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Ma leggere rende liberi ?

di - lunedì 04 maggio 2015 ore 08:19

La mia risposta secca a questa domanda è NO. Però leggere è importante. Apre la mente. Consente di pensare. Farsi un'idea di come vanno le cose, partorire un'opinione. Elaborare una credenza. Solo leggere ci aiuta a decifrare il mondo e a confrontarci con i pensieri degli altri. Ma l'atto o anche la professione del leggere non genera immediatamente libertà. Tutt'al più la lettura può far sorgere il desiderio della libertà, infiammarci il cuore e la mente con l'idea di libertà, spingerci verso la conquista della libertà. 

Ma leggere non produce meccanicamente libertà. Di questa cosa gli stessi lettori più accaniti sono i primi a rendersene conto. La conoscenza dei libri e dei giganti del pensiero certamente aiuta a diventare liberi (magari all'interno di un proprio spazio mentale) e a sopportare con dolore una eventuale dittatura (e quindi servitù). Ma non ci sono relazioni meccaniche tra lettura e libertà. Può sembrare una contraddizione, ma è così. Si può essere analfabeti e liberi, come si può essere letterati e schiavi (o “servi” e “servili” nel senso deteriore che queste parole hanno nella loro accezione popolare). E di intellettuali “servi” gli esempi si sprecano anche nella contemporaneità.


Insomma per essere liberi non basta sapere le cose, aver studiato e letto un certo numero di buoni testi. Occorre essere persone forti, avere un lavoro che non ci condizioni troppo, e poi saper resistere ai potenti, saper dire di no alle persone che contano, non aspettarsi e non chiedere favori da chi sta al vertice della piramide e controlla enti e risorse. Tutti atteggiamenti e processi non facili da sostenere. Giorno per giorno. Ora per ora. E la libertà (insieme all'indipendenza di giudizio) non si conquista per sempre. La libertà è una lotta, che si fa ancora più dura nei periodi di crisi, quando i ricatti aumentano, l'autonomia diminuisce, il lavoro scarseggia e l'obbedienza viene premiata. Già, quando mi volto indietro, basandomi sulla mia esperienza personale, ho l'impressione che siamo tornati a vivere in un clima di fedeltà e di fiducia personale. 

Una fedeltà che non è più verso un'idea, verso istituzioni, verso partiti o verso associazioni, ma, in maniera molto più negativa, mi pare si tratti di una fedeltà che si esprime come un omaggio verso gli uomini che presiedono le istituzioni e che guidano e dominano i partiti. E lo fanno non con quello spirito “pro-tempore” che dovrebbe caratterizzare una democrazia matura. No l'omaggio, la fedeltà e il vassallaggio vanno a uomini che le istituzioni, i partiti e le associazioni le hanno conquistate, scalate, strappate ad altri e occupate. E quindi non le governano, ma le dominano come se fossero cose loro, beni privati, di cui disporre liberamente, con un eccesso di passione e di coercizione. 

Del resto per scalare istituzioni e partiti questi dominatori hanno ordito congiure, costruito cordate, fatto promesse, dispensato favori, creato proprie coorti, pretendendo dai propri pretoriani una fedeltà assoluta, in cambio di più o meno laute ricompense. E il familismo amorale degli italioti, noto agli antropologi culturali da oltre 60 anni, è andato a nozze con questi processi di fidelizzazione. Emblematico e maramaldesco esempio di questa cultura è il famoso tweet “Stai sereno!” con il quale si annunciava l’avvio della defenestrazione di un amico (?) di partito e se ne prendeva il posto. Ma di questi esempi non è pieno solo l'alto dei cieli della politica romana, ma anche la bassa cucina che ci sta a portata di mano. Anche qui gli uomini valgono per il grado di fedeltà che esprimono. E vengono premiati di conseguenza. 

Ma se così va il mondo (e va così), allora resistere alle relazioni di fiducia e di fedeltà “personali”, a questa specie di moderno feudalesimo, pieno di vassalli, valvassori e valvassini, è difficilissimo. Per i giovani (più ricattabili) e per i vecchi (patetici e paurosi). Perché rifiutare la fedeltà personale, dichiararsi liberi, significa mettersi fuori dalla cordata, fuori dal coro, fuori dalla consorteria e quindi collocarsi tra gli infidi, i sospetti, i potenziali nemici. E non conta neppure condividere le idee generali del boss di turno. I conquistatori del potere non vogliono che uno la pensi come loro (anche perché loro cambiano continuamente idea a seconda delle circostanze e di quello che gli torna più comodo). Pretendono fedeltà. Se ne infischiano della tua anima. Vogliono poter contare su di te. Sempre e comunque.

E allora essere liberi oggi (come ieri) non è affatto facile. Per tenere la schiena dritta, non basta aver letto molto. Servono anche carattere e coraggio. Ce lo ricorda l'immenso Manzoni che apre “I Promessi Sposi” con un uomo di chiesa che legge e che sa di latino, ma che si piega alla forza dei “bravi” e alle minacce del signorotto locale. No, leggere non bastava ieri e non basta oggi per essere liberi. Occorre qualcosa di più. Molto di più.


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