Una bomba alla stazione
di - lunedì 12 aprile 2021 ore 07:30
Inverno del 1998.
Due uomini, vestiti di tutto punto con abiti mimetici, entrarono all’interno del bar Baldini, sul piazzone. Il bar si apprestava a chiudere, e stava servendo due giornalisti della vicina redazione. I due “paramilitari” si fecero servire uno stravecchio, e forse fu per quello che subito furono in vena di rispondere alle domande dei due cronisti, incuriositi dalle loro divise. Dissero: “apparteniamo all’area militarista del PKK, il partito dei lavoratori del Kurdistan, e ci stiamo recando ad Ancona per raggiungere i nostri fratelli e combattere per la liberazione della nostra Patria”.
I giornalisti accostarono il racconto al leader del PKK che poco tempo prima era giunto in Italia, dove, sicuro di avere asilo politico si consegnò alla Polizia. Il Governo presieduto da Massimo D’Alema prese tempo e come prevede la legge delegò il Tribunale, competente ad accettare o respingere la domanda. La lungaggine giudiziaria irritò il governo turco. Il Governo italiano non ebbe la capacità di trattenere l’esule e lasciò che s’imbarcasse per Nairobi ma lì, i servizi segreti turchi, forse aiutati dalla CIA, lo intercettarono e senza tanti discorsi lo misero su un aereo diretto in Turchia.
Due mesi dopo il Tribunale, riconobbe il suo diritto all'asilo politico in Italia ma nel frattempo era già detenuto in un carcere di massima sicurezza turco.
La presenza e le dichiarazioni dei due furono oggetto di un articolo di giornale, e la cosa divenne d’interesse anche delle forze dell’ordine.
Il mese successivo una coppia di fidanzatini, appartati in zona periferica, furono avvicinati da un uomo in mimetica che con fare poliziesco chiese loro i documenti asserendo di essere il Maresciallo del nucleo operativo dei Carabinieri del Tuscania di Pisa. Ai due ragazzi, che in un primo momento si erano impauriti, non mancò la freddezza di annotarsi il numero della targa dell’auto con cui l’uomo era giunto all’interno dell’area del villaggio scolastico.
Il terzo episodio si è svolto nella sala d’aspetto della stazione ferroviaria. Una borsa sospetta era stata rinvenuta e un uomo in mimetica la segnalò al capo stazione. Ai Carabinieri era già giunta una telefonata che li informava di una borsa contenente un ordigno esplosivo. Il capo stazione dopo avere invitato l’uomo a non toccare nulla e ad allontanarsi, telefonò alla Polizia
L’uomo in mimetica, non rispettando l’invito dell’impiegato ferroviario, prese la borsa e la portò all’esterno, lungo i binari, collocandola nelle vicinanze dei bagni pubblici. I carabinieri che per prima visionarono la borsa notarono dei fili elettrici fuoriuscire e udirono l’inconfondibile ticchettio di un timer in funzione. Gli operatori misero subito in sicurezza la zona invitando gli occupanti degli alloggi dei ferrovieri a lasciare le loro abitazioni.
Non fu facile fare intervenire gli artificieri antisabotaggio. Il loro comandante era riluttante a spostarli da Firenze, città d’arte e obiettivo sensibile, quindi invitava gli operatori a rivolgersi allo stesso ufficio della Polizia di Stato di Pisa. Il dirigente da cui dipendevano gli artificieri di Pisa era restio a spostarli dall’aeroporto anch’esso ubicato in città d’arte e obiettivo sensibile. Non rimaneva altro che agire alla vecchia maniera: avvicinarsi, aprire la borsa e constatare se si trattava di uno stupido scherzo oppure, nell’ipotesi più disastrosa, attendere la deflagrazione.
Nel mentre gli agenti si apprestavano ad avvicinarsi alla borsa, giunse la telefonata di ravvedimento. Un artificiere comunicava di avere avuto il “nulla osta” a partire e quindi di lì a mezzora sarebbe giunto sul posto. Come da protocollo si fece intervenire l’ambulanza con medico a bordo e una squadra dei Vigili del Fuoco.
L’artificiere non potendo escludere la presenza di un vero ordigno esplosivo, qualora fosse stato solo una simulazione. dette corso al disinnesco mediante cannoncino ad acqua.
Una volta “disinnescato” il presunto ordigno risultò una simulazione di ordigno con tanto di cronometro, fili di luce, pile elettriche, mancava solo la carica esplosiva.
Nel frattempo in piazza della stazione erano giunti tutti i rappresentanti delle forze dell’ordine, gli immancabili giornalisti e, preoccupati dalla notizia, il Sindaco e qualche assessore.
Smascherato il finto attentato, bisognava accertare chi avesse procurato l’allarme, e procurando nocumento alla circolazione ferroviaria che per due ore rimase bloccata con treni fermi a Empoli e Pisa.
Per gli operatori tutti i sospetti ricadevano su l’uomo in mimetica ormai inevitabilmente collegato come uno dei “guerriglieri del PKK” avvistati al bar Baldini e alla segnalazione dei due ragazzi innamorati in cerca di intimità.
Il brigadiere lo esaminò con fare apparentemente. L’uomo con la mimetica dichiarò di essere giunto a Pontedera in treno proveniente da Firenze alle 23,25. Una volta sceso dal treno e transitando per la sala d’aspetto, aveva intravisto la borsa sotto un sedile e incuriosito si era avvicinato per vederne il contenuto. Aveva osservato che poteva trattarsi di una bomba e pertanto avvisava i carabinieri.
Si accertò che nessun treno era giunto all’ora indicata, del resto l’uomo con la mimetica non aveva con sé alcun biglietto che provasse il viaggio. Una volta sceso dal treno e preso il sottopassaggio ferroviario questo conduce direttamente all’esterno e pertanto era incoerente il transito dalla sala d’aspetto.
Dissoltasi la tesi del rinvenimento occasionale della borsa, i fari del dubbio furono accesi sull’uomo con la mimetica che in tasca conservava una sorte di lascia passare grossolanamente redatto:
Tirana 25 aprile 1999
Il Comando della Policia di Tirana, autorizza il porto delle armi al portatore della presente di cui ne fa parte in missione speciale per operare nel territorio del confine montenegrino in territorio (albanese) Il Comando di Tirana.
Due timbri tondi che simulavano quelli di uno stato estero.
Gli inevitabili accertamenti a casa “dell’uomo con la mimetica” portarono al rinvenimento di materiale, riconducibile al confezionamento del finto ordigno esplosivo.
Sul capo d’imputazione il brigadiere annotò: “responsabile di avere collocato nella sala d’aspetto delle FFSS un finto congegno rudimentale con l’aggravante di aver provocato allarme alle Autorità, l’evacuazione di due abitazioni e l’intervento di personale artificiere.”
Così finì la finta carriera di un finto combattente del PKK.