Parole
di - martedì 24 settembre 2024 ore 08:00
Le parole sono caramelle, mi dicevi. Si sciolgono o si spezzano in bocca. Si sputano, quando sono amare. E poi mi cantavi, Parole, parole, parole, parole, soltanto parole, parole tra noi. Con il refrain: Caramelle, non ne voglio più… Appunto. Una vecchia canzone. Uscita da un altro tempo, quando tutto cominciava domani.
Sei bella quando ridi, le dicevo. E lei, perché, se non rido...? E teneva una sospensione, che traduco in puntini, ma era un’amabile minaccia. Una divertita impuntatura. Ho sempre avuto la capacità di infilarmi in discorsi che non so condurre, tantomeno risolvere.
⁃ Ma no, era per dire. Sei sempre bella!
E lo è. Era per dire che sorrideva anche per me, che non sono portato. Non ho la bocca e i denti giusti: né quando li avevo guasti, né quando li ho avuti finti. Volevo dire, ma non lo dissi. Troppo complicato. Non per lei, che era vero che sorrideva anche per me e sembravamo felici.
⁃ Le parole, serbale, non le sprecare per sparare cazzate, che con quelle quattro o cinque cose buone che ti restano da dire ci vai avanti ancora un po’, prima di perdere la memoria. Semmai rifugiati nei pensieri.
Cosi diceva. Mi amava, senza darlo troppo a vedere.
⁃ Perché il bla bla non esiste solo in politica, ma anche in amore e in tutte le altre cose.
⁃ Dici? Chiesi.
⁃ Certo! Rispose.
“Certo” è il suo secondo nome. Il primo non lo rivelo, a tutela della privacy e mia.
- “Odio e amo. Perché lo faccio, forse chiederai. Non lo so, ma sento che accade e sono in croce”. Le recitai, pedante.
- “Che c'è, Catullo? Che aspetti a morire?”. Mi rispose per le rime.
Non lo so, ma spesso e volentieri le parole limitano il sentimento, non sono in grado di definirci, a volte nemmeno di definire la realtà. Non consolano, forse illudono di una qualche, inesistente verità. Di tanti moti del cuore, di tanta ispirazione, o di poca, il risultato è questo, alla fine.
“La parola non c’è/ che ti può possedere/ o fermare. Cogli/ come la terra gli urti,/ e ne fai vita, fiato/che carezza, silenzio./ Sei riarsa come il mare,/ come un frutto di scoglio,/ e non dici parole/ e nessuno ti parla”. Scriveva Pavese invano a Bianca Garufi. Si corrispondevano, ma non come avrebbero potuto. E comunque questi sono solo pettegolezzi che è bene non fare, in rispetto alla memoria.
Ma allora, le parole cadono tra noi leggere, oppure sono pietre? E se in principio era il verbo, che addirittura si fece carne, se le parole sono carne, sono carne e sangue? Quanto sangue? E, se sono pietre, sono per costruire o per flagellare? Non raccoglierò l’artificiosa e rivendicativa contrapposizione con i fatti, né sottoscriverò l’avvento dominante delle immagini. I geroglifici piuttosto, mi hanno sempre incuriosito o il linguaggio dei segni orientale. I simboli, ciò che si vede, ciò che si sente. Ma detesto gli emoji. Raccomando tuttavia attenzione alle parole: a dire “sempre”, ad esempio. Io uso “poi”, “dopo”, “in fondo”, “alla fine”, quasi mai uso “sempre”. Sempre, è tanto tempo. Troppo, forse. E non c’è dato. Anche “forse” mi piace. Sfumarle, lasciarle libere le parole, ma sorvegliarle.
E questi palazzi nella notte! Queste luci. Così struggenti, stringono il cuore. S’intuisce la vita e qua siamo vissuti. Ciao, mia cara. A presto. A un certo punto esistere diventa un elenco di mancanze: affetti e amori, dentature e prostate, cuori e cervelli. Anche se scervellati, forse, si nasce e io, modestamente, come diceva Totò, lo nacqui. Che lui lo diceva dei signori. Ma fa lo stesso. E tu che ripetevi, come in quel film di quell’attore famoso: Coso, là, come si chiama? Accidenti alla memoria!
- “La vita è come una scatola di cioccolatini, non sai mai quello che ti capita”.
Nemmeno quello che ti tocca, se per questo. E lo so che era un po’ scontato, ma era anche per dire dolce, e pure amaro, come certi cioccolatini. Appunto. E allora pensavo, da par mio, che la vita è una scatola di frasi, di cose lette o conosciute. E, prima che mi dimentichi, anzi che mi dimentico -fa più lingua parlata, parlata male- prima che mi dimentico, voglio ricordare. E questo ricordo, che ti voglio bene e ti dico arrivederci, amore mio.
Marco Celati
Pontedera, Settembre 2024
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P.S. Di questi tempi non si può non ricordare Pavese. E Catullo ci sta, con il suo famosissimo “Odi et amo”. Ma anche con “Quid est, Catulle? quid moraris emori?, che ho preso in prestito e sarebbe quasi “Bel mi’ mori’!”. E poi “Le parole tra noi leggere” che è Montale e “Le parole sono pietre”, Carlo Levi. Chiedo scusa. Il resto che ho scritto è mio ed è sincero. Anche Tom Hanks e “Forrest Gump” non li ricordavo davvero. E infine: lunga vita al congiuntivo!