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Quando me ne andrò

di - giovedì 04 ottobre 2018 ore 14:13

Foto ed elaborazione grafica dell’autore

Quando me ne andrò dal mondo vorrei poterlo fare verso il tramonto, in una sera di queste, settembrine, che sul terrazzo è piacevole stare e vedere ancora la vita. Una sera con un sole giusto, l’aria fresca e pungente e una brezza a portare odori di cucina: la peperonata, le spezie del cous cous, qualche volta fritto o arrosto. Qualcuno starà apparecchiando nelle case, le famiglie, rientrando, si apprestano alla tavola. Il gatto di casa accovacciato sulla sedia a fare compagnia. A volte dai piani giungeranno grida, a volte amore. Le chiome degli alberi si muoveranno appena, gli uccelli voleranno silenziosi. Le auto si trascineranno in strada, rari i passanti, le persone muovendosi verso una direzione sconosciuta, come la loro vita, come la nostra. Poi il sole si abbasserà sotto le nuvole e i palazzi, tingerà di rosso il cielo e sarà il crepuscolo. Non più dì, non ancora notte, ancora luce che si arrende al buio.

Evitatemi la sofferenza, questo sì. Non c’è redenzione nel dolore, solo il terrore e non vorrei soffrire, oltre il distacco dagli affetti e dalle cose. E non ho coraggio. Vorrei che fosse come assopirsi. Del resto, quando ci addormentiamo non sappiamo dove il sonno ci conduce e abbiamo l’abitudine, ma non la coscienza sicura del risveglio. Dicono che “le persone non muoiono, restano incantate”. E i credenti che solo agli occhi degli stolti pare che moriamo. Sono stato un uomo fragile, sopraffatto dalla vita. E tutto quello che nella vita e dalla vita è stato fatto e disfatto. La bellezza e la miseria. L’onore e il disonore. La vita ci forgia, che ci piaccia o no. Ci forgia o ci piega. E poi ci lascia, che ci piaccia o no.

La sera che me ne andrò vorrei portarmi dietro la malinconia, ma non tutta. Un po’ lasciarne in dote, come lascito testamentario. Solo questo. Le persone sono migliori se alternano allegria a nostalgia. Non so perché: deve essere qualcosa che ha a che fare con la felicità che fugge, come l’orizzonte. Sospesi come siamo tra passato e futuro, tra realtà e sogno, tra vita e morte. Siate ragionevolmente divertenti e compatibilmente tristi. E progressisti: liberi, uguali e solidali. Restate umani e giusti, né poveri, né ricchi, proseguendo la stirpe. E quando sarà, a parte la dipartita, siate sereni. Al ritorno farete festa e scherzerete. Direte che a me sarebbe piaciuto. Comunque vada, la vita è a perdere, ma perdersi non è distante dal ritrovarsi. E poi vivere è a termine, un conto alla rovescia. E la sorte un’ironia.

Quando lascerò il mondo, mi piace pensare che l’anima se ne volerà dal terrazzo sulle case, le fabbriche e le scuole. Forse un giorno tornerò in un gatto curioso o in un cavallo pazzo. Ma credo di no. E, se starà per piovere, il vento porterà da lontano un sentore d’erba, come di fieno e funghi. E la pioggia laverà la terra. Le luci della città saranno accese. Poi non vedrò né sentirò più niente. E per un po’ mi ricorderete.

Marco Celati

Pontedera, 3 Settembre 2018

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“Il mondo è magico. Le persone non muoiono, restano incantate”, João Guimarães Rosa.

“Agli occhi degli stolti parve che morissero”, Bibbia, Libro: Sapienza, Capitolo 3,1-9.


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