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"In campo faccio del mio peggio"

di - sabato 08 maggio 2021 ore 07:29

Si perde nella notte dei tempi la prima volta che la fatidica frase “arbitro cornuto”, è stata gridata, a squarcia gola, in un campo di calcio. La moglie dell’arbitro non era sugli spalti, il direttore di gara, di quel giorno, non era neanche fidanzato e nessuno si offese. Si continuò nel tempo a gridare, ad offendere l’arbitro, ma nessuno reclamava e/o proponeva querela, e le Autorità sportive non prendevano alcuna iniziativa ma soprattutto nessuno si indignava.

L’esempio più eclatante lo possiamo vedere nel film cult “L’arbitro il tifoso e il calciatore” con i grandi Mario Carotenuto e Pippo Franco, con Alvaro Vitali nelle vesti dell’arbitro. Sono impegnati in un fantomatico derby in cui Pippo Franco, di padre romanista e suocero laziale è costretto a fare la spola correndo da una parte all’altra dello stadio, fra la curva nord e la curva sud, fingendosi una volta tifoso romanista e l’altra tifoso laziale, con giacca double face.

Per arrivare in tempi recenti chi non ricorda quella partita di Coppa Italia del 2003, quando Antonio Cassano reclamava un fallo subito e, nella foga, punta il dito in faccia all’arbitro e questo lo espelle. Ecco che subito dopo si materializza il sogno di ogni tifoso italiano. Nell’uscire dal campo Cassano allunga la mano destra con le dita a forca nei confronti del direttore di gara.

Le offese sugli spalti fra le opposte tifoserie hanno sempre qualcosa di goliardica sopportazione tanto da far apparire la cosa simpaticamente sopportabile. La Toscana è Firenze” tuonò uno striscione a Firenze in occasione di un incontro di calcio fra la Fiorentina e il Pisa ai tempi del suo presidente Anconetani. Quando i fiorentini andarono a Pisa, nella partita di ritorno, li attese un cartellone con la scritta: “C'avete l'aeroporto della Barbie”. La più simpatica e anche la più conosciuta, fu la botta e risposta fra i napoletani e i veronesi. Quest’ultimi accolsero i tifosi partenopei con un grande slogan scritto in giallo su fondo blu: “Napoletani benvenuti in Italia”. Nel corso della girone di ritorno i napoletani, all’inizio del secondo tempo della partita, stesero, il loro striscione: Giulietta è ‘na zoccola”. L’anno successivo, inaspettatamente i veronesi si vendicarono con un cartello: Napoletani: figli di Giulietta”

Così con l’impunità diffusa, dopo l’arbitro si è passati ad offendere i calciatori, gli allenatori, i presidenti, le forze dell’ordine e per ultimo anche i direttori sportivi.

Primi anni 2000, la locale compagine sportiva militava nelle serie minori. Dopo diversi anni passati in C2 e un anno in C1, a causa di una nerissima crisi societaria e del disamoramento dei tifosi, la squadra si trovò a incontrarsi con squadre di frazioni e di paesini.

Ci fu un tentativo di rilancio e diversi presidenti si alternarono alla guida della società sportiva. Uno di essi riuscì a ingaggiare un discusso direttore sportivo. Fu accolto con due sentimenti. Il primo di sospetto perché si conoscevano i sui trascorsi moralmente discutibili, e l’altro, di gioia con la speranza di una ripresa e del rilancio in categorie superiori.

Quella domenica pomeriggio la partita stava volgendo al peggio, si era raggiunto il pareggio ma subito dopo la squadra avversaria passò in vantaggio: così per ben tre volte! La partita si avviava alla fine e la sconfitta ormai sembrava scontata. Il pubblico rumoreggiava, imprecava, incitava e spronava; ad un certo punto smise di sostenere la squadra e si scagliò contro l’allenatore per poi indirizzare le offese nei confronti del direttore sportivo.

Uno dei tifosi lasciò la tribuna per raggiungere la rete a bordo campo per essere il più vicino possibile alla panchina dove, in piedi, il direttore sportivo osservava gli ultimi minuti di partita. Il tifoso una volta vicino al tecnico, lo chiamò ripetutamente affinché si girasse e non appena ottenne ciò che chiedeva lo apostrofò pesantemente. Il direttore sportivo avendo udito l’offesa, ripetuta più volte, si rivolse al maresciallo in servizio di ordine pubblico, anch’esso a bordo campo, chiedendogli se avesse sentito e annunciandogli la presentazione di una formale denuncia.

Il maresciallo invitò il direttore sportivo a non dare adito a ulteriori proteste da parte del tifoso, e avvicinatosi all’ultrà lo ammonì, invitandolo a ritornare in tribuna.

Il giorno successivo, il direttore sportivo, si presentò in caserma e propose la querela annunciata nell’immediatezza dei fatti. Il maresciallo non dovette fare altro che verbalizzare. Convocò poi il tifoso responsabile dell'insulto e una volta che questi venne a conoscenza della condizione di procedibilità avviata dall’offeso e la possibilità che questa potesse sfociare con un processo, meravigliato e nello stesso tempo con aria sconsolata si lasciò andare così:

“Maresciallo, se adesso allo stadio non si può più offendere nessuno, allora che mondo è diventato questo?”.


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