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I pensieri fragili

di - martedì 28 aprile 2020 ore 07:30

Mi vengono in mente frasi prima di dormire, che al mattino non ricordo. Sono i pensieri fragili. Notturni. Hanno la resa del sonno e non la forza del mattino. Non hanno voglia di farsi giorno, proponimento, affermazione. Si lasciano andare, dimenticare, sconfiggere. Però, proprio per questo, a volte sono i più belli e forse anche i più veri. O, quantomeno, sinceri. Dicono di noi più di tante storie e memorie e non hanno nessuna pretesa di assurgere a verità, né da noi reclamano qualcosa. Appaiono e scompaiono, ci sorprendono e ci lasciano. Non cambiano niente e niente cambia loro, perché non sono essenza della realtà, semmai interpretazione. Avvengono, divengono e si trasformano nel buio che ci sommerge con il sonno. E forse ci inseguono nei sogni che facciamo. Bisognerebbe appuntarseli, scriverli prima che svaniscano.

Un giorno l’ho fatto. E al mattino ho letto. Il pensiero era questo. Non scrivere più, non vale la pena, vivi se riesci, prima che sia tardi. Ama se puoi. E che ci sia sempre una fruttiera colma sulla tua tavola: la bellezza della frutta è una ricchezza. Della vita e dell’amore si sapeva, ma questa della frutta era un pensiero a sorpresa. E, quanto alla scrittura, ho fatto finta di niente. Così sono andato al mercato e ho comprato frutta di stagione, ho recuperato una vecchia fruttiera, l’ho riempita e ho adornato la tavola. Da allora non manca mai la frutta in bella vista in casa. E case, come un transfuga con la mia fruttiera, ne ho girate assai.

Mescolare profonde tristezze, incontenibili allegrie, malinconie discrete, struggenti nostalgie e altri luoghi comuni ed essenziali dell’esistenza. Un pensiero all’amata. Ai figli. Ai figli dei figli. A tutti i cari. I tortellini in brodo di dado, resi allegri da vino e olio, una spruzzata di pepe e sentirne il raschiore in gola. Ascoltare una morna di Cesária Évora o un tango di Gardel. O, per stordirsi, The Hu, un gruppo rock della Mongolia. E ballare da soli. Senza vergogna, se non quella di sé. La vita sarebbe maledettamente semplice in fondo.

Insomma, vivere, amare, ci provo, faccio quello che posso. A volte è mancato l’amore, a volte la vita. I soldi quasi sempre. E molto ho anche sprecato. Ma la frutta, con l’allegria dei suoi colori, c’è sempre stata. Anche qui, anche ora, davanti a me sul tavolo di cucina e di scrittura. E pure se una facile battuta sull’essere alla frutta ci starebbe, la lascio alla lecita e salvifica ironia oppure ai miei detrattori o, ancor peggio, ai falsi estimatori e a tutti quelli...che chi se ne importa. Una cosa non ho fatto, non ho assecondato di quel pensiero fragile: non ho mai smesso di scrivere. Sono cazzate, ma proprio non mi riesce perdere il vizio. Mi dispiace. Chissà per cosa poi, chissà perché. A volte scrivere mi ha fatto compagnia.

Marco Celati

Pontedera, 9 Aprile 2020

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Per Césaria Évora e Carlos Gardel non c’è bisogno di presentazioni, qualche indicazione merita dare per The Hu. Si tratta di una band della Mongolia che mescola rock e folk, avvalendosi del sound degli strumenti musicali e dei canti di gola della tradizione mongola. Sembrano brutti ceffi, ma “hu” nella loro lingua è la radice di “umano”. I pezzi “Yuve Yuve Yu” e “Wolf Totem” sono molto coinvolgenti. Andrebbero affiancati alla lettura di “Yeruldegger, morte nella steppa” di Ian ManooK, pseudonimo di Patrick Manoukian, giornalista e scrittore francese di origini armene. Per spiriti forti e liberi, capaci di spaziare, nomadi, nelle sconfinate pianure della Mongolia. O per emeriti citrulli, stanziali come il sottoscritto.


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