Attualità domenica 26 gennaio 2020 ore 07:30
Il salotto buono e il villaggio degli ignudi
Pur se con varie denominazioni, i tre chilometri diritti della strada fra zona teatro e il chiesino rappresentano una principale realtà urbanistica cittadina
PONTEDERA — Tutta vestita a festa
La gioventù del loco
Lascia le case, e per le vie si spande;
E mira ed è mirata, e in cor s’allegra.
Anche nell' 800, ci fa sapere il triste e solitario Giacomo Leopardi ne "Il Passero Solitario" (lui stesso), si facevano le vasche del Corso (in questo caso di Recanati). E senza peccar troppo di campanilismo crediamo che quantomeno nel nostro circondario fatto di pianure, colline e fiumi e peraltro ricco di 200 mila abitanti, Pontadera sia la capitale delle vasche. Su è giù, giù e su. Con la recente aggiunta dei dilaganti cani a guinzaglio di famiglie, coppie, single e bambini.
Il Corso di Pontedera è il salotto buono della città, lo sanno tutti, ed è il suo decumano maggiore, ovvero la più importante strada, di concezione romana, insieme al cardo che nel nostro caso è rappresentato da via Castelli e via Gotti. Sul Corso ci sono più negozi che in tutte le altre strade pontaderesi e nel mezzo c'è la piazza-agorà (denominazione greca) con la chiesa vecchia sul lato est (una caratteristica delle chiese antiche che volevano guardare verso l'oriente cristiano) e il palazzo pretorio ormai senza tribunale ma riciclatosi con all'arte e all' apericena. Mentre a cento metri di distanza c'è Palazzo Stefanelli, il municipio, comprato dal comune alle soglie dell'Italia unita e ripagato dagli affitti dei fondi sottostanti ancora in attività.
Sul Corso i fondi commerciali privati devono comunque pagare affitti salati che scendono molto nelle stradine laterali, ma il gioco vale la candela anche se, a volte, la candela si spenge per consunzione lasciando il posto a un altro. Il Corso vero e proprio è lungo più o meno 400 metri ma l'intera strada che pur cambiando nomi, via Indipendenza, Viale Italia, Corso Matteotti, Via Primo Maggio, Via Pisana, corre diritta dalla zona del Teatro e di Panorama al Chiesino scalando anche il ponte napoleonico e con un piccolo passaggio pedonale sul piazzone invaso dalle auto, arriva a misurare tre chilometri toccando quattro quartieri: Forderponte, Centro città fino al 1554 racchiuso fra le mura medievali, Stazione, Villaggi. Per la verità ce ne sarebbe anche un quinto, il sub quartiere della Fornace (dalla fornace di mattoni di proprietà Leoncini in attività sull'Era e sull'Arno) ma come Cremèa e Belladimai nessuno ne parla più.
Proseguendo il cammino da est ad ovest, ecco il maxi quartiere dei villaggi: quello comunale o 'degli ignudi' e il villaggio Piaggio da una parte e la zona Magazzini e il villaggio Martelli dall'altra. Ma se il la storia del Villaggio (ormai ex) Piaggio realizzato alla fine degli anni '30 del secolo scorso è nota a quasi tutti salvo i nuovi pontederesi arrivati da lontano - circa 300 alloggi oggi in proprietà e spesso affittati o venduti dai proprietari agli extracomunitari - di quello comunale nato nel 1946 si sta perdendo il soprannome, diciamo così, originale. "Villaggio degli ignudi" perché tramite il Comune che lo costruì vi presero dimora le famiglie pontederesi rovinate dalla guerra tanto d'aver perso tutto. Vestiti e scarpe compreso. Qualcuna di queste famiglie - racconta Mario Marianelli che lavorò alla costruzione di quel villaggio per poi fare carriera politica - non pagava neanche l'affitto e tutte o quasi, comunque, invidiavano i vicini villaggini piaggisti che godevano di privilegi come fare acquisti tramite un libretto fornito dalla Piaggio, avere un asilo attrezzato, una palestra, un circolo e una chiesetta per i credenti.
Allora erano lussi, ora non sono più niente o quasi.
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