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Il sopravvissuto al naufragio nel mare di Okhtosk viene salvato dopo due mesi alla deriva nelle acque della Siberia
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QUI eBook domenica 02 aprile 2023 ore 00:05

AL VILLINO GIALLO

di Lorella Giuliotti



PECCIOLI — Peccioli, primavera 1932

Quel giorno scadeva la quindicina e ci sarebbe stato un gran movimento alla casa chiusa. Già per le strade del paese l’arrivo di carne fresca aveva suscitato clamore e curiosità nei maschi che quella sera si sarebbero riversati smaniosi nel villino giallo.
Dalla finestrella del seminterrato la donna vide le ragazze scendere dalla carrozza alzando le gonne più del necessario e poi entrare con civetteria dentro al portone, strizzando l’occhio ai più giovani o ai meglio vestiti.
Flora, la tenutaria, prostituta in pensione, di una bellezza stanca ma non volgare, fece mettere le ragazze in fila e cominciò a controllare i libretti sanitari. Erano tutte giovani e formose, ma non era una gran mandata: bisognava confidare nei gusti dozzinali e nel risveglio primaverile degli ormoni
dei clienti.
L’ultima a presentarsi fu una giovane con un broncio malinconico e sensuale, con lunghi capelli biondi che Flora le fece sciogliere. Questa era davvero merce di prima scelta, ci sarebbe stata la fila di clienti e avrebbe compensato la mediocrità delle altre ragazze.
- “Come ti chiami tesoro?” chiese Flora.
- “Armida”, rispose la ragazza con una leggera erre moscia.
- “Armida … Lo cambieremo, magari con un nome straniero, che dici? Hai qualche preferenza?”
- “Conosco qualche parola di francese, ho vissuto a Parigi fino a sei anni”.
La tenutaria chiuse gli occhi, per catturare bene quelle parole e per concentrarsi su come avrebbe potuto sfruttare questa biondina: con un po’ di maestria avrebbe prosciugato le tasche del signorino Edoardo, cliente esigente e generoso del villino.
Poi, con un cedimento alla sua passione per l’opera lirica, la guardò compiaciuta e le disse: - “Mimì, d’ora in avanti sarai Mimì”
Armida arricciò il broncio in segno di assenso e pensò che era un nome corto, corto come Dina: Dina per tutti tranne che per il babbo, che l’aveva sempre chiamata Armida, “come la mia povera mamma”, arrotando la “r” sul palato. Una sera il barroccio tornò a casa portando il babbo accasciato
sul piano: lei era la più grande di quattro fratelli, l’ultimo ancora attaccato al seno della mamma e dovette cercare un lavoro. Con quel suo lavoro da “cameriera” in un paesino della Valdera campava tutta la famiglia e nessuno si faceva domande.
Flora le assegnò la camera più ampia ed elegante della casa, lontana dalla promiscuità del resto del villino. Si trovava al primo piano e vi si accedeva anche da un ingresso diretto che sfociava nelle campagne verso Montecchio.
C’era un grande letto a baldacchino con un copriletto di velluto rosso, un armadio pieno di biancheria intima e, dietro un separé, l’occorrente per l’igiene personale. Tendaggi pesanti, dello stesso colore del copriletto, nascondevano la finestra. Mimì scostò la tenda e aprì i vetri: dalle
fessure della persiana si intravedeva la campagna circostante. “Tempo di mettere da parte qualche soldo e me ne vado”, giurò a sé stessa.
Mise a posto le sue poche cose e scese nel salone, già pieno di uomini di tutte le età.
Nel frattempo Flora aveva provveduto a ritoccare i prezzi delle marchette e pochi dei presenti, a giudicare dagli abiti, avrebbero potuto permettersi Mimì.
Il malcontento e l’invidia delle altre ragazze erano evidenti, non le fecero posto sui divanetti dove
erano sedute lasciando intravedere i loro corpi Mimì rimase in piedi, guardata e non toccata, mentre le altre salivano ai piani.
A un certo punto Flora si alzò tutta agitata, si ravviò i capelli, buttò un’occhiata a Mimì e andò incontro al nuovo arrivato. Per portamento e abbigliamento si distingueva dagli altri clienti. Si chinò per un baciamano verso Flora, mentre con gli occhi squadrava Mimì da capo a piedi.
“Signor Edoardo, che piacere rivederla, come posso servirla?” Lui indicò Mimì, pagò il massimo della prestazione e si avviò sulle scale mangiandola con gli occhi.
Mimì non era solo bella, ma anche molto intelligente. Capì subito che tipo di cliente aveva davanti e fu dolce, fantasiosa e appassionata.

Da quella sera Edoardo si recò al villino quasi tutte le sere, entrando dall’accesso privato della stanza. Ben presto divenne cliente esclusivo, con suo grande sollievo perché non doveva sottostare alle venti, trenta marchette giornaliere per pagare le spese e mettere da parte qualcosa.
Edoardo era il cliente ideale: sempre gentile e soprattutto veloce nella sua prestazione, dopo di che si intratteneva con lei a parlare della famiglia, del lavoro, delle sue ambizioni. La quindicina si moltiplicò e lui rimase il cliente unico e affezionato di Mimì.
Una sera Edoardo entrò dalla porta principale del villino, e non era solo. Negli occhi di Flora passò un brivido, ma sfoderò il suo sorriso più accattivante e andò incontro ai due signori; le ragazze e i clienti si voltarono incuriositi verso il nuovo arrivato.
Edoardo era rimasto sulla porta, chiuso su sé stesso, occhi e labbra come fessure; la spavalderia dell’amico, un ometto equivoco e molliccio, invece catturò subito l’attenzione di tutti. Salutò Flora con un inchino e un baciamano e si inoltrò nella sala palpando le ragazze. Finito il giro si voltò
verso Edoardo:
“Allora? Dov’è la francesina? La perla di questo bordello? Qui non vedo niente che corrisponda alla tua descrizione…”. Ripassò con lo sguardo le ragazze con una smorfia di sufficienza e interrogò con gli occhi Flora.
“Mimì è.., ha una indisposizione, mi dispiace” farfugliò Flora, guardando Edoardo.
“Mi dispiace? - si girò verso l’amico sghignazzando - Mi dispiace! Ho fatto più di 9000 chilometri, tra due giorni riparto e la francesina è indisposta! - e rivolto a Flora - Pago il doppio, poche storie.
Chiamatela subito”
L’uomo si piazzò nel mezzo della stanza e, a un cenno della tenutaria, una ragazza andò a chiamare Mimì.
Mimì fu sorpresa e preoccupata di questo cambiamento, ma seguì la compagna nella sala. C’era un silenzio insolito, carico di apprensione: aveva tutti gli occhi addosso, tranne quelli di Edoardo, a testa bassa, le mani sprofondate nelle tasche del cappotto.
La ragazza capì al volo che quella sera avrebbe cambiato cliente e l’uomo che spavaldo le veniva incontro non era per niente rassicurante:
“Bene, bene, questa è la famosa francesina! Carne di prima scelta, vediamo se è anche brava come si dice! Piacere, Vittorio Bruni - disse chinandosi con enfasi - commerciante in bachi da seta, braccio destro e amico di Edoardo…”, ridacchiò indicando l’amico.
La faccia di Edoardo prese fuoco, si girò e uscì, mentre l’uomo prendeva sottobraccio la ragazza esi avviava sulle scale.
Solo quando si sentì la porta della stanza di Mimì che si chiudeva, le persone in sala cercarono di tornare alle attività interrotte, ma senza il solito brio. Flora chiese agli uomini di andarsene ed essi sembrarono sollevati da questo invito, le ragazze apparivano turbate e Flora sottovoce cominciò:
“Vi devo delle spiegazioni. Il Bruni è uno stretto collaboratore del signorino Edoardo; si occupa dell’acquisto delle uova di bachi da seta e va due volte all’anno in Giappone per curare personalmente gli affari. Al ritorno viene a Peccioli a consegnare la partita, si ferma un paio di giorni e riparte, non senza averci fatto visita… purtroppo”.
Fece una pausa per cercare le parole giuste per spiegare quello che permetteva che succedesse nel suo villino: “Il Bruni è un bruto, prova piacere solo alzando le mani sulle ragazze. Il signorino mi implora di accontentarlo visto che si trattiene solo due, tre giorni e, se necessario mi ricompensa,
diciamo, per il disagio causato…”.
Istintivamente le ragazze si volsero verso il primo piano, verso la stanza dove Mimì era in balia di quell’uomo.
Ad un tratto si sentirono grida, minacce, un gran fracasso e poi la porta si aprì e ne uscì l’uomo trascinando per un braccio Mimì completamente nuda. La scaraventò sulle scale continuando a urlare offese contro quella puttana ignorante e incapace. Reclamava indietro i suoi soldi perché la
merce era scadente, e lui sapeva come si fanno gli affari.
Flora si sbrigò a restituire la marchetta ma lui, presi i soldi, glieli gettò in faccia sputando per terra e sbattendo il portone.
Le ragazze e Flora si precipitarono da Mimì: aveva graffi e morsi su tutto il corpo ed era svenuta.
Le ragazze urlavano e piangevano, Flora mandò una di loro a chiamare il dottore e con le altre portò Mimì in camera.
Lo spettacolo che apparve loro era spaventoso: le lenzuola insanguinate, il separé e le sedie rovesciate parlavano di una furiosa lotta di Mimì prima di arrendersi a quel criminale.
La portarono in un’altra stanza e mentre cercavano di rianimarla entrò come una furia Edoardo.
Sembrava impazzito, piangeva e urlava il nome di Mimì. Riuscirono ad allontanarlo e calmarlo e finalmente arrivò il dottore; nel frattempo la ragazza aveva ripreso i sensi, ma aveva delle costole rotte, ferite su tutto il corpo e un trauma cranico dovuto alla caduta. Il dottore disinfettò e curò le ferite, ammettendo di non aver mai visto un tale scempio.
Edoardo rimase a vegliare Mimì, maledicendosi per la sua debolezza e vigliaccheria, fino a quando, al mattino, un dipendente della Tenuta andò a chiamarlo per un problema urgente all’allevamento di bachi da seta.
La sera il villino riaprì, ma l’atmosfera era tesa. La voce di De Sica che esternava il suo amore a Mariù era una stonatura fastidiosa.
Quando la porta si aprì, gli occhi di tutti si piantarono sull’uomo che era fermo sulla soglia.
Di colpo si fece silenzio, le ragazze istintivamente si ritrassero e gli sguardi si trasferirono su Flora, immobile alla cassa: “Lei non è il benvenuto qui, signor Bruni, la prego di andarsene subito”.
Questo avrebbe voluto dire Flora, mentre invece, con il volto tirato, andava incontro al cliente.
“Pago il doppio e voglio… voglio - squadrava le ragazze soppesandone le qualità - quella!
Lisa, la ragazza prescelta sbiancò e rivolse un’occhiata disperata alle compagne, mentre il Bruni con sgarbo la prendeva per un braccio e se la portò su per le scale.
Nessuno degli uomini intervenne, la loro presenza al villino era una vergogna da nascondere e uno alla volta, in silenzio, si eclissarono.
Le ragazze si strinsero a Flora aspettando una sua decisione. Flora tentennava, da sopra non arrivavano rumori, magari il Bruni si era reso conto di aver esagerato e si era dato una calmata, magari…
A un tratto Lisa comparve sulle scale, aveva del sangue addosso ed era stravolta, ma per il resto sembrava stesse bene. Fece segno alle altre di salire e rientrò in camera.
La scena che si trovarono davanti era raccapricciante: il Bruni era riverso sul letto, con un grosso taglio sulla gola.
Di fianco al letto Mimì era in piedi, con ancora il coltello in mano e l’aria assente.
“Che avete combinato? Pazze, voi siete pazze! Ci metteranno in galera e butteranno via la chiave!
Stupide, mi avete rovinato!”, gridava fuori di sé Flora, scalmanata.
“Ma perché sei entrata qui, che ti è preso, eh? Ma io non ci vado in galera per te, maledetta puttana!
Chiamo i carabinieri e in galera ci vai te e chi ti ha retto mano!”
Le ragazze non avevano mai visto Flora così, rossa in volto, gli occhi schizzati, il trucco pesante che le imbrattava il viso, la voce stridula che continuava ripetere “Sono rovinata!”.
La vista di Lisa, immobile e con gli occhi bassi, fece infuriare Flora ancora di più: “Non hai niente da dire, eh? Pensi di farla franca, brutta troia” urlò avventandosi contro la ragazza.
“È colpa mia, fermati - la voce di Mimì si inserì come un sibilo senza forma - Ho detto alle ragazze che se questo schifoso tornava, lo dovevano portare a me, mi volevo vendicare per quello che mi ha fatto!”
Le ragazze si strinsero tutte vicino a Mimì, come per proteggerla.
Flora sembrò rendersi conto di quello che stava facendo e sfinita si accasciò su una sedia. Ci fu un silenzio che non finiva mai, solo Lisa continuava a singhiozzare, poi la tenutaria sembrò tornare in se: “Ragazze… ragazze - sospirò - Siamo in guai grossi, non so come, ma ne usciremo, tutte
insieme. Quello schifoso ha avuto quello che si meritava, per poco non ti ammazzava” disse rivolta a Mimì.
Poi, ritrovando il suo senso pratico: “Ma basta discorsi, forza signorine, piuttosto diamoci da fare per tirarci fuori da questo casino”. La tensione si smorzò e ci fu qualche risatina.
“Allora? Veloci, che da un momento all’altro c’è da vedere apparire il signorino Edoardo, non vorrei che gli prendesse un coccolone, ci mancherebbe altro che questo! Dobbiamo pulire tutto e soprattutto far sparire il morto, poi spargeremo la voce che il Bruni è dovuto ripartire velocemente
per il Giappone… e speriamo bene...”.
“Ma gli uomini che erano in sala potrebbero raccontare che era qui” osservò una delle ragazze.
“Ma figurati! Quasi tutti hanno una moglie a casa che li credeva a giocare a carte. Staranno zitti e ci reggeranno mano! Ora l’unico problema è come disfarci di questo” disse, indicando con il mento il Bruni.
“Ci penso io!”. Il vocione che arrivò alle loro spalle le fece sussultare.
Sulla porta si era stagliata la figura massiccia di Assunta, la donna che passava le sue giornate nel seminterrato a cucinare e lavare. Una presenza discreta, di cui le ragazze stesse si dimenticavano.
“Voi rimettete in ordine la stanza, portate le lenzuola in lavanderia, bruciate i vestiti di questo infame e dopo pulite tutto con l’acquetta”.
Poi, con aria compiaciuta, guardandole una a una, aggiunse: “Del morto mi occupo io”. Si era portata dietro una grossa mannaia e una balla robusta: quattro o cinque colpi sulle articolazioni e infilò i pezzi nel sacco, poi lo chiuse bello stretto con una corda.
“Assunta, o che giri di mattina presto alle Serre?” gridò l’uomo verso la donna che stava scendendo da Peccioli guidando il barroccio.
“Vo’ a prendere un po’ di verdura dal Fiorentini, le signorine vogliono fare la dieta!” disse ridendo.
“Un l’ho ancora visto passare stamani!”
“Eh, vorrà dire che l’aspetto, un’ho punta furia”
Assunta riempì l’attesa gettando pezzi di carne ai maiali bigi del Fiorentini e se ne tornò in paese solo quando i porci si furono sgranocchiati anche gli ossi.

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Al villino giallo di Lorella Giulotti è stato realizzato alla fine del Corso di scrittura dal titolo Storie a tinte gialle, promosso dalla Fondazione Peccioli per l’Arte e condotto dal giornalista Andrea Marchetti alla Biblioteca Fonte Mazzola.


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