prime cure e l’ospedale.

Sandro Santos do Rosario, detto Mocho, ventitré anni, viene subito arrestato presso il lussuoso Hotel Riu Funana. Si era regolarmente presentato al lavoro, stava per iniziare il suo giro con i turisti tra le meraviglie dell’isola. E viene assicurato alla giustizia anche il complice, il venticinquenne Admilson Texeira, detto Kità, un meccanico originario dell’isola di Santiago. Il procuratore, Vital Moeda, non ha dubbi, si tratta di un delitto passionale. Sandro Santos aveva dichiarato di aver agito su commissione di un imprenditore ravvenate, per un giro di droga. Verranno condannati in primo grado a venticinque anni, il massimo della pena prevista dal codice penale dell’isola, per duplice omicidio in concorso aggravato dalla premeditazione, furto e occultamento di cadavere. Il Santos anche per violenza sessuale. In secondo grado la condanna sarà lievemente ridotta. Ma il male, l’orrore di quella notte non si riduce, resterà per sempre. Renato Evarchi, un imprenditore immobiliare italiano, da tempo residente e operante a Capo Verde, non sa spiegarsi il massacro, racconta che Sandro era conosciuto da tutti come una persona seria, un ragazzo per bene. Forse perché a volte il bene è banale come il male.

Agnese sta meglio. Tornerà a casa, a Ravenna. La vacanza tropicale in quel paradiso era un regalo per i diciotto anni che avrebbe compiuto. È sopravvissuta all’inferno. A Sal intanto sono giunte le autorità italiane e stanno arrivando i genitori delle ragazze. Per Nedo e Pilar è ora di andare. Grazie commissario, dice il comandante, obrigado. Si stringono la mano. Di niente, risponde Nedo, di niente.

Tornano a Mindelo. L’areo decolla dall’aeroporto internazionale, Pilar tiene la mano di Nedo, stanno in silenzio. Dall’alto vedono allontanarsi la ilha do Sal, l’isola del sale. La principale porta d’entrata per i turisti che si riversano a Capo Verde alla ricerca di altrove, di avventure esotiche, di grandi spiagge, di acque cristalline. Anche per Nedo fu così. A Sal molti italiani hanno imprese, costruiscono molto, forse troppo. È una piccola isola, arida e piatta, battuta dai venti, in mezzo all’Oceano. C’è la salina di Pedra de Lume, ora in disuso, nel cratere di un vulcano estinto, c’è la pesca, oggi il turismo. E ogni anno i surfisti e gli amanti della tavola a vela si ritrovano per cavalcare le onde dell’Atlantico, sulla spiaggia della baia di Fontona. Dove c’e un’oasi verde di palme.

Marco Celati

Pontedera, 19 Settembre 2017

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Questa storia è vera, purtroppo. Un po' romanzata per l’intrusione dell’ex commissario Favati, ma terribilmente vera. Le due ragazze uccise, ritratte nella foto, si chiamavano Giorgia Busato e Dalia Saiani. Il delitto fu consumato nell’isola di Sal, la notte dell’8 febbraio 2007. La ragazzina sopravvissuta è Agnese Paci. Chiedo scusa se ho offeso la sensibilità e la memoria di familiari e amici, semmai qualcuno, per caso, leggesse il racconto. A volte ci si imbatte nella realtà e spesso la realtà supera la fantasia. La mia di sicuro. E la supera anche nell’orrore. Volevo ricordare, questo solo si può, la gioventù e la bellezza di quelle donne che il male ha strappato per sempre alla vita. Il male e la mano dell’uomo. Ora è meglio che il fu commissario Favati se ne stia di nuovo un po' tranquillo, in pensione, con la “sua” Pilar. Magari impara a ballare il tango.


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