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VENTOTTO

“Lo studio della chiocciola”, 1974 (part.) Grafica di Niccolò Belcari

di Nicola Belcari



. — PREFAZIONE

Il presente lavoro di scrittura e riscrittura di storie e novelle popolari o di autori classici, soprattutto Boccaccio, (maestro sorprendente per la libertà di pensiero immune dalla “mediocrità” delle convenzioni sociali) è consistito nelle seguenti operazioni:

  • scelta della storia e invenzione degli adattamenti con sporadici riferimenti all’attualità.
  • trascrizione nel linguaggio odierno.
  • sintesi estrema della vicenda con eliminazione di descrizioni, analisi psicologiche, articolazioni e complessità nei dialoghi e nell’esposizione più in generale.
  • inserimento e chiosa degli avvenimenti con proverbi tradizionali o di nuovo conio.

Le storie scelte hanno quasi tutte un tema comune: il tradimento, e più specificamente il tradimento della moglie, e l’amore in generale che contravviene alle leggi sociali o religiose.

La scrittura è semplice e piana; il tema è trattato con leggerezza; lo scopo è il divertimento senza trivialità con l’ironia che s’appunta contro ipocrisie e rivela contraddizioni.

Sono storie in gran parte inattuali che non devono suscitare rimpianto per un buon tempo andato che mai esistette, oggi che il meretricio, un aspetto particolare dell’amore illecito e una violenza antica quasi mai una scelta, ha una nuova frontiera, quella del “carrierismo”, che avvilisce il libero dono di sé.

Nel paese del “delitto d’onore”, diritto-dovere dell’uomo che assegna alla donna solo il ruolo della vittima, c’è parso una forma di risarcimento.

Una piccola rivalsa per tutte le violenze subite dalle donne, stuprate in tempo di guerra e di pace, sopraffatte dai mariti, in balia dei soprusi di signorotti locali, costrette ad immolarsi sulla tomba del coniuge, lapidate per adulterio (mentre quello del marito era praticato, accettato o non faceva notizia).

Oggi questa “bella tradizione” del “divorzio all’italiana”, come è stato definito, continua a trovare miseri e disgraziati seguaci accanto a nuovi costumi del tutto opposti che una volta avremmo definito “americanate”. C’è sembrato un modo per non condividere, da una parte, le severe punizioni di un tempo, dall’altra, le nuove morali che si condannano al sorriso.

Redenta la donna dal marchio d’infamia della “Lettera scarlatta”, non si vuole sostituire quella “A” con la “C” di cornuto, magari da appendere sulla schiena del malcapitato: si ha ribrezzo per l’innocente, o il colpevole che sia, esposto alla berlina. Il nostro sorriso è il riflesso di quello di un Eros sbarazzino che si prende gioco di noi e che non riconosce altra legge se non quella del suo piacere.

E se anche il marito se lo fosse meritato, come frequentemente accade, non ridiamo di lui e lo lasciamo libero di sciogliere un legame che non è più nella legge della natura, né in quella degli uomini, per andare incontro ad una nuova vita.

PROLOGO

Trovandosi a convivere in un ospizio, per vincere la depressione con una specie di terapia di gruppo, sette o otto pensionati, più o meno in là con gli anni, strinsero amicizia e cominciarono a raccontarsi storielle che avevano sentito da giovani nelle veglie (di alcune più conosciute cambiavano i particolari o ricordavano varianti diverse).

La loro non era la fuga volontaria dal mondo in un " buon ritiro ": i fastidi dello stare insieme forzato con altri erano parecchi, i legami col mondo forti e la televisione era là per rafforzarli. Compresero il pericolo di restare soli con la tv, nel mondo della tv, per tutti uguale, ognuno solo nello stesso mondo di ombre.

Nessuno poteva far niente per cambiare il mondo e allora si poteva per qualche ora dimenticare l'inferno lasciato fuori della villa che pure continuava a perseguitarli perché così è anche se l'uomo vivesse su uno scoglio o su un albero. Se fuggire non è possibile, possiamo lasciare per qualche ora quel fardello di consapevolezza che ci opprime, pensarono e si proposero di farlo con racconti e novelle.

E io, che sono stato impiegato alle Poste e perciò con le lettere me la cavo, ho scritto con parole mie queste novelle.

Sono storie di contadini, artigiani, borghesi, alcuni benestanti o agiati, dimentiche che intorno a costoro si svolge la vicenda di un'umanità divisa, del popolo dei poveri sopraffatti dalla miseria, schiacciati dall'ignoranza e tutto un mondo di drammi e tragedie, guerre, epidemie vecchie e nuove, notizie spaventose, paure, angherie nel mare immondo dell'ingiustizia.

Storie di un mondo senza Storia, che ignorano la vita vera, i sentimenti dei protagonisti. Storie per scordare oltraggi, delusioni, torti e patite schiavitù d’una società che è una gabbia in cui padroni e servi, ma tutti schiavi soli e disperati, si dibattono scambiandosi indifferenza o odio col rancore di prigionieri rabbiosi o annoiati.

S’illudono ubriachi di privilegi, i ricchi, a turno (perché non ci sono caste nelle società democratiche) borghesi o aristocratici, a seconda se ladri o discendenti di ladri (Il nobile o il ricco di vecchia data che si rammarica di non trovare parole abbastanza offensive per vituperare la genia dei “ villani rifatti, razzamaglia, avanzi di forca, schiuma di feccia di usurai ”, ecc. non si accorge che dando del ladro al parvenu, dà del ladro ad un suo avo). I milionari, ora miliardari, vegeti o rinsecchiti da opposti vizi, rimpinzati di cocaina, circondati da ruffiani, guardia-spalle, segretarie tuttofare, procacciatori di puttane e merci varie, spendono lo stipendio di un dipendente in una cravatta, sguazzano nell'oro, mantengono la ganza senza far mancare niente alla famiglia, assoldano alcuni, che hanno speso una vita sui libri, come cortigiani, per suggerire opinioni a chi ha difficoltà a farsene di proprie.

Commercianti, imprenditori, professionisti, nelle ville con giardino e nelle case al mare sono alle prese coll'antifurto, trascorrono nel lusso una vita senza valore, vorrebbero mangiare le ciliegie coi signori e ogni tanto ci riescono.

Mentre i poveri si sgozzano tra loro nei ghetti delle periferie. Mendicanti, disoccupati, prostitute, nei quartieri degli immigrati, sono in guerra con operai, negozianti, pensionati e impiegati intenti a scuotersi dall’abbraccio di quei miserabili che a loro s’aggrappano, a ricacciarli nelle paludi da cui cercano di uscire.

Il ricco caca sulla ragione, chi fila è senza camicia, chi non fila ne porta due. I più poveri coi poveri sono come mosche sulle carogne. Ma tutti addosso a quel carro di fieno per rubarne covoni o una pagliuzza.

Come una lupa magra fino alle ossa, l'Invidia s'aggira in cerca di cadaveri fra le rovine.

Il lavoro, la vita più recente ci allontanano da noi stessi, da un “paradiso perduto” che non fu mai tale ma lo è ora poiché lontano e irrecuperabile, perso nel mare sconfinato, nel magma dei ricordi.

Il mondo ci appare irriconoscibile, diverso da quello che fu nostro e di cui mantiene solo parvenze e l’offesa degli anni.

La realtà fa male e per non abbandonarci agli inutili rimpianti, perseguitati da idee solite e inconcludenti, insieme al mondo rinnegato dei rinnegati, dimentichiamo il nostro moralismo, lo squallore delle nostre abitudini, i nostri ammuffiti pensieri.

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MATTINO DI PRIMAVERA

Un mattino di primavera, nel giardino della villa, la nebbia dell’alba s’è diradata, tornano alla mente gli odori degli orti vicino ai botri. Uno dei pensionanti, ad altri compagni, racconta.

Quand’ero ragazzo la moglie del fattore mi chiese di accompagnarla nel frutteto. M’incaricava di reggere la scala mentre lei coglieva le ciliegie. Così facemmo. Alzando lo sguardo verso la donna quale fu la sorpresa: era senza mutande. Ricordai che il peccato della vista può portare alla cecità, stando a quello che si sentiva dire. Si trattava di un equivoco: secondo le dicerie si diventa ciechi per le attività manuali e pratiche conseguenti alla visione e comunque non è vero altrimenti io sarei cieco come una talpa. Rimasi combattuto sul da farsi, poi decisi: se avessi dovuto rischiare avrei rischiato un occhio solo e così strizzandone uno, rimirai in alto verso i frutti anche se non potrei giurare fossero ciliegie, mele o altro.

Quella visione mi accompagnò per lungo tempo. E oggi mi chiedo: si trattò di una dimenticanza assai strana? O la moglie del fattore colse, oltre le ciliegie, l’occasione di una lusinga con la riprova della sua capacità di suscitare il desiderio? E penso che, se anche il fattore non ha avuto da lamentarsene, quel giorno si sia consumato un tradimento.

Un ex venditore ambulante racconta come trovò rifugio e da mangiare, una volta. Ero in cammino da parecchio e lontano da casa, per la stanchezza e per cercare riparo dal sole inclemente, entrai in una vecchia fornace abbandonata.

Sentii nell’ombra gemiti e sospiri. Erano di due amanti che quando si accorsero della mia presenza si dettero alla fuga lasciando in un angolo una canestra con pesche, susine, fichi primaticci e una fiaschetta di vino bianco, dolce e spumeggiante. Mi rifocillai e mi tolsi la sete alla salute dei proprietari che nella fretta si erano dimenticati di chiedermi se volevo favorire. Li avevo intravisti appena: la donna pareva una contadina e l’uomo era un frate, che non aveva intenzione di portare al convento niente di quello che gli era offerto e avrebbe consumato tutto sul posto insieme alla caritatevole devota.

Come le ciliegie una storia tira l’altra.

Un altro rammenta la storia di una donna sorpresa dal rientro inaspettato del marito mentre si trovava in camera in compagnia di un uomo. Si rivestì in fretta e senza perdere la calma andò ad aprire la porta lasciando che l’amante rimanesse nel letto non essendo possibile né nasconderlo, né farlo fuggire. Per spiegare la situazione, insolita solo all’apparenza, sostenne di essere al capezzale di un viaggiatore improvvisamente infermatosi nei pressi della loro casa, con l’incarico di assisterlo ricevuto da un volontario della misericordia.

Il “malato” propose di chiamare un amico che avrebbe dovuto procurarsi un camice e fingersi medico.

Alla donna parve meno pericoloso avvalersi di un volontario vero col quale in passato aveva avuto una frequentazione più che amichevole, infatti l’idea con cui s’era tratta d’impaccio non le era venuta a caso.

Tutto il male non viene per nuocere o, se volete, di necessità virtù: rivide volentieri il vecchio conoscente, col quale rinnovò l’amicizia di un tempo; e costui, in cambio del favore, non ebbe bisogno di chiedere niente che non gli venisse spontaneamente offerto.

Gli ascoltatori sorridevano e uno di loro disse: perché non ci ritroviamo per raccontare le storie dei nostri vecchi?

E così fecero.

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CERCARE MARIA PER RAVENNA

Nel tempo antico, un vecchio, incurante dei propri mancamenti, volle prendere per moglie una giovane avvenente, ma ovviamente recalcitrante, che gli fu data dal padre di lei, poco avveduto e attirato dai possedimenti che il bavoso e petulante pretendente poteva vantare.

Ai tempi nostri ciò non accade, poiché affascinanti fanciulle si concedono con totale spontaneità ad attempati e raccapriccianti figuri se ricchi e famosi. È passato il tempo che Berta filava.

Fu così che un giovanotto invaghito della ragazza, e corrisposto, concepì, con un intento recondito che scopriremo, una disperata quanto stramba messinscena: si vestì da donna di campagna al fine di mettersi "a servizio" di nobili o facoltose famiglie: uno stratagemma curioso e ingegnoso.

Oggidì non più tanto insolito dato che ha trovato numerosi proseliti sulle strade della Versilia e dei boschi dell’entroterra.

Grazie a un comportamento ineccepibile, generoso e disponibile, riscosse un tale successo che la nomea si diffuse rapidamente e giunse all’orecchio del vecchio che dovendo lasciare la città, per un viaggio di lavoro, pensò di affidare la moglie, che sarebbe dovuta restare sola e senza controllo, alla compagnia di quella fantesca di cui tanto si celebravano le lodi.

L’incauto marito, predestinato cornuto, s’impegnò addirittura nella ricerca della serva di campagna che si era data per nome Maria, sino a riuscire a trovarla, e dopo averla convinta con una certa facilità, a introdurla e ospitarla giorno e notte nella propria casa.

È superfluo descrivere le cure e i servigi di cui la mogliettina poté godere.

Il simpatico servitore, esaltatosi per il compimento dell’ardua impresa, e la dolce sposa, alla quale andava a fagiolo, fecero fuochi d’artificio, andarono in brodo di giuggiole.

Se il laido vecchio lesinava sui denari e non ultimo questo era il motivo per cui aveva scelto la Maria, campagnola di modeste pretese, i giovani, invece, a cui pareva di aver fatto e di stare come Carlo in Francia, generosamente non si risparmiarono e lo servirono in abbondanza di corna, del resto meritate, ramificate, da cervo reale.

Come si vede, alla fine, il bene trionfa sempre.

La cortese servetta non mangiava a ufo e certo si guadagnava la pagnotta; la sposina veniva considerata dalla gente un modello di virtù per il suo comportamento schivo e riservato: infatti non stava tutto il giorno fuori di casa come tante altre civette.

Omnia vincit amor

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VALE PIU’ LA PRATICA DELLA GRAMMATICA

A Pisa, un uomo di legge, dotato d’ingegno e di profonda cultura giuridica, molto ricco e stimato, si persuase di pretendere una moglie giovane e bella credendo di poterla soddisfare coi bei discorsi e con la sua posizione. Il signor giudice se avesse consigliato se stesso come faceva con gli altri avrebbe scampato quel pericolo. Convinse soprattutto il padre della più affascinante ragazza del suo quartiere, di nome Bernarda. Le nozze furono magnifiche, ma poco mancò che la prima notte non si concludesse in bianco. Per questo il giudice, diventato migliore estimatore delle sue forze, cominciò a insegnare alla moglie un calendario nel quale non c’era un giorno senza un santo o una ricorrenza per rispetto alle quali non si dovevano l’uomo e la donna accoppiare; e come se non bastasse c’erano digiuni e vigilie dei più vari periodi canonici e le quaresime e persino le fasi della luna, quando non adduceva impegni di lavoro. La donna si faceva sempre più malinconica perché andava bene se le toccava una volta al mese mentre il signor giudice si preoccupava soltanto che altri non le insegnassero i giorni di lavoro come egli le aveva insegnato le feste.

Un’estate, al mare a Montenero, Bernarda si allontanò dalla riva in barca, fu abbordata dai dei pescatori e "rapita" dal loro capo, Mino.

La donna pregava spaventata e Mino cercava di confortarla con dolci parole. Poi, siccome non teneva calendari alla cintola ed era sommamente ignorante di feste e di quaresime, prese a confortarla coi fatti.

Venendo a sapere dove la moglie si trovava, il giudice andò per liberarla dalla prigionia del sequestratore, disposto a pagare il riscatto che l’odioso individuo avrebbe preteso.

Quando i due uomini s’incontrarono, il giudice scoprì che l’altro era di civili costumi, che si dichiarava comprensivo e certamente avrebbe lasciato libera la donna solo che questa avesse riconosciuto come tale il marito.

Il giudice rincuoratosi prefigurava l’abbraccio della moglie e rimase di stucco quando questa fece finta di non riconoscerlo. Egli pensò di essere trasfigurato dal dolore patito o che più probabilmente, la moglie fosse uscita di senno per la terribile esperienza sopportata. Chiese di parlare con lei da solo perché la presenza del marinaio poteva intimidirla o costituire una minaccia. Ottenne il colloquio e disperato ricordò come l’avesse perduta e tanti altri particolari della loro vita in comune.

La moglie alla fine, dopo tante insistenze e dichiarazioni d’amore, rispose ridendo: ”Certo che vi conosco, ma voi piuttosto non mi conoscevate e mai vi siete accorto di come io fossi e di cosa avessi bisogno. Se vi interessavano più le leggi della moglie non avreste dovuto sposarvi. E anzi mi siete sembrato più un banditore di feste che buon giudice. Dove sono ora non ci sono feste e sempre si lavora al mio orticello e intendo qui restare e continuare, che le feste le farò da vecchia. Andatevene e fatevi tutte le feste che vi pare". Il marito afflitto chiese: "Non hai riguardo all’onore? Ai parenti? Vuoi star qui come bagascia, vivendo in peccato mortale?”. Allora la savia Bernarda rispose: "L’onore è perduto, ma non c’è da fare drammi: l’acqua che bagna è solo la prima. I miei parenti pensarono a me quando mi dettero a voi? Qui sono tenuta come moglie tutte le notti, mentre a Pisa si dovevano congiungere i pianeti. Voi promettete di sforzarvi, ma per quale piccolo miglioramento? Un misero brodino, rispetto alle gran cene che qui s’apparecchiano".

Il vecchio tornò a Pisa e come costantemente inebetito sempre diceva e, a qualunque domanda, rispondeva: "Il mal foro non vuol feste". Deperì ogni giorno di più, fino a morire. E se ci rincresce per il povero vecchio, punito troppo severamente, Bernarda fu però finalmente libera di sposarsi con Mino. Il suo amore meritava di essere benedetto e legittimo e così la sorte volle.

Viva la Bernarda!

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DARE LA LATTUGA IN GUARDIA AI PAPERI
Un mercante di stoffe di Prato aveva una moglie belloccia e ben tornita, ma noiosa a causa della gelosia: spesso e volentieri strillava per la casa proprio per tale motivo. Nel casamento abitava una vedova e con lei una nipote, bella come una rosa e in età da marito. Il mercante, al quale sarebbe piaciuta anche una capra con una cuffia, avendo continuamente sott’occhio questa giovane, di nome Caterina, se ne invaghì e sempre più la desiderava. La facilità di incontrarla gli permise di stuzzicarla e pressantemente farle profferte: con i complimenti e le promesse l’accerchiava tanto che la ragazza, compiaciuta e incuriosita dalle faccende d’amore e di provare, gli confessò che solo la paura di rimanere incinta le impediva di abbandonarsi.Il mercante, resosi conto che a nulla sarebbe valso insistere, si convinse che era indispensabile, per poter soddisfare il suo desiderio, trovarle un marito.S’industriò talmente che riuscì a far capitare come casuale la conoscenza di un giovane, un partito conveniente e onesto, figlio di un mercante par suo.Fu fissata la data del matrimonio e il mercante spiegò a Caterina che non c’erano più impedimenti alla loro passione: se dovesse succedere d’ingravidare non ci sarebbe da cercare il padre. Messosi d’accordo su come penetrare nella stanza della futura sposa, si ricordò della gelosia della moglie e che sarebbe stato difficile escogitare una scusa per uscire di notte; per questo non trovò di meglio che mettere a parte della situazione un suo apprendista, un giovanotto di vent’anni, per vantarsene, ma soprattutto per chiedere un favore scriteriato: prendere il suo posto accanto alla moglie affinché non si accorgesse della sua assenza. Spiegò come dovesse fare per sostituirlo e le sue abitudini.La notte, come d’accordo, il mercante si alzò da letto come per espletare un piccolo bisogno, poi, col cuore in gola, traversò una loggia e per una porticina raggiunse la giovane e con lei si sollazzò come da tempo aspettava, con gran dispendio di energie.Intanto il garzone introdotto nella camera della padrona dal marito, si coricava accanto alla donna mettendole una mano sul fianco come era solito fare il marito; avrebbe poi, secondo le istruzioni, dovuto girarsi dall’altra parte, fingendo di voler dormire. Al soave contatto, al morbido e accogliente tepore, il giovane di ogni cosa si dimenticò, sentendosi tutto rimescolare e crescere un sentimento strano e gradevole, un fremito e un brivido. S’immedesimò nel ruolo di marito dando il meglio di sé, coll’impeto della sua giovinezza, gagliardamente.Fu così che mentre il mercante coglieva il primo frutto del giardino della sposina faceva becco il futuro marito e se stesso, castronaccio sciagurato che non era altro.Il garzone danzava la trevigiana facendo il muto: il silenzio è d’oro quando del marito il posto si è preso di nascosto.Alla mattina, la moglie, contenta come una colomba, preparò una robusta colazione con uova fresche per rifocillare il marito che giudicava senz’altro spossato o almeno provato. Il marito notò la ricchezza dell’apparecchiatura, la premura e certi ammiccamenti della moglie dei quali domandò la ragione. La moglie, sorpresa della smemoratezza, lodò le prestazioni notturne e non mancò di enumerarle, informando il marito di quante volte e di quanto si fosse spinto nel territorio di Corneto.La storia non finì così, anzi ebbe strascichi a non finire: il marito bastonò l’apprendista e lo cacciò dalla bottega, fu trascinato in tribunale dal padre di costui al quale dovette pagare i danni e una multa. Tutti seppero l’accaduto compreso il futuro sposo che non sappiamo bene come la prese nello scoprire che la sposina non aveva per lui digiunato la vigilia di santa Caterina, come d’usanza. Ma Tempus omnia medetur.Di certo si conferma il detto: chi di spada ferisce, di spada perisce.
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PER LA MOGLIE TROPPO BELLA CI VUOLE LA SENTINELLA
In Maremma, dei mercanti conversavano piacevolmente dopo cena e ragionavano delle donne più belle che avevano conosciuto e avendo molto viaggiato molte ne avevano viste, ma una in particolare dicevano essere bellissima, la signora Beatrice, moglie di Maso Bonifazio, un ricco commerciante di Bologna. Tanto lodarono la bellezza della donna che il figlio di uno di loro, Marcello, restò così suggestionato che fu preso dal desiderio di vederla. Chiese al padre di lasciarlo partire per un viaggio adducendo una nobile iniziativa come scusa, e questi acconsentì.Marcello andò a vivere a Bologna dove, dopo un po’ di tempo, con manovre accorte, riuscì a farsi prendere come garzone nella casa della donna. Invece di essersi tolto quella voglia, subito se ne innamorò perdutamente, perché la sua bellezza era superiore a quella immaginata e al racconto che se ne faceva.Il comportamento del giovane fu irreprensibile per un lungo periodo, fino a quando, un giorno, non poté fare a meno di dichiarare a Beatrice il suo amore. Fece ciò con sincera convinzione e sembrò avvedersene la donna che promise di compensare la lunga attesa e la dedizione portatale, la notte stessa. “Vieni stanotte a trovarmi, lascerò la porta aperta e tu ti coricherai al mio fianco”.Marcello così fece seppure impaurito perché non era sicuro delle intenzioni della donna e perché il marito dormiva dall’altra parte. Beatrice prese la mano di Marcello e svegliò il marito per raccontargli del garzone che sembrava tanto fidato e aveva invece avuto l’ardire di farle proposte sconvenienti; e intanto non dava cenni di voler lasciare la mano del servo, immobilizzato dalla paura: non poteva reagire e stava pensando che la donna aveva intenzione di smascherarlo e per essere creduta aveva trovato il modo di farlo cogliere sul fatto.“Marcello è stato così sfrontato da darmi un appuntamento per stanotte nel giardino e se non credi, che anche a me pare impossibile e non l’avrei mai giudicato un traditore, vai al luogo fissato nascosto sotto un mio mantello, che possa scambiarti al buio per me, e vedremo”. Marcello si rianimava mentre la donna concludeva il suo discorso e la mano in ostaggio poneva sulla parte di sé più segreta. Il marito, da babbeo qual era, accettò il consiglio.La moglie e il garzone colsero rapidamente, ma con intensità inusitata, il loro piacere, che non sarebbe stato possibile procrastinare, mentre il marito camuffato da donna stava all’umido ad aspettare di farsi confezionare ricchi ornamenti per la cervice.Beatrice, non potendo continuare, ma solo rimandando ad altre occasioni, le repliche, propose il perfetto compimento del trattamento intrapreso e suggerì a Marcello cosa gli restava da fare.Il servo perciò uscì, strappò un rametto di quercia col quale si mise a battere il padrone dicendo: "brutta donnaccia, ho inteso metterti alla prova per accertarmi della tua fedeltà verso il padrone, vattene e guardati da qui innanzi da essere indegna di tuo marito!"Il sor Maso fu veramente soddisfatto di aver toccato con mano (e sulla schiena) nello stesso tempo, la fedeltà della moglie e del servo più caro.Non resta che da encomiare la dedizione di un bravo giovane e da compatire la sorte toccata, a una donna dotata di straordinario ingegno e bellezza, di un marito "allocco", ma se non altro cattiva sentinella, "becco e bastonato".

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UN TERZO NON INCOMODO
A Perugia, un uomo ricco, chiamato Pietro, per mettere a tacere le chiacchiere sul proprio conto secondo le quali bazzicava l’altra sponda, prese moglie, Valeria, una donna in carne, rossa di salute, che avrebbe avuto bisogno di due mariti piuttosto che di uno.
Il marito non aveva il capo a certe cose e la moglie, dopo aver pazientato oltre il lecito, pensava: costui mi trascura per andare con gli stivali nell’asciutto. M’ingegnerò di trovargli il supplente, sia fulminata se non sono nel giusto.
La signora Valeria si confidò con una vecchia che sembrava una santa, ragionava della chiesa e stava sempre col rosario in mano, la quale convenne e anzi esortò la moglie a non perdere la giovinezza e marcire nei rimpianti, per poi magari sentirsi dire- alle giovani i buoni bocconi e alle vecchie gli stranguglioni – ed essere cacciata in cucina. Con l’aiuto della vecchia, che combinava gli incontri, passò da un uomo a un altro.
Una sera, che il marito non c’era per un invito a cena, aveva in casa uno dei soliti ospiti, quando sentì improvvisamente che il coniuge stava rientrando. Nascose il giovane sotto la cesta del pollame in una loggia.
Pietro raccontò che a casa del conoscente si apprestavano a mangiare quando scoprirono un amante nel ripostiglio, tradito da degli starnuti. Ne nacque un putiferio: il marito avrebbe voluto uccidere la moglie e si era fatto trattenere. Valeria, sentendosi in dovere di commentare, biasimò il comportamento della donna, femmina colpevole, che, per aver infangato l’onore suo e del marito, avrebbe meritato non si sa quale punizione. Pietro, rimasto senza cena, avrebbe voluto mangiare, ma la moglie cercava di convincerlo a rinunciare che l’ora era tarda e sarebbe stato meglio coricarsi, sulle spine per l’incomoda presenza. Intanto il “supplente”, piuttosto nello stretto e costretto a una prolungata immobilità, urtò il tacchino col quale condivideva la gabbia e l’animale lo beccò ripetutamente con violenza. Al giovane non fu possibile trattenere un urlo.
Pietro scoprì il ragazzo: era chiaro perché fosse lì, lo riconobbe perché aveva tempo indietro anche cercato di farselo amico. Il marito portò per mano il curioso pollastro di fronte alla moglie e condannò con dure parole le femmine, che sono tutte della stessa razza, ecc. La donna, superata la paura di essere picchiata e notato poi l’atteggiamento poco dispiaciuto del marito, replicò che lei si pigliava ciò che le spettava e da lui non riceveva. Pietro allora chiese alla moglie di preparare la tavola per cenare insieme e che poi si sarebbe trovato il modo di contentare tutti e tre.
Non si seppe mai come, ma così certamente fu, e lo stesso giovane appariva l’indomani assai confuso su ciò che davvero gli era capitato quella notte.
Omne trinum est perfectum ?
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QUEL CHE SI TEME S'AVVERA
Un mercante arricchito, pidocchio bisunto, cattivo giudice degli altri perché buon giudice di se stesso, stimava tutti ladri e all'occasione traditori come egli era, guardingo e sospettoso, teneva la moglie Carmela alla stregua d'una prigioniera.
La donna, ingiustamente oppressa, era stanca a tal punto di subire l'avvilente condizione che s'avviò a consolarsi della propria situazione in modo alla fine da giustificare gli ingiusti sospetti.
Credere di conservarsi la fedeltà di una donna con la chiave di casa è come portare l'acqua in un paniere: dovrebbe saperlo anche l'uomo ottenebrato da un vizio quale la gelosia.
Una delle poche persone che la donna poteva frequentare, sia pure col marito sempre nelle vicinanze, era un medico, o presunto tale, esponente a discorsi della scuola salernitana, in realtà un vero "praticone". Curava con l'aiuto della natura che il più delle volte guarisce, sapeva con le parole tranquillizzare e dar coraggio, mai una volta che non avesse una diagnosi e una terapia, e non trovava cause vaghe come capita oggi: l'influenza, il nervosismo, ecc. Sfruttava ciò che sapeva, quello che i pazienti dicevano e per come lo dicevano, poi dava responsi che lasciavano stupefatti, come se fosse un indovino. Se sentiva odore di stufato, allora tastava la pancia e diceva: "Hai mangiato fave? Questo gonfiore all'intestino è colpa delle fave."
Un giorno fu chiamato da Carmela per una storta a una gamba. Egli palpeggiò la coscia tanto a lungo che più la donna guariva, più egli s'incomodava. La cura non poteva essere esauriente e adeguata al bisogno per la prossimità del marito. I due però s'intesero con un'occhiata e la donna concluse dicendo al medico che l'avrebbe avvisato appena ci fossero state delle novità.
Carmela, qualche giorno dopo, chiese al marito di potersi confessare. Il malfidato marito le rispose con una domanda: "Quali peccati hai commesso per aver bisogno di far questo? " " Certo non devo dirlo a te." Di fronte ad un'argomentazione inconfutabile l'uomo si rassegnò, ma impose alla moglie di andare da un certo prete di sua conoscenza.
Il marito convinse il prelato, uomo di pochi scrupoli, a cedergli posto; indossò la tonaca, si nascose dentro il confessionale, e si tenne in bocca dei noccioli di susina per alterare la voce. La moglie lo riconobbe e iniziò dicendo che era innamorata di un prete, al che mancò poco che il marito non ingoiasse i noccioli, col quale si sarebbe incontrata quella sera nel celliere di casa sua, perché non c'era stanza in cui il suo amante non potesse entrare e che poteva vederla a suo piacimento.
Così mentre il marito stette tutta la sera dietro la porta del celliere, Carmela poteva farsi visitare e curare nella sua camera dal medico (nel frattempo informato), puntuale come di rado accade, i suoi colleghi infatti sovente devono esser sollecitati per le loro prestazioni.
Il marito deluso per non aver colto sul fatto la moglie, si contentò di rivelarle che era a conoscenza del suo tradimento e intonò un'aspra reprimenda. La moglie però non gli dette il tempo di continuare e di giungere a minacce di provvedimenti, dicendo: "Ti riconobbi e pensai di dirti quello che andavi cercando e tu accecato di gelosia non ti sei accorto che stavo parlando di te. Dissi che amavo un prete e tu non ti eri forse fatto prete? Non dissi che potevi entrare in casa nostra e vedermi quando ti pare?" l'uomo si convinse del proprio errore e non poté fare a meno di apprezzare lo spirito della consorte.

La storia ebbe anche un seguito. La donna, tempo dopo, rimproverò il prete per essersi prestato al cambio di persona. Il prete ne convenne, ma fu così abile a scusarsi che i due finirono per intendersi e a tal segno che le confessioni divennero frequenti. In quelle occasioni Carmela descriveva le cure ricevute, senza lesinare particolari che il prelato chiedeva di conoscere per meglio adempiere al proprio ufficio. Il racconto di tali pratiche infuse nel prete il desiderio di procurare a sé e ad altri gli stessi benefici, nonostante non fosse medico. Carmela, d'indole misericordiosa, comprese che la miglior cosa fosse curarsi a vicenda.

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UN BUON AFFARE
Il signor Benvenuto, un uomo assai ricco, s’innamorò della moglie di un negoziante, che aveva nome Guglielma.Egli capì presto che i suoi modi e la sua corte non avrebbero avuto fortuna con lei che, sebbene poco affezionata al marito, era molto onesta. Tentò allora di parlare col marito che sapeva essere avaro e venale. A lui confessò la sua passione dichiarandosi onesto e leale proprio perché gliene parlava e chiese se per una ricompensa milionaria, una somma cospicua, poteva consentire a lasciargli solo per una notte la donna.Il negoziante, che per molto meno sarebbe andato lui col signor Benvenuto, la notte stessa a letto a ogni occasione lamentava le difficoltà economiche finché raccontò alla moglie l’offerta del riccone aggiungendo che una cosa fatta per la famiglia e con cautela sarebbe come mai avvenuta.La moglie infuriata, secondo il marito senza averne motivo, minacciò, ancora più strano proposito, di ricorrere all’aiuto dei fratelli. Infatti appena il marito fece nuovamente la proposta, non prima di un giro di parole che giudicava opportuno e consono per porsi al riparo da altre reazioni poco ragionevoli, esagerate e scomposte, lei raccontò tutto ai fratelli.A costoro il marito servì una spiegazione che s’era preparato: “saputo che il signore insidiava Guglielma e temendo trame alle mie spalle, ho voluto mettere alla prova vostra sorella che mi ha confermato, rivolgendosi a voi, nel miglior modo la sua virtù”. I fratelli si convinsero poiché era più plausibile quella spiegazione rispetto all’altra possibile che prevedeva come motivazione di volersi fare becco contento per soldi.La donna però sapeva come stavano le cose e perse la stima già vacillante nel marito nel medesimo tempo in cui la corte del signore era più intensa e sentita. Perciò quando il marito accennò senza esporsi troppo alla vecchia idea alla quale non aveva mai rinunciato, lei si disse rassegnata ad agire secondo i desideri del marito. Il negoziante confermò che il facoltoso signore onestamente si era rivolto a lui non con trame alle spalle per mezzo di mezzani, che sarebbe stato come il sogno di una notte da dimenticare senza conseguenze se non quella dell’arricchimento della famiglia. La donna lo stimò per quello che era e contrariata dai fratelli che l’avevano a lui riconsegnata, acconsentì che dovere di moglie è l’obbedienza.La moglie chiese per l’ultima volta al marito che l’accompagnava di pensare bene a ciò che faceva per non avere a pentirsene.La notte chiarì tutti i dubbi: mai il marito aveva offerto merce di simile valore.Quando il barlaccio di marito si recò al palazzo del suo cliente per riprendersi la moglie, fu introdotto in una stanza dove venne ricevuto proprio da lei che lo salutò cordialmente.L’uomo disse di essere pentito, di non aver mai dormito al pensiero di quello che la moglie stava passando. La donna volle tranquillizzarlo: “caro mio io non volevo fare quello che mi chiedevi ma ora ho capito quanto tu avessi ragione e purtroppo ho perso tante notti che non potrò riavere perché se tu non hai dormito per star male, io ho vegliato bene e con piacere e neanche in un anno con te avrei avuto lo stesso. Non tornerò più con te e siccome il signor Benvenuto mi ha fatto sua signora, posso consegnarti il denaro per cui hai venduto il nostro onore”.“Stai certo scherzando?” chiese l’uomo.La donna decisa consegnò i soldi al marito al quale non restò, per il meno peggio, che prenderli e tornare a casa dove prima o poi avrebbe ricevuto la visita dei cognati.Quello che sembrava un buon affare lo era, ma non per lui, che aveva creduto di dar la lana e invece dette la pecora.

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POMERIGGIO D’ESTATE

Nel pomeriggio quando si rianima il reclusorio, finito il riposo del dopopranzo col silenzio dei corridoi deserti, in attesa di uscire all’esterno sotto il pergolato alla sera quando l’aria raffresca, i pensionanti si ritrovano allo spaccio. Chiacchierano di un po’ di tutto trangugiando una bibita o sorseggiando il tè, coi ricordi del passaggio della guerra, del tempo che fu; rammentano, con orgoglio e un amore senza “quistioni”, i figli lontani e così impegnati da farsi vedere poco, si sa un padre campa dieci figli ma dieci figli non campano un padre.Fuori, un sole da spaccare le pietre brucia la campagna, secca il fieno, sotto un cielo di latte la luce abbaglia e luccica sulle piante.L’infermiere procede spedito stornellando fiorin fiorello… la noia cominciò dopo l’anello.La dispensiera sguscia al solito ricoverato che cerca un contatto attratto dalle natiche debordanti costrette nella veste, mentre a un altro che la invita per la notte dice che chi non può far di fatti fa con le parole.Uno racconta agli occasionali compagni, che fanno finta di crederci, di essere stato da giovane in un paese africano o in Asia dove uomini semiselvaggi accoglievano i forestieri con giovialità offrendo cene saporite e si offendevano se l’ospite per la notte avesse rifiutato la moglie.Uno chiede alla ex perpetua se il prete le faceva sapere durante i riti in latinorum, come cuocere il pollo, mezzo lesso e mezzo arrosto e per Cristo dominum nostro.Un’altra ricorda i vecchi indovinelli quando i figli neri erano i pinoli.Nel frattempo l’infermiere alle battute risponde sulla stessa musica: “canto per dispetto, chi non mi vuol sentir ritorni a letto”.La discussione comune è sul matrimonio: l’eterna lotta tra un uomo e una donna.Nel matrimonio gli screzi sono pane quotidiano, solo l’adulterio ne incrina le fondamenta, o le rinsalda quando l’ipocrisia regna. Da quando esiste questa istituzione in casa si discute su chi porta i pantaloni e quando un nobile mise in palio un cavallo per quell’uomo che non si faceva comandare dalla moglie, l’unico che affermò che in casa sua comandava lui, non poté ritirare il premio perché la moglie pretendeva di scegliere quello che piaceva a lei.Marito e moglie sono buoni a litigare per ore su quello che hanno mangiato all’osteria un anno prima, se erano merli oppure tordi. Sono buoni di discutere su chi in una fredda notte di temporale si dovrà alzare da letto per andare a chiudere la finestra rimasta aperta e sbattuta dal vento.Un marito, si racconta, diceva alla moglie: già che sei in piedi prendimi questo, o fai quest’altro, finché una volta, alla donna che tornava dalla fonte con l’acqua, disse: già che sei bagnata torna alla fonte a prendere altra acqua. La moglie gli rovesciò addosso il secchio: vacci tu, ora sei bagnato anche te.Mirabile riprensione fu quella della moglie di un contadino, nei confronti di questi che per sfogare l’ira cercava pretesti per litigare. Quando la moglie gli portò da bere mentre lavorava nei campi alla mietitura, durante il solleone, egli dette fuoco a un covone. La donna capito che il marito cercava tigna, invece di inveire contro di lui, ne approvò l’operato e anzi si mise a scaldarsi. L’uomo ritrovò la ragione.Un atteggiamento, un comportamento ben diverso da quello di Griselda, incapace di odio e d’amore ma solo di supina obbedienza e rispetto per un marito criminale feroce, torturatore disumano e assassino. Egli mette la moglie alla prova facendole credere di voler uccidere i figli, di volerla ripudiare per una nuova amante. La moglie non si ribella, ma ha superato o fallito la prova assecondando tale pazzia omicida? E il marito finisce per amarla perché oggetto amorfo nelle sue mani o perché folle e criminale come lui ? Ed è amore questa comunanza di orrore, di negazione della vita?Mettere alla prova la moglie è sconsigliabile come sanno coloro che travestiti hanno tentato la moglie o la fidanzata, o hanno incaricato altri di farlo.E la forma più raffinata, di una sciocchezza sublime, di essere tradito è quella che il marito stesso si procura inventandone le condizioni.Il primo fu un re così estasiato dalla bellezza della moglie che non riusciva a contenere l’ammirazione e non poté fare a meno di mostrare di nascosto la moglie nuda a un suo cortigiano, per orgoglio o vanagloria, per essere invidiato. Questo, una volta considerato un fatto eccezionale, foriero di disgrazie e tradimento, oggigiorno è pratica comune di sconsiderati o di chi cerca nel desiderio degli altri di rafforzare il proprio.La discussione infine si esaurisce, infarcita di motteggi indispensabili per sostenere le proprie argomentazioni e screditare quelle avverse: tu non ti ricordi nemmeno cosa hai mangiato oggi… vuoi insegnare a babbo a fare l’amore…e così via.Intanto si è fatta l’ora che un venticello invita a sortire…

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E' UN GRAN MEDICO CHI CONOSCE IL SUO MALE

Un medico assai stimato e valente nella sua professione ,ma poco accorto, era sposato a una donna troppo giovane per lui. Avviandosi alla vecchiaia riteneva indispensabile risparmiare se stesso con riposi sempre più lunghi nell'esercizio delle attività muscolari connesse al vincolo matrimoniale e dall'alto della sua dottrina giustificava ciò con dotte e scientifiche dissertazioni che lasciavano la moglie indifferente prima, sbigottita poi, infine infuriata.
Non era un ciarlatano come altri che prescrivevano acqua pura o mentucce, riposo a chi era abbronzato (non esistevano le lampade e si poteva essere sicuri che il paziente lavorava nei campi sotto il sole), le passeggiate a quello pallido, di astenersi dal mangiare carne di porco se vedevano penzolare salsicce, ecc.. Anche se è legittimo il dubbio se fosse meglio trangugiare le pozioni disgustose dei seguaci di Galeno o seguire quelle indicazioni che abbiamo detto, dal momento che l'acqua e il riposo fanno bene di sicuro e altri medicamenti di tal fatta se non fanno bene, di certo non fanno male.
L'uomo era un vero esperto dei semplici, conoscitore di infusi e tisane che preparava egli stesso e stupisce che non avesse trovato un rimedio anche al proprio problema (del genere che attualmente viene fornito in pasticche colorate).
Amava ammannire motti a testimonianza della saggezza della sua condotta, tipo "mangia poco e bevi meno e a lussuria poni il treno" alla moglie che l'ascoltava allibita con un'aria interpretata da lui come ammirazione, ma era la meraviglia di aver sposato un citrullo che voleva convincere che il peggio è meglio o cose del genere.
La moglie si convinse che una logica e rispettosa della scienza, conseguenza di quello stato di cose fosse di logorare quello degli altri per continuare a salvaguardare quello di casa. Guardandosi in giro trovò un soggetto interessante e adatto al suo intendimento: un giovane che godeva di cattiva fama per la vita disordinata che conduceva, ma di questo la donna non si curò piacendogli per altro motivo.
Con l'aiuto della serva si conobbero e iniziarono una frequentazione soddisfacente per entrambi.
Gli incontri talora avvenivano nottetempo mentre il marito restava chiuso nel suo studio di farmacia a triturare le erbe, preparare decotti e beveroni. In effetti dedicare la vita al lavoro sia pure per un nobile scopo non è mai assennato, figuriamoci trascurando la medicina alternativa per quella tradizionale. Oggi, per un curioso rovesciamento di ruoli, l'erboristeria, di fronte alla chimica, è finita nel campo avverso o complementare.
Una sera il medico aveva lasciato a decantare sulla finestra della camera un infuso che sarebbe servito l'indomani per anestetizzare un paziente sottoposto a una dolorosa operazione.
Accadde quella notte, e non poteva andare diversamente perché il destino si diverte "a pigliarci per il culo" come sostengono i filosofi, che l'amante assetato per ragioni sue, anche comprensibili, bevesse l'intruglio, scambiandolo per una bibita. Di lì a poco cadde in un sonno profondo e a nulla valsero gli scotimenti e gli strattoni delle due donne, era accorsa la serva, che lo chiamavano disperate ma senza urlare per non distogliere il semplicista semplicione dalla sua farmacopea.
Non ottenendo effetti pensarono di nascondere il clandestino in una cassapanca in attesa del risveglio e con fatica, mentre lo coprivano d'insulti, così fecero. Si resero conto che quel sonno non era naturale e che doveva trattarsi di un malore, dovevano ricorrere all'aiuto del medico. Sarebbe stato facile far passare l'uomo per ladro nascosto, vista la nomea che si tirava appresso, ma l'ipotesi era da scartare per ovvie ragioni.
La moglie allora implorò la serva, promettendo ricompense e gratitudine, di giustificare la presenza dell'uomo accollandoselo come amante. La serva volentieri volle essere utile alla padrona, e pensava tra sé: se non ci s'aiuta tra donne... quel barbagianni del padrone con le sue arie da sapientone...
Al medico rientrato prima del solito fu somministrata con qualche imbarazzo la versione concordata: la serva piangendo chiese perdono per aver introdotto in casa un uomo che stava male forse per mancanza d'aria. Il medico dopo aver esaminato l'incauto, alzò lo sguardo verso la finestra, vide la tazza vuota e ottenuta conferma di ciò che sospettava, spiegò che il visitatore non aveva bisogno di soccorso e si sarebbe svegliato senza danni alla salute. Risolto il caso ordinò severamente che il fatto non avrebbe dovuto ripetersi ma fu messo di buon umore dalla disavventura della domestica mortificata e non mancò di rivolgerle battute: credevi di esserti procurata un ballerino di trescone e invece hai trovato un dormiglione; non sai che ci vuole un bacio per svegliare il bello addormentato. La donna sopportava di buon animo.
C'è una morale: a casa del medico non si beve quel che capita… meno che mai se è di colore giallo paglierino.
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NUOVA VITA

Un uomo di lettere, esimio professore, vedovo e ormai attempato, sposò un ex allieva che raccontava di aver perso il fidanzato, morto prematuramente quando era in procinto di unirsi a lei in matrimonio, e di aver lavorato in una filanda. In realtà aveva esercitato la professione di puttana senza avere fortuna nonostante la buona volontà e la professionalità (un mito moderno che indica il saper fare un mestiere senza passione). Ma non c'è puttana che non muoia di fame, o meglio è raro che sia a buona luna. Disgustata da quella vita, derubata dai lenoni, accettò di sposare il vecchio che costituiva un impegno di lavoro non gravoso.
L'erudito umanista era poco fornito, riteneva più interessante leggere e decifrare antichi codici, accoppiarsi era per lui una necessità faticosa e indegna di un letterato. E bisogna riconoscere che fosse un'eccezione: per un fenomeno deprecabile, nei vecchi più calano le forze più aumenta la lascivia.
Fu una buona moglie.
Chi è stata puttana anche per un solo giorno ha diritto al titolo tutta la vita: è questo un pregiudizio diffuso quanto ingiusto. Tutti quelli che parlano, scrivono, lavorano in cambio di soldi, prostituiscono qualcosa di sé, finché il commercio dura.
Il marito d'altra parte, alle soglie di quella condizione definita senza perifrasi impotenza, non comprese la differenza tra senilità maschile e femminile: un autentico disdoro per un pensatore del suo calibro. Al suo repertorio evidentemente mancava questo aneddoto. A una novantenne fu chiesto a quale età la donna non ha più rapporti. Dubbiosa la vecchia disse: "me ne informerò".
Il vecchio rimbambito, ma innocuo, amava raccontare storielle che trovava divertenti. La preferita era quella di un commerciante che, lontano da casa ormai da parecchio tempo, ricevette due lettere, una della moglie, l'altra di un usuraio che gli chiedeva la restituzione della somma prestata con gli interessi. Rispose a questa chiedendo una breve dilazione e assicurando che avrebbe al più presto pagato. Alla moglie scrisse che dopo la lunga attesa l'avrebbe ripagata del sacrificio della lontananza in mille maniere e con la confidenza del rapporto non ebbe ritegno a esplicitarle spinto anche dal desiderio rinfocolato dall'astinenza. Il caso volle che sbagliasse nell'imbustare le missive così se la moglie rimase delusa senza capire, peggio toccò al creditore allibito nel leggere come fosse intenzionato a saldare il debito lo scrivente, e pensò di averlo già preso nel posto dove si minacciava di metterglielo.
Dopo qualche anno una figlia di contadini rimasta orfana fu presa a servizio e col tempo fra le due ragazze si stabilì una grande amicizia, sempre insieme ciarlavano e confabulavano, giocando e scherzando in un sodalizio di gioventù e cattiva sorte da riscattare.
Quando il letterato narrava le sue facezie, spesso si dimenticava di averle già raccontate, le giovani o sorridevano di circostanza o ridevano oltre il giusto e sproporzionatamente, ma senza cattiveria.
La padroncina cominciò ad insegnare all'amica, curiosa di saperlo, quello che gli uomini fanno alle donne, con quello che aveva imparato nell' "opificio di tessitura" nel quale aveva lavorato, con lezioni totalmente pratiche mentre il filologo s'assentava con le sue pergamene.
A quel tempo non erano previste le possibilità né del divorzio, né di sposarsi per gli amanti di tal natura. Ma a che pro farlo?
Col tempo tra il buon vecchio e le ragazze subentrò l'affetto; esse si presero cura di lui come di un padre e come un padre egli fu per loro.
L'amore come un fiume travolge ciò che gli impedisce di giungere al mare, l'amore, come linfa di primavera, portò una nuova vita a quelle tre povere anime.

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GLI ACCORGIMENTI DELLA GELOSIA
Un oste di mezza età, che non staremo a descrivere perché possiamo immaginare con l’aspetto adeguato al suo stato professionale e libero dall’incomodo di pettinarsi alla moda, aveva per moglie una giovane di una bellezza esorbitante e sbalorditiva; da sbattezzarsi o picchiare il capo nel muro per capire come fosse possibile. Egli stesso stentava a capacitarsene e per questo era geloso all’eccesso: la teneva chiusa in casa, impedendo anche le visite ai parenti, soltanto a certe ore poteva affacciarsi alla finestra e la portava con sé nei suoi viaggi brevi o lunghi che fossero.
Evidentemente la pensava come quel tale che non accorgendosi di offendere la consorte a chi gli chiedeva perché si portasse sempre dietro la moglie, rispondeva: “se la lascio a casa me la montano” e usiamo questo termine, che non è l’originale, per educazione.
La bellezza della donna era conosciuta e ormai famosa e un uomo che si faceva chiamare il “cavaliere”, di nome Venanzio, l’aveva occhiata già da un po’ e per questo pranzava e cenava alla locanda senza badare a spese, ordinando sempre il meglio, generoso nelle mance e mai attento al resto. I conti erano esorbitanti, come la bellezza della moglie, ma il cavaliere non vi badava e l’oste guadagnava oltre il lecito.
Una certa volta il cavaliere domandò all’oste di fargli l’onore di preparare il pranzo in un casale noleggiato per una festa, che si fidava solo di lui e come cucinava lui nessuno sapeva farlo, ecc.
L’oste non poteva rifiutare la commissione di quello che era divenuto il miglior cliente della locanda.
Quel giorno per non lasciare la moglie sola la portò con sé travestita da ragazzo e presentandola come il cognato studente, suo ospite, fratello della moglie, oltretutto non mancava la somiglianza.
Durante il pranzo al cavaliere, che aveva ben visto che genere di parente fosse quello, venne voglia di una prelibata salsa assaggiata alla locanda. L’oste non poteva non accontentarlo e andò a prenderla sia pure a malincuore. Al cavaliere non restava che allontanare il cameriere incaricandolo di recarsi al mercato a comprare dei pomi per restare indisturbato col “signorino”, col quale si appartò per una consumazione che non abbisognava di salse per essere appetibile.
Il primo a tornare fu il cameriere che per trovare il mandante fu costretto a sbirciare in una camera dove c’erano pochi dubbi sul genere d’intrattenimento riservato al giovane che appariva spettinato e discinto.
Quando il marito trafelato giunse, il cameriere gli spiegò perché non ci fosse bisogno di correre.
Il cameriere non comprese lo sconforto dell’interlocutore e pur dichiarandosi disgustato dalle tendenze obbrobriose del cavaliere, disse: “In fondo era affar suo e il cliente era troppo buono per storcere il naso” e infine all’oste che non si pacificava proseguì: “che avete paura che lo ingravidi?”
A quell’ironia l’oste non poté reggere alla disperazione e rivelò il sotterfugio a cui era ricorso e che tanto inutile si era dimostrato.
Il cameriere ebbe parole di compatimento e lo persuase che, con i tempi che corrono, portare in giro un giovanottino delicato non era certo una sicurezza.
Ed è giusto, ma come non capire che la mogliettina non s’era opposta con sufficiente risolutezza e dunque se si pensa che non si possa lasciare alla moglie la chiave della propria vita è inutile tenerla chiusa con cento chiavi del marito.
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IL GELOSO DA SOLO S'INCORONA

Un certo Cirillo, un villano che passava per istruito perché sapeva leggere, sia pure a malapena, venne nominato sagrestano, facente funzione di parroco, per quelle attività e quelle pratiche che era possibile espletare in assenza del titolare, di un piccolo borgo, e con l’aiuto della misericordia della sorte, esercitava la sua missione. Egli continuava, anche dopo aver ricevuto l’incarico ecclesiastico, ad amare una giovane di singolare bellezza, sposa di un contadino. Costui non s’era accorto delle religiose attenzioni che il novello aiuto-prete rivolgeva alla moglie, lei invece lo sapeva e l’avrebbe anche soddisfatto in virtù del grado d’importanza a cui era asceso il pretendente. Questo il contadino non lo immaginava ma per una preoccupazione e precauzione di ordine più generale, quando andava al lavoro nei campi e nelle altre occasioni, si faceva sempre accompagnare dalla consorte.
Un giorno però l’uomo uscì solo. Il sagrestano che tanto aveva a cuore la parrocchiana, sapendola in casa senza compagnia, si recò a trovarla e dopo i convenevoli del caso le espresse una preghiera: “Vorreste usarmi la cortesia di prestarmi la cavalla di vostro marito per andare nella vigna? senza che lui venga a saperlo perché è geloso e non vorrebbe”. La donna intese la parabola: “ve la presterei volentieri ma non sta bene e per questo motivo mio marito non ha potuto, stamani, né cavalcarla, né portarla con sé”. Cirillo comprese la natura dell’indisposizione e pensando al futuro dichiarò: “peccato! che le avrei dato biada d’avanzo!” “A parole son tutti bravi. Non ho mai sentito che la biada fosse troppa; tra quattro o cinque giorni potremo farne la prova”.
Il contadino però sorvegliava la moglie addirittura mentre si confessava e le vietava di partecipare alle funzioni, esecrabile modo d’agire da dissennato miscredente.
La donna allora cominciò come stralunata e invasata ad agitarsi, urlare, parlare a vanvera e manifestare altre stranezze.
L'aiuto-prete chiamato per tale incresciosa necessità constatò l’evidenza del caso e attribuì senza timore di smentita la colpa di tutto all’atteggiamento insensato del marito, che per la guarigione della moglie avrebbe dovuto andare in pellegrinaggio a un famoso santuario (lontano abbastanza) per espiazione e riscatto della sua cattiva condotta contraria alla Chiesa.
Il contadino addolorato e pentito partì subito.
A noi resta il dubbio se la biada di Cirillo fosse abbondante e migliore come promesso, ma quasi sicuramente lo fu perché l’aver seguito la ricetta del sagrestano da parte del marito non depone a favore della sua intelligenza e non fa immaginare né fantasia, né fermezza di propositi.
Gelosia nasce per impotenza e il geloso da solo s’incorona.
Gli effetti della lontananza (il riscatto del marito) e i rimedi dell'aiuto-prete (gli esorcismi opportuni, scrupolosi e costanti) giovarono alla donna anche se non guarì del tutto ed ebbe bisogno di cure ancora per un pezzo.

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NON C’È DUE SENZA TRE

Una donna gentile e bella, di nome Lucrezia, aveva una relazione con un uomo ricco e facoltoso, Guido, non perché non amasse il marito, ma perché ogni tanto aveva desiderio di cambiare.
Il sor Guido, un giorno, mandò un suo servo a controllare se poteva far visita alla donna.
Il servo, Luca, conosceva il motivo, sapeva quindi che la donna era di idee aperte e generosa e assai liberale e la trovò bella e sola. La donna, a cui il cambiamento era divenuto già abitudine, notò la giovinezza del messo. Con un’occhiata si svelarono questi pensieri e s’intesero e senza porre tempo in mezzo entrarono nel letto per la danza del cembalo.
Il sor Guido non poteva più stare e siccome il servo non tornava, andò, senza aspettare la risposta, a casa di Lucrezia.
Udito l’inopportuno sopraggiungere, la donna interruppe il travaglio e nascose precipitosamente il giovane sotto il letto. Guido spiegò quanto la desiderasse e visto che il marito non c’era, seguitava il suo ragionare con le mani. La donna fece buon viso a cattiva sorte e anche per mascherare l’imbarazzo, accolse gentilmente l’amico e lasciò che si esprimesse con i fatti e, in men che non si dica, finirono nel letto.
Siccome non c’è due senza tre, arrivò il marito annunciato da vari rumori. La signora Lucrezia, nuovamente interrotta, prontamente deliberò un piano che avrebbe potuto salvarla: nascondere il nobiluomo non era possibile, benché un posto libero ancora vi fosse essendo l’armadio non occupato, perché non sarebbe poi stato semplice farli uscire e nemmeno giustificare il cavallo che stazionava fuori. Disse allora all’amico di sfoderare il coltello, l’altra arma era ormai miseramente riposta, e senza chiedere il motivo di precipitarsi fuori urlando con rabbia: “Lo troverò dovunque sia e l’ucciderò”. L’uomo così fece e recitò bene la sua parte anche a causa di una naturale alterazione dovuta alla fatica e alla disdetta del contrattempo e se n’andò non curandosi del marito sopraggiunto, come se non lo vedesse, fingendo un furore straordinario.
La signora Lucrezia attese sulla porta della camera il marito e spiegò a voce alta, in modo che il servo potesse sentire, che un giovane inseguito si era rifugiato nella loro casa e che lei di fronte al sor Guido armato non aveva voluto rivelare il rifugio per non assistere, né permettere un assassinio.
Il marito, ascoltato il racconto degli stupefacenti avvenimenti, lodò l’operato della moglie per l’accortezza di aver saputo evitare lo scandalo che sarebbe seguito e avrebbe investito la loro casa, si dolse del comportamento biasimevole del signor Guido e, infine, chiese dove fosse l’inseguito.
“Non so dove sia, di preciso” rispose la donna. Il marito chiese allora al clandestino di mostrarsi. Il servo, che tutto aveva compreso, sortì dal suo nascondiglio, senza bisogno di simulare la paura, se pure di origine diversa da quella immaginata dal marito e dopo aver dichiarato di essere, sicuramente, vittima di uno scambio di persona, ringraziò i signori per avergli salvato la vita e se n’andò felice di averla fatta franca.
Ristabilita la pace familiare, al marito, contento della saggezza di Lucrezia per lo scampato pericolo, eccitato dagli avvenimenti conclusi come meglio non si poteva, venne il ghiribizzo di giacere con la moglie.
Finalmente la donna riuscì a portare a fine ciò che con altri due aveva cominciato, riconducendosi nell’alveo del vincolo matrimoniale.
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UN INCONSAPEVOLE MEZZANO

Viveva a Fauglia, quando ancora si chiamava Favuglia, una donna di bell’aspetto dotata d’ingegno sottile e d’animo aristocratico il cui nome non s’intende rendere noto. Costei andò maritata, non si sa come, a un artigiano lanaiolo esperto di orditi e filati più che di trame amorose. Uomo dabbene ma di bassa condizione, che sembrava conoscere e adoprare soltanto il fuso di bottega, non degno della gentilezza e della nobiltà della consorte, o almeno così lei lo stimava. Per questo concedeva allo sposo solo l’indispensabile e presto mise gli occhi su uomo che le pareva di tutt’altra stoffa. L’uomo, che vogliamo immaginare non a caso si chiamasse Romeo, non si accorgeva delle attenzioni e delle inquietudini che suscitava, e lei d’altra parte, essendo molto prudente e saggia, non si fidava ad avvisarlo personalmente o con lettere o con ambasciate di altre donne. Ella s’avvide che l’uomo era in dimestichezza con un vecchio conoscente comune della cui onestà (non altrettanto della sua scaltrezza) non si poteva dubitare. Ormai risoluta di mettere in opera i propri progetti d’amore e con un piano preciso chiese di poter conferire con lui. L’accorta donna con la dovuta riservatezza , come in confessione, espose il suo caso chiedendo consiglio e aiuto: “Voi conoscete me e la mia famiglia, sapete quanto sia giusto mio marito e come egli rettamente con me si comporti… che io sarei davvero degna del fuoco dell’inferno se non solo facessi ma anche solo pensassi di fare qualcosa contrario al suo onore e al mio stato di moglie… ebbene, c’è invece un uomo, che sia dannato, che voi conoscete bene, il signor Romeo, che attenta alla mia onestà e quasi perseguitandomi mi spia e mi segue. Ho pensato di parlarne coi miei fratelli o con mio marito perché l’avvisassero di lasciarmi in pace ma poi ho creduto di far meglio rivolgendomi a voi perché dalle male parole gli uomini passano ai fatti e può nascerne uno scandalo… voi forse potreste parlare con lui, convincerlo che arreca grande disturbo, che io non ho il capo a certi affari, ci sono altre donne che hanno piacere a essere guardate e desiderate…”. Il vecchio lodò la donna per il suo intendimento, accettò onorato l’incarico e promise che avrebbe agito discretamente ma anche con decisione e assicurò che sarebbe riuscito a ottenere il ravvedimento del molesto corteggiatore. Lei infine disse: “Se dovesse negare vi autorizzo a dirgli che sono stata proprio io a raccontarvi tutto”.
Appena poté il vecchio cercò l’uomo e lo rimproverò. Egli meravigliato si scusò che non aveva fatto niente di quello di cui era accusato. L’altro non lo stette a sentire e disse: “Non fingere di essere sorpreso, non cercare scuse inutili, è stata la tua stessa vittima a lamentarsi di te, non sono pettegolezzi di vicini”. Poi concluse esortando l’uomo, in nome dei più sacri principi, a vergognarsi, a pentirsi e a non compiere più per l’avvenire atti tanto disdicevoli che così sarebbe stato compreso e perdonato. L’uomo lesto di ragionamento comprese il messaggio assai meglio del messaggero, dal timore passò a una gioia intima e segreta. Da allora cominciò a passare davanti alla casa della donna: con gli sguardi si intesero benissimo e furono altresì sicuri di piacersi.
Capitò, qualche tempo dopo, che il marito dovesse andare a Genova per certi panni importati e che venivano lì sbarcati e dove sarebbe rimasto alcune notti. La nobile e compita sposa si recò dal vecchio e disperata gli disse: “Il vostro “amico”, quel diavolo dell’inferno, non so come facesse a sapere che mio marito non è a casa e ieri notte è entrato dal giardino e salendo su un albero si è affacciato alla finestra di camera mia, io mi sono levata dal letto e sono corsa completamente nuda, per fortuna era buio, a chiudere la finestra rimasta aperta. Avrei voluto gridare se non che, lui non era ancora entrato… implorò perdono in nome del cielo e vostro dicendomi chi era, che non mi spaventassi e che sarebbe andato via. Ditemi voi se posso sopportare oltre, e non intendo farlo, e per rispetto vostro”. Il vecchio tranquillizzò la donna dicendo che se non fosse riuscito a impedire nuove molestie da parte del peccatore incallito sarebbe stata libera di denunciarlo.
Chiamò subito il signor Romeo vista la gravità dell’accusa, lo ingiuriò con male parole e all’uomo che chiedeva spiegazioni, disse: “Come? Ti sei già scordato di ciò che hai fatto l’altra notte sapendo che il marito di quella povera donna non c’è? Eccolo l’onesto uomo! Diventato viaggiatore di notte, visitatore di giardini, scalatore d’alberi! Credi di poter corrompere quella santa donna con queste bravate? Aver l’ardire di arrampicarsi fino alla sua finestra spaventandola a morte, vergogna! Finora ha taciuto per le mie preghiere ma d’ora innanzi se continuerai la lascerò libera di denunciarti ai fratelli e al marito. Che farai allora?”. L’uomo sapeva bene cosa doveva fare essendo stato istruito alla perfezione, avendo appena ricevuto tutte le istruzioni necessarie. Assicurò il vecchio che la donna non sarebbe più venuta da lui a lamentarsi e possiamo star certi che così sarebbe andata. Infatti da allora in poi non ebbero più bisogno del “mediatore” per mettersi d’accordo. Il signor Romeo la notte stessa, pensando alla rosa che l’aspettava, entrò nel giardino e salito sul fico, pianta pur sempre pericolosa, passò dalla finestra lasciata aperta nella camera della donna, la quale impaziente lo accolse nuda come promesso, per nulla spaventata ma con una gran voglia arretrata.
L’inconsapevole mezzano fu soddisfatto del servizio che aveva reso per una buona causa, i beneficiati lo furono anche più di lui e grati gli riconobbero che in effetti era riuscito a risolvere una spinosa situazione.

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UN PO’ PER UNO
In Lunigiana, in un convitto v’era tra gli altri un giovane educatore il cui vigore, né i digiuni, né le astinenze delle vigilie, riuscivano a domare.
Un giorno d’estate, dopo mezzogiorno, quando tutti dormivano per il gran caldo, passeggiando in campagna, scorse una piacevole, e soda all’aspetto, giovinetta, la figlia di un contadino del paese.
Un po’ il lungo desiderio, un po’ il torpore della stagione, lo spinsero a parlare con la ragazza che mostrò di gradire la conversazione e la compagnia. Entrò in tale confidenza che finì per accordarsi con lei e per condurla, in gran silenzio, nella sua cameretta. La donna non era tipo da conservare ciò che non si consuma e del resto è risaputo: chi serba, serba al gatto.
Per troppo ardore e contentezza piano piano abbandonarono la prudenza e senza rendersene conto trattennero sempre meno i rumori del loro lieto conversare.
Il rettore, che aveva il sonno leggero, si alzò e camminando nel corridoio si accostò all’uscio da cui provenivano i brusii, udì più distintamente e fu certo che il giovane non fosse solo e che le risa soffuse e la voce limpida e squillante era quella di una donna. Il primo impulso fu quello di farsi aprire per rimproverare e punire il violatore del regolamento, poi rinunciò restando in ascolto e meditando il da farsi, anche turbato da quella dolce voce d’argento.
L’educatore, nonostante la distrazione che l’occupazione in cui stava gli procurava e forse per essersi assai sollevato nei suoi bisogni, avvertì il lieve calpestio fuori della porta e guardando dal buco della serratura vide il superiore che si allontanava.
Siccome fu sicuro di essere stato scoperto, si spaventò all’idea di poter perdere il lavoro; appena ritrovato il sangue freddo, cominciò a pensare se vi fosse un modo di uscirne e di scampare alle conseguenze.
“Aspetta qui fino al mio ritorno” disse alla ragazza “vado a controllare che nessuno possa vederti mentre uscirai”. Chiuse la porta della camera e si recò dal rettore al quale chiese il permesso di recarsi nel bosco, dal legnaiolo per sistemare un certo affare sospeso.
Consegnò la chiave al superiore e ottenuta licenza se n’andò.
Il rettore giudicò opportuno, prima di suscitare uno scandalo, vedere la ragazza per assicurarsi che non fosse la figlia di qualche notabile, magari benefattore del convitto.
Per questo stimò una fortuna l’avere la possibilità di entrare nella camera del giovane per appurare di persona. Così fece. La ragazza si spaventò molto per l’arrivo dell’uomo che si preoccupò di chiudere la porta una volta entrato.
Il rettore colpito dalla piacevolezza della donna e vedendola timorosa iniziò dolcemente a rassicurarla, pensando che l’occasione era ghiotta, che non era giusto respingere i doni della fortuna, ogni lasciata è persa, il ferro va battuto finché è caldo.
La donna non era di virtù incrollabile e nonostante gli esercizi, già praticati (ma si sa: dura più l’incudine del martello), cedette di buon grado.
Il superiore, per non gravare la donna con il peso della sua dignità e della sua corporatura, la fece accomodare sopra di sé (una volta corre il cane e una la lepre) e benché avanti con gli anni, si dimostrò prestante.
Il giovane era riuscito a provocare ciò che sperava e avendo solo fatto finta di andarsene poteva controllare l’esito del suo piano spiando dal buco della chiave (per la seconda volta utile). Notò naturalmente come il superiore si fosse sottoposto a farsi cavalcare.
Più tardi il rettore convocò l’educatore e severamente lo svergognò per il fallo commesso, segretamente cullando il progetto di farlo dimettere e di ereditare la preda definitivamente. Il giovane si scusò prontamente: “Signore, sono da poco in questo istituto, non conosco tutti i particolari del regolamento e voi ancora non m’avevate mostrato in quale maniera ci si debba far premere dalle femmine, ma d’ora in avanti se mi perdonerete non mancherò di fare come ho visto fare a voi”.
Il rettore capì il suo errore (l’egoismo di volere tutto per sé, uno sbaglio non commesso dal giovane ed è questa la morale profonda e più alta dei fatti), chiesto il silenzio sulla vicenda, si affrettò a far uscire la donna, anche se in seguito spesso la fece rientrare per comune diletto, suo e del giovane allievo.
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SERA D’AUTUNNO

Alla sera l’aria zuccherina dei fichi e dell’uva del dolce settembre rammenta le vendemmie. Le foglie ingialliscono e un nuovo tepore e una luce declinante di un tramonto interminabile e più precoce a venire danno il senso della fine di un tempo, di una stagione che inevitabilmente è trascorsa.
Un ricoverato malinconicamente meditabondo avverte: ci siamo dimenticati della nostra storia più famosa, che è quella di un tradimento che non c’è stato, dell’accusa e della iniqua punizione dovuta a una calunnia. Una storia d’amore e morte, la più popolare, regina delle befanate, cantate in ottave dai nostri poeti contadini: la Pia dei Tolomei. Nello, il marito, abbandona la moglie, ingiustamente accusata di avere un amante, in un castello in Maremma a macerarsi di solitudine fino alla morte.
Una storia oggi incomprensibile con un marito che condanna senza chiedere spiegazioni, crede sempre alla parola dell’amico traditore prima quando accusa, dopo quando scagiona; poi con un eremita mediatore garante della parola della moglie e incaricato di rendere al marito la fede nuziale.
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IL RACCONTO DELLO SCAPOLO
Lo scapolo del gruppo racconta. Come mai è rimasto giovanotto? è la domanda che si sente rivolgere più spesso.
Ero ancora giovane, mi pareva di avere un aspetto migliore della media, mi piaceva essere ben vestito e, per i tempi, elegante, ero stimato intelligente e con una preparazione tale da poter aspirare ad una professione di rispetto, conosciuto per un buon partito in paese. Mi innamorai di una donna che mi sembrava adatta per le sue qualità e non indifferente nei miei confronti: aveva cercato di mettersi in mostra? Evidentemente era una naturale ricerca di piacere agli altri senza alcun secondo fine perché appena la misi a conoscenza del mio amore lei recisamente si dichiarò offesa dalle mie intenzioni disoneste non essendo noi fidanzati e mi disse di non nutrire speranze di poterlo essere per il futuro; che tutte le impressioni che potevano illudermi erano frutto di mie cattive interpretazioni. Per educazione e correttezza nei suoi riguardi, inoltre, avrei dovuto rivolgermi ai genitori, ma sarebbe stato comunque inutile nel caso in questione.
Spesi parecchio in tempo e denari per cambiare la sua opinione e i suoi sentimenti, m’ingegnavo di mostrare la mia cultura e sensibilità, di adularla con raffinati complimenti, di trovare le parole più gentili per un conversare profondo e nobile, ma non ottenevo effetto, anche se non riuscivo a leggere obbiettivamente le sue reazioni alle quali attribuivo significati diversi da quelli reali pensando che la riservatezza femminile e la discrezione le impedissero di manifestare assensi sentimentali.
M’innamorai anche maggiormente per l’onestà della donna di cui ero testimone.
Non potevo starle lontano e spesso la spiavo fino a che una sera, forse per un ultimo tentativo, mi nascosi nel suo cortile, vicino a un magazzino.
Era una notte d’estate e da dietro una botte guardavo le stelle e mi pareva di stare con la donna che amavo in un muto colloquio. Infine mi addormentai.
Mi svegliò all’alba l’arrivo di un mulattiere che doveva scaricare della legna. L’uomo era corpulento e rozzo, trascurato negli abiti, avvezzo a stare in mezzo agli animali e sicuramente miscredente.
La donna che amavo affacciata alla finestra diceva che la legna era poca, che era verde… L’uomo non le badava e continuava, senza nemmeno rispondere o con sporadici gesti o con poche parole apparentemente brusche, il suo lavoro.
La donna scese nel magazzino e continuò a motteggiare. Si capiva che scherzava ma io mi tenevo pronto per difenderla in caso di necessità.
Il moro finito di sistemare i muli, senza proferire parola abbracciò la donna alle spalle con decisione ma senza usare la forza. Attesi un attimo prima d’intervenire aspettando che chiedesse aiuto e fu sufficiente per osservare che invece di divincolarsi, assecondava la richiesta. E come fanno i cavalli e altri animali, mentre lei piegata in avanti gemeva di piacere, lui la prendeva mugugnando qualcosa di incomprensibile.
Il narratore chinò il capo in silenzio. Si rinnovava un antico dolore.
Non possiamo tacere che a questo punto l’uditorio femminile, il più propenso a soddisfare la curiosità sul celibato del narratore, restò a bocca aperta e alcune indirizzarono alla donna piacevoli epiteti a fronte di carine considerazioni.
Da quel giorno non mi sono più innamorato e forse per questa delusione, anche se ho conosciuto altre donne, non mi sono mai sposato.
Se ci sfiora la commiserazione per il bennato scapolo, benché non si possa intendere completamente perché si sia sentito tradito non essendo né marito, né fidanzato, la nostra simpatia va al moro che aveva sapeva riconoscere il carattere della donna e come comportarsi.
Nei confronti di lei, infine, non ci sentiamo autorizzati, solo sulla base di una vile questione di gusti, ad affibbiarle la nomea di sgualdrina.

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SE NON CASTA ALMENO CAUTA
C’era in Lombardia un collegio, che godeva di grande prestigio, per l’educazione delle fanciulle; tra queste v’era una giovane di lineamenti raffinati proveniente da una nobile famiglia, ridotta a quella vita di costrizione e clausura dall’autorità del padre, ispirato a idee antiquate sull’onore della propria casata. Sofia, questo era il suo nome, non tardò ad innamorarsi di un bel coetaneo in rapporti di commercio con l’istituto e a passare dagli sguardi alle parole e infine ai fatti. Ricevendolo nella sua camera (non potendo uscire liberamente ma disponendo di una stanza personale) con maggior frequenza, accadde che una compagna scoprì l’andirivieni, ne chiacchierò con le altre educande. Tutte insieme decisero di informare la direttrice, donna di rigidi principi nell’opinione delle sottoposte e di chi la conosceva. Per evitare che la femmina perduta potesse negare deliberarono di coglierla in flagrante e si organizzarono per spiarla.Così una notte, mentre stava ricevendo la solita visita, una compagna restò di guardia fuori della porta, un’altra corse a chiamare la direttrice. Picchiò all’uscio concitata: “Direttrice, levatevi subito che Sofia sta con un uomo”.Ora, proprio quella notte, la direttrice era in compagnia di un docente, per un confronto che sarebbe azzardato definire didattico, e non era una novità; per il timore che la giovane si accorgesse della situazione, si vestì in gran fretta, al buio, e al posto della berretta, sulla testa si pose le mutande dell’uomo.La direttrice imprecando, sia pure urbanamente, insulti e maledizioni, spalancò la porta e sorprese i due giovani che giocavano all’animale a quattro zampe, in una situazione difficilmente giustificabile secondo il regolamento dell’istituto.La giovane fu condotta nel salone e il giovane allontanato di malavoglia, sia di lui che temeva per la sua amica, sia delle compagne che gradivano quell’insolita presenza. La direttrice minacciava severe punizioni e spiegava la gravità del peccato commesso e l’offesa arrecata al collegio.Le ragazze guardavano tutte la colpevole a capo chino che mortificata non aveva la forza di scusarsi. Siccome il discorso s’allungava Sofia volse lo sguardo alla direttrice riconoscendo la natura del curioso copricapo, allora rinfrancata disse alla donna di sistemarsi la cuffia. “Che cuffia! Ti sembra il momento di tali ciance?” Rispose spazientita la direttrice.“Direttrice, vi prego di aggiustarvi la cuffia poi mi direte ciò che vorrete” insistette l'“imputata”.La direttrice pose le mani sul capo dove già le giovani discepole stavano guardando. Allora, piano piano, cambiò sermone, sostenendo che non si può resistere sempre alle tentazioni, che è importante soprattutto non nuocere alla rispettabilità e al buon nome dell’istituto e quindi ove non sia possibile rinunciare, dobbiamo fare in modo che nessuno se ne accorga, ecc. ecc. Così impartita la lezione dall’alto del suo magistero, tornò nel suo giaciglio dove era attesa, e non solo per la restituzione dell’indumento intimo. Anche le altre ragazze invidiose, come e quando poterono, seguirono di buon grado l’autorevole esempio.Non si può rimproverare ad altri ciò che per sé non è possibile nascondere. Ma una storia simile merita un proverbio speciale: meglio rinunciare a predicare bene se impedisce di razzolare male.
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FORTUNA AL GIOCO
Tante volte si sente dire - sfortunato al gioco, fortunato in amore - o (non è esattamente la stessa cosa) - chi ha fortuna in amore non giochi a carte - o ancora altre espressioni simili… è inutile continuare con tutte le varianti. Qual è l’origine del motto? È incerta. Può essere la consolazione di chi perde o la spiegazione della distrazione dovuta al rapimento d’amore. C’è però una storia, quella di un certo Tuccio, abbreviazione e vezzeggiativo non si sa di quale nome, che bene la spiegherebbe.Tuccio era appassionato di un gioco di carte chiamato Trentuno che prevedeva, per come le regole erano stabilite, l’eliminazione graduale di tutti i giocatori tranne uno. Egli trovava piacere nell’invitare gli amici a casa, ai quali poteva dimostrare la propria abilità, e nel vincere piccole cifre, un segno del riconoscimento d’una superiorità piuttosto che un sostanziale guadagno. Vinceva spesso infatti e gli esclusi anzitempo gironzolavano intorno guardando gli altri giocare o tenevano conversazione con la moglie che cuciva in una stanza accanto.Col tempo alcuni non s’impegnavano più come avrebbero dovuto e ritenevano più educato prendersi il disturbo di fare compagnia alla moglie che si annoiava. Costoro addirittura s’ingegnavano di perdere affrettando il corso degli eventi sfavorevoli. Avevano preso confidenza e stretto amicizia con la disponibile padrona di casa che si rivelava sempre più un’ospite squisita.Così mentre il marito si concentrava nel ricordare le carte passate, manovrava coppe e denari e urlava dalla gioia “Trentuno!” quando realizzava la combinazione vincente, poco lontano, l’urletto del trentuno, sia pure soffocato, esprimeva un valore diverso e sorgeva da tutt’altre motivazioni e in tutt’altre circostanze.Gli amici si consolavano dicendo - sfortunati al gioco, fortunati in amore - e il marito ridacchiava sotto-sotto e qualche volta insinuava che non poteva essere solo fortuna se vinceva sempre, lasciando intendere che si considerava un maestro in quel gioco che sarebbe stato più appropriato chiamare “del cornuto” più che Trentuno.I perdenti giustificavano le loro pratiche considerandole penitenze e se le sobbarcavano delle più varie oltre quelle tradizionali come “il viaggio a Citera”, “il bacio della lepre”, ecc., mentre al marito, senza saperlo, toccava fare “il cavallo di Aristotele”, “il viaggio a Corinto” e così via.Penitenze degne di questo gioco, crudele nei suoi meccanismi, che prevede un premio in denaro, l’eliminazione del più debole, l’esclusione degli altri, la solitudine del vincitore dopo i simbolici omicidi rituali.
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AL BUIO TUTTE LE GATTE SONO BIGIE

Un uomo s'era invaghito di una bella vedova e forse proprio il pensiero della vedovanza lo spingeva a sperare e osare con insistenze fuori di maniera in considerazione del suo stato di sposato.Stanca delle continue proposte la donna ne parlò con il fratello e insieme concordarono il da farsi. Alla prima occasione la donna finse di capitolare: "tanta è stata la vostra dedizione che non posso non ricambiare l'amore che mi portate. Giurate il segreto e farò quello che voi volete".

“Quando e dove potremo stare insieme?" Domandò l'impaziente spasimante. "Quando ci parrà, non avendo più marito non devo rendere conto a nessuno. Ma dove? Voi siete sposato, io abito con mio fratello e la mia camera è vicina alla sua e si sente anche il più piccolo rumore... si dovrebbe stare completamente al buio e in assoluto silenzio…”“Penserò di sicuro a una soluzione... ma intanto, finché non avremo trovato di meglio, solo per stasera, possiamo far così”. Si adattò il candidato amante che non voleva rimandare un affare che considerava urgente.C'era in paese una donna famigerata, chiamata Ginaccia, baldracca di professione, già avanti con gli anni, sgangherata e spaventevole a vedersi che esercitava quando capitava con chi era più malmesso di lei, che gli altri nemmeno pagati ci sarebbero andati insieme.Fu a lei che la vedova si rivolse, chiese il favore, e propose in cambio una camicia di tela pregiata, di doversi coricare nel suo letto prendendo il suo posto, disposta a fare ciò che il suo mestiere richiedeva con un uomo, la notte stessa. La donna male in arnese, che considerava quell'impegno gravoso come bere un bicchier d'acqua e quando andava bene lo faceva per doni meno sofisticati come una forma di pecorino o delle salsicce, accettò sostenendo che per quella camicia non avrebbe dormito con uno ma con sei se ce ne fosse stato bisogno. La vedova la ringraziò del servizio çhe le rendeva e le ordinò soltanto di restare muta durante il convegno.Nel frattempo fratello e sorella avevano cercato la moglie del molestatore che acconsentì a essere da loro condotta in un certo posto perché avevano da mostrarle una certa cosa.Entrarono nella camera all'improvviso e fecero luce. Il marito fedifrago, stordito dalla stanchezza e sorpreso, per la vergogna ficcò il capo sotto le lenzuola dove l'aspettava la seconda sorpresa che consisteva nel cominciare a scoprire la vera identità della compagna di cavalcata. Non è possibile stabilire quale sorpresa fu più amara, un attimo dopo con la testa fuori delle lenzuola, tra trovarsi in quello stato di fronte alla vedova e alla propria moglie, o, nel medesimo tempo, riconoscere la faccia di quella che aveva fatto sua sposa.E come lo "sposo della Ginaccia", un nome un programma, fu a lungo indicato dal popolo ignorante che non poteva capire certi equivoci.

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PENITENZA E PREMIO
Questa è la storia di un uomo del quartiere di S. Pancrazio di Firenze, benestante, religiosissimo e credulone; passava il suo tempo in chiesa, non mancava mai alle prediche e alle laudi, partecipava ai cori, recitava paternostri e digiunava. Il suo comportamento, insomma, somigliava a quello di un prete e per questo veniva chiamato frate Puccio.
Aveva una moglie non ancora di quarant’anni, piacente e rotondetta che era costretta a lunghe diete per la distrazione, o forse per la vecchiaia, del marito. Quando lei avrebbe voluto giacere con lui, egli le raccontava la vita dei santi o le prediche di frate Serafino, i lamenti dei penitenti e degli eremiti.
In quei tempi, tornò da Parigi un valente segretario e amministratore di istituti religiosi e altre associazioni, di nome Ubaldo, d’ingegno vivace e di bell’aspetto col quale Puccio prese assidua frequentazione. Ubaldo era spesso invitato a cena e la moglie lo onorava di buon cuore per desiderio del marito.
Ubaldo notò la freschezza della donna e qual era la cosa della quale ella sentisse maggiormente la mancanza e pensò, per togliere la fatica al marito, se poteva egli soddisfare quel bisogno. Cominciò a guardarla con desiderio così da ispirare la stessa brama nella donna. Accortosi di ciò, Ubaldo giunse a ragionarne con lei. Si trattava allora di trovare il modo di stare insieme perché Puccio non aveva orari e quando usciva di casa non si poteva sapere quando sarebbe tornato.
Un giorno Ubaldo disse a Puccio: “Ho capito che il tuo sogno è quello di cancellare tutti i peccati, è una via lunga e difficile ma io potrei insegnarti come fare. E’ un sistema che i più alti prelati conoscono e praticano ma che mantengono segreto, altrimenti perderebbero il loro potere e le elemosine. Io vorrei, per l’amicizia che ci lega, rivelartelo ma dovresti promettere di non parlarne con nessuno”.
Puccio, sempre più desideroso di sapere come diventare santo, molto pregò Ubaldo di insegnarglielo, giurando che avrebbe saputo tacere.
Ubaldo spiegò cosa dovesse fare. “Devi trovare una stanza con una finestra dalla quale si possa vedere il cielo, dovrai, per quaranta notti, stenderti sul pavimento fino all’alba senza mai alzarti, per nessun motivo, e recitare alcune preghiere. Tutto ciò avrà maggior valore ed efficacia se osserverai il digiuno della cena e non ti accosterai a nessuna donna per piacere carnale, non esclusa tua moglie.”
Puccio fu contento perché si era immaginato penitenza più dura: rinunciare ai piaceri carnali non era un gran sacrificio e già lo faceva di sua idea, pensò perciò di iniziare senza indugio, comunicò alla moglie le proprie intenzioni e le prescrizioni ricevute, ella capì il senso nascosto, approvò e disse che avrebbe con lui digiunato, limitandosi a questo però.
Il luogo scelto da Puccio era una terrazza poco distante dalla camera da letto.Mentre Puccio guardava le stelle, Ubaldo raggiunse la moglie nella camera e così fece le notti seguenti. Capitò una di quelle sere che per il troppo dimenarsi dei due nel dilettarsi nella danza trevigiana, il marito avvertisse un certo scotimento, chiese perciò alla moglie ciò che faceva.
La donna intenta nella danza rispose: “Come non sapete perché mi rigiro senza posa nel letto? Vi ho sentito mille volte dire: Chi va a letto senza cena tutta la notte si dimena.” “Non ti ho chiesto io di digiunare” si giustificò il marito. Lei allora lo rassicurò dicendogli di non preoccuparsi, che sapeva quello che faceva.
La cosa andò avanti per un pezzo e i due prima di intraprendere la nottata si concedevano una cenetta in camera. La donna, che aveva il senso dell’umorismo, durante uno di questi convivi commentò rivolta all’amante: “Grazie alla penitenza di Puccio noi andiamo in paradiso”.
Che dire? Di fronte a un tale raccapricciante cinismo? Ma forse quella che può apparire blasfemia era soltanto colpevole leggerezza.
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LA LEGGE E’ UGUALE PER TUTTI
Un uomo di legge, celibe per convinzione, considerando il matrimonio un rischio per il patrimonio, teneva con sé come domestica una popolana, matura ma non ancora sfiorita, che faceva le veci anche di moglie.
La donna, di grossolani sentimenti, non capiva come fosse possibile al padrone difendere in giudizio il torto e la ragione, le cause giuste e quelle ingiuste, a seconda di chi si presentava, e anzi che più s'impegnasse nelle seconde avendo le prime minor bisogno. La donna si stupiva del vedere difendere lestofanti di tutte le risme facendoli passare per innocenti; ignorante oltre che poco raffinata, non capiva che tutto ciò non era altro che la professione dell'avvocato e il suo padrone era tra coloro che l'esercitavano al meglio.
Rispettoso della legge, sia pure a modo suo, non era corrotto come quel compagno di studi diventato giudice, anche se i suoi onorari si configuravano nella fattispecie del furto, e senza distinzione infieriva su benestanti e poveri con spirito imparziale. E in fondo non è la parcella una percentuale della refurtiva quando avvocati della sua specie, che discreditano la professione di Cicerone, in mala fede, riescono a farla fare franca ai malviventi? Naturalmente non si devono accettare in pagamento candelabri, quadri o simili, quello lo fanno i ricettatori. Dai contadini però gradiva ricevere (dissimulando, sembrava ringraziare per educazione) capponi, olio (si sa bisogna ungere le ruote e poi con le mani in mano non si va dai dottori), uova e primizie della frutta più bella, così che la serva s'immaginava che quella donna del quadro dello studio, con la scritta "allegoria della Giustizia", avesse nella mano una bilancia per pesare le offerte ricevute.
Era poco praticante della chiesa e questo non gli faceva onore. Hanno un santo protettore gli avvocati?
Gran patrocinatore di tesi infondate, avvoltoio della disperazione altrui, incarnava alla perfezione il mito della professionalità, tanto di moda oggi, con le sue arringhe ispirate al diritto romano, infarcite di citazioni in latino, esperto di norme e codicilli da volgere a proprio favore.
Se la serva curiosa gli domandava di una vertenza come sarebbe finita, opponeva il segreto professionale e di seguito aggiungeva: quando c'è una causa l'unico che è sicuro di vincere è l'avvocato.
Frequentando un cliente commerciante, furfante e ladrone anch'egli in guanti bianchi, conobbe la figlia, una giovinetta vispa e graziosa che non aveva saputo negarsi a coloro che ne avevano fatto garbatamente richiesta. Non era smorfiosa, appariva giudiziosa e confidava all'avvocato che i giovanotti della sua età erano frivoli e scarsamente istruiti, che lei non poteva ambire a un autorevole dotto come lui, ma quella sarebbe stata la sua aspirazione, anche se sapeva di essere inesperta nelle faccende amorose e che per questo non avrebbe potuto rendere felice un uomo.
Al giurista, la boria, la presunzione eccessiva di sé non consentivano di comprendere l'esatta valutazione degli altri nei suoi confronti in specie se giovani donne e le loro diverse categorie di giudizio.
Al mondo c'è giustizia, il merito trova presto o tardi riconoscimento, pensò il leguleio e cattivo estimatore delle proprie forze senza esaminare il compito che si assumeva, convinse la giovane, che tanti grattacapi aveva dato al genitore, ad acconsentire alle nozze.
La serva quando seppe che il padrone si ammogliava ne fu amareggiata, si sentì come uno straccio vecchio buttato via, poi schiumante di rabbia pensava al modo di vendicarsi. Sbollita la rabbia, ripensandoci arrivò alla conclusione che a vendicarla avrebbe provveduto la sposina e riflettendoci meglio nemmeno la perdita era grave: c'erano l'ortolano, il vinaio e il fornaio e dieci avvocati non valevano uno solo di loro.
La prima notte la sposina si mostrò timorosa come quella giovane che invece lo era davvero perché aveva saputo da certe confidenze che lo sposo era fornito oltre la media. Costui, capito il motivo della ritrosia della mogliettina, per tranquillizzarla le disse che ne aveva sì uno grande ma anche uno piccolo e per non farle male avrebbe usato quello. Dopo un po’ di tempo la sposina gli disse: "non sarebbe ora il caso di passare a quello grande?"
Figuriamoci il compito a cui si era sottoposto l'avvocato: non si trattava di arringhe, altro che chiacchere! Sarebbe stato più facile far scarcerare un reo confesso che contentare la mogliettina.
Nel caso dell'avvocato era come se ad averne due fosse la moglie e non il marito.
L'avvocato si faceva perdonare delle manchevolezze su cui è generoso sorvolare lasciando la mogliettina padrona di spendere come voleva.
La serva rubava sulla spesa e aveva un "conto aperto" con i vari negozianti. Le due donne erano sempre pronte a testimoniare di essere state insieme in chiesa, al mercato, dal droghiere...
L'avvocato si trovò alleggerito del fastidio e della preoccupazione di gestire il capitale e fornito di corna più di un corbello di chiocciole.
Riuscire a gabbare un avvocato è un'impresa che poteva riuscire solo a un altro avvocato... o all'amore (celeste o terreno che sia). Si potrebbe dire: giustizia è fatta! se la giustizia fosse di questo mondo.
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UN FANTASMA ALLA PORTA
A Firenze aveva un forno un tale di nome Gianni, uomo più valente nella sua professione che in altre cose essendo anzi piuttosto un sempliciotto. Appena gli avanzava un po' di tempo andava da maghi e fattucchiere.
Donava dolciumi a questi occultisti da quattro soldi in cambio di sortilegi e scongiuri (anche insoliti e strampalati) che costoro potevano insegnargli. Quest’uomo era marito d’una donna piacente, di nome Manola, che aveva creduto di assicurarsi al pari di una buona posizione economica un'eguale prestanza in altri campi.
Ben presto però, la bella Manola, fine d'ingegno e maliziosa, s' avvide di che pasta fosse fatto il marito e fin dove potesse sperare per il proprio piacere. Decise allora di cercare altrove quello che in casa scarseggiava e notato un coetaneo ben messo considerò che potesse fare al caso suo. Incaricò la serva fidata di avvisare l'uomo che non si fece pregare e al quale fece sapere di ritrovarsi alla sua casa nel contado dove lei restava sola mentre il marito era in città per il lavoro.
Una volta incontrati e verificata la perfetta coincidenza dei loro desideri e aspettative s’accordarono per l'avvenire per non dover di nuovo ricorrere alla serva.
Nella vigna vicino alla casa era stato conficcato su un palo un cranio di caprone rimasto con un corno solo e la donna pensò di servirsene per avvisare l'amante degli spostamenti del marito. Il muso sarebbe stato rivolto verso Firenze o la campagna a seconda di dove il marito si sarebbe trovato quella sera e quella notte.
Così facendo molte volte s'avvalsero felicemente di tale espediente che il corno del teschio luccicava al sole e la polvere non faceva in tempo a posarcisi.
Una sera Gianni tornò inaspettatamente, la moglie fece sparire la cena preparata, perché non mancavano mai di rallegrarsi con pranzetti prelibati anche se semplici, prima di ritirarsi nella camera. Nascose le uova e il vino nella capanna dell’orto, ma si dimenticò nella stizza, o non ebbe modo, di cambiare il segnale.
Dette al marito qualche avanzo e un po' di pane secco, perché non essendo stata avvisata quella era la sua cena.
Si erano coricati e il marito già dormiva quando arrivò l'amico che bussando col segnale convenuto svegliò i coniugi. La donna disse di non aver sentito, che forse si trattava del vento o di un animale, poi non potendo risolvere così la questione, decise di prendere di petto la situazione. "Certo si tratta di un fantasma! ma so bene io come incantarlo." disse al marito e poi di fronte alla porta pronunciò il rituale di scongiuro: " Fantasma che arrivi a coda dritta, vai nell'orto! Troverai il grano, i cacherelli di gallina, il sangue dell'uva. Vai via e non far del male a me e al mio Gianni. Gianni sputa! " Cheto, cheto, l'amante fece ciò che gli veniva comandato e si consolò con le pietanze lasciate nella capanna. Gianni e la moglie, contenti del pericolo scampato, tornarono a letto.

Agli amanti non mancarono le occasioni nei giorni seguenti per ridere della dabbenaggine del marito e brindare alla sua salute in sua assenza.

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LE UDIENZE DEL SAGGIO
La fama di saggezza di un vecchio tenuto per giudice e consigliere era così diffusa da paragonarla a quella di Salomone. Molti erano coloro che a lui si rivolgevano per le più varie questioni. Fu così che due uomini si trovarono a fare la stessa strada cavalcando verso il suo “tribunale”. Cominciarono a parlare tra loro com’è costume dei viandanti. I loro nomi erano Leo e Mario. Scoperto di avere la meta in comune, si confidarono il motivo che li portava dal "consigliere". Mario disse: “Sono ricco e spendo con grande liberalità per pranzi e cene, per abbellire la mia dimora e la mia stessa persona, ma nonostante questo non riesco a trovare qualcuno che mi ami, un amico o una moglie”.Leo disse: “Come tu hai una sventura io ne ho un’altra: mia moglie è testarda e ombrosa, non so che comportamento tenere con lei che non è possibile convincere né con preghiere, né con lusinghe”.Arrivati a destinazione, furono condotti davanti al sapiente; toccò a Mario che espose il suo caso. Dopo aver ascoltato, il "giudice", alla domanda dell’uomo che chiedeva che cosa dovesse fare, disse :"Ama”.Fu la volta di Leo, a cui il saggio rispose: “Va’ al Ponte dell’oca”.
I due uomini perplessi e insoddisfatti presero la via del ritorno e insieme ragionando giunsero a un ponte che una carovana stava attraversando. A un certo punto, un mulo recalcitrando s’impuntò di non passare. Il mulattiere iniziò a batterlo. Mario e Leo impietositi non poterono fare a meno di rivolgere all’uomo richieste di clemenza per la povera bestia, alle quali il mulattiere rispose: “So ben io come trattare il mio mulo”. Nel mentre seguitava a incitarlo e "convincerlo" a modo suo, finché l’animale non si piegò al comando.Prima di riprendere il cammino chiesero ad un uomo seduto lì vicino come si chiamasse la località dove si trovavano. "Qui, signori, siamo al Ponte dell’oca" fu la risposta.Leo e Mario si guardarono, ricordando le parole del saggio.
Le strade dei due si divisero. Una volta a casa Leo chiese di preparare la cena alla moglie che con insolenza rifiutò. L'uomo si procurò un ramoscello col quale “accarezzò” la donna, che stranamente sembrò apprezzare quel comportamento quasi lo considerasse un segno d'attenzione e un "omaggio".
I pareri si dimostrarono così profetico in un caso e assennato nell'altro perché è pure vero: se vuoi essere amato, ama.
Possiamo credere che un vero saggio avrebbe consigliato un’azione tanto spregevole come malmenare una donna? Nemmeno che (ammesso che fosse accettabile) la donna potesse fare altrettanto! Dobbiamo pensare che egli, lungimirante conoscitore della psiche umana, intuì che si trattava, e solo in quel caso, di quei ghiribizzi dell’animo di alcune e rare nature stravaganti e bizzarre che trovano piacere nell’infliggere e nel subire dolore fisico.
Non è nuovo il “guerreggiar” come metafora dell’amore: quel tale infatti disse alla moglie: “Dobbiamo desinare o vogliamo fare un’amorosa lotta?” Al che ella rispose: “Fa’ ciò che ti pare, per altro la minestra non è cotta”.
Se fosse altrimenti, coi maltrattamenti e le percosse una cena infida sarebbe stata apparecchiata e l’obbedienza del tutto esteriore, inutile e di breve durata. E poi la moglie si sarebbe rivalsa come poteva.

Al sapiente giudice si presentò poi un uomo con fare vergognoso e quando nessun altro poteva udire gli si rivolse chiedendo sgomento: “Come si deve comportare un uomo tradito se vuol seguire i dettami della religione nella quale siamo cresciuti? Il matrimonio è un sacro vincolo irresolubile e dunque non è possibile vivere con un’altra donna e peccare così in modo continuato e perciò insanabile; che cosa devo fare per difendere il mio onore?”
Il saggio sorrise e lo compatì ed ebbe per lui buone parole: “Consolati compagno: ci sono precetti da prendere senza ostinazione e fanatismo. Il re che ha avuto dieci mogli e cento concubine sono sicuro per questo sarà stato il principe dei cornuti. Non c’è di che affannarsi, dopo la morte i cornuti transitano in un luogo, una specie di limbo, chiamato “limatoio” dove vengono eliminate le protuberanze indesiderate; ma soprattutto penso che non si debba dare importanza alle corna ed esse splenderanno di luce come una corona regale. Lascia che tua moglie abbandoni la casa, come la mosca catturata che l'uomo non schiaccia ma libera fuori della finestra, oppure cerca tu una nuova vita, esci all’aperto e respira l’aria della libertà”.
L’udienza volgeva alla fine, gli aiutanti si erano già ritirati, il saggio era visibilmente stanco quando un ultimo questuante perorò la propria causa con parole e gesti solenni e ampollosi. Quando ebbe finito, il vecchio sapiente, alzandosi e nel congedarsi, proferì la sua sentenza che sostanzialmente era un giudizio: “Fatti un clistere!”.

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NOTTE D’INVERNO

La tramontana nella notte invernale trascina una latta lungo la strada ancora bagnata. Si ripensa alle veglie, vicino al fuoco con le castagne e il bicchiere di vino, a giornate dure trascorse a raccattare le olive con le dita intirizzite, alla salatura del maiale.Gli ospiti si sentono, al riparo dal gelo, un po’ meno in carcere e si concedono storielle e barzellette seppure ingenue o antiquate, sempre sul medesimo tema.
Una donna aveva il marito allettato, malato cronico, non mancava di assisterlo ma essendo ormai rassegnata alla sua infermità aveva un amico che lo rimpiazzava egregiamente.Una volta aveva cucinato allo spiedo degli uccellini che l’amico cacciatore aveva portato e i due si accingevano a mangiarli quando il marito improvvisamente si aggravò ed ebbe bisogno di cure più pressanti. La donna chiese soccorso al medico e alla vicina dopo aver nascosto sopra un armadio il piatto con gli uccellini. Mentre commiseravano il malato, il gatto richiamato dall’odorino sottraeva la pietanza scappando dalla finestra, la donna non poteva intervenire e assisteva rammaricata ai furti felini e notando che il gatto sceglieva i più grossi, diceva “I migliori vanno via…” e la comare riprendeva il concetto “I migliori sono i primi a lasciarci”. Il gatto continuava e la donna sconfortata concluse: “A uno a uno se ne vanno tutti” e la comare non poteva che concordare che a uno a uno se ne vanno tutti, così è la vita.
Un’altra donna aveva il difetto di non saper dire di no. Una sera che il marito era assente si presentò un amico e si dimostrò così cortese e compito che la donna accondiscese a un certo desiderio che l’uomo aveva espresso. Avevano appena terminato il convegno quando sentirono bussare alla porta. La donna suggerì all’amante di nascondersi in un piano rialzato. Non si trattava del marito ma di un altro amico che non sarebbe stato cortese respingere. Ma stavolta non ci fu nemmeno il tempo di concludere che un rumore di passi alla porta avvisava di un arrivo familiare e un altro rumore che il sopravvenuto possedeva la chiave. Il secondo amante si precipitò dietro una tenda senza aspettare le indicazioni della donna. Era il marito che si mise a letto e cominciò a sfogarsi delle loro disgrazie finanziarie. La moglie preoccupata chiese “Come faremo?” Il marito che non sapeva come districarsi, per farsi coraggio disse: "Il Signore lassù ci penserà…" l’amante del soppalco sentendosi chiamato in causa intervenne: “C’è anche quello dietro la tenda che è più ricco di me”.
Cosa ci volete fare? dice un pensionante, un marito comprò un pappagallo nella speranza di essere avvisato delle visite che la moglie avrebbe ricevuto. La donna infastidita dai suoni emessi dal pennuto, gli ripeteva: “chiudi il becco!” così quando il marito interrogava l’animale si sentiva rispondere: "becco, becco…"
A quel punto il pensionante professore si sente in dovere di esaurire l’argomento facendo conoscere ai compagni l’origine della locuzione “troppa grazia Sant’ Antonio!”Un marinaio tornò a casa dopo un’assenza durata anni e si presentò alla moglie titubante e preoccupato per averla lasciata senza risorse economiche. Molto meravigliato si accorse che la donna era ben vestita, il mobilio e l’arredamento erano addirittura migliorati, allora chiese come fosse possibile e la donna disse che era per la grazia di san Gaetano. L’uomo notò vivande abbondanti e altre sostanze per le quali la donna spiegò di aver pregato Sant'Antonio. Nel frattempo un bambino trotterellò verso di lei. Al marito che chiese chi fosse la moglie rispose che era suo figlio. L’uomo che già aveva iniziato a covare più di un dubbio, allora esplose: “Troppa grazia Sant’Antonio!”.
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OSCURITA’

A Venezia una vedova di bellissime forme, ancora giovane e stufa della prolungata astinenza, era attratta da un uomo ma non voleva le complicazioni di una nuova relazione.Si mascherò per il carnevale e avvicinò l’uomo al quale propose un patto: l’avrebbe condotto bendato a casa sua per stare insieme restando però sconosciuta.L’uomo le pensò tutte, anche quelle peggiori, ma quale nemico poteva tendergli un agguato o farlo cadere in un tranello? e poi della donna, sia pure irriconoscibile, traspariva l'avvenenza che la maschera e il costume non potevano nascondere e per questo accettò.L’uomo bendato a braccetto della donna si lasciava portare e il contatto di quel corpo e delle sue morbidezze era una promessa.La donna si mostrò per un attimo senza nessuna veste solo col volto coperto dalla maschera prima di spengere la luce e nell’oscurità ciò che l’uomo carezzava e stringeva non poteva essere un imbroglio.
Ma se l’amore è cieco, il sesso ci vede bene. Come constatò quel marito che credeva al buio di stare con la serva per averla convinta dopo un insistente corteggiamento e invece era con la moglie alla quale la serva aveva spifferato tutto. La moglie si era sostituita per godere di attenzioni ormai dimenticate e per meglio cogliere in flagrante il coniuge. Ma ecco che al momento tanto atteso l’uomo inopinatamente fece cilecca.

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FARLA VEDERE IN CANDELA
In uno sperduto paese viveva una coppia un po’ rustica: se lui era oltremodo ingenuo, lei era poco raffinata ma assai furbetta.Una volta, la donna, sola in casa, aveva da poco ricevuto un caro conoscente che stava intrattenendo con le maniere più cortesi di cui disponeva; dello svago erano sul più bello quando sentì e subito riconobbe la voce del marito che le chiedeva d'entrare perché aveva trovato l'uscio chiuso. La donna dopo un momento di disperazione chiese all'amico di nascondersi che qualcosa avrebbe escogitato per giustificare la sua presenza se fosse stata scoperta. Il marito intanto fra sé pensava alla gran fortuna di avere una moglie tanto saggia che si chiudeva in casa quando lui non c'era: tra tante tribolazioni, una vera consolazione! La donna indispettita cominciò a brontolare il marito e dispiacersi che anche quel giorno non avrebbe portato a casa la paga, che cosa avrebbe dovuto impegnare stavolta? Che lei avrebbe fatto meglio a trovarsi un amante come facevano molte e altre simili contumelie. Il marito cercò d'acquietarla dicendo che non sapeva che quel giorno fosse la festa di san Galeone, giorno in cui non si lavora, ma che aveva convinto un bottegaio a comprare per una certa somma il grande orcio che tenevano da tempo inutilizzato nel celliere. Alla donna, benché non fosse mai andata a scuola, certo spinta dalla triste ambascia in cui si trovava, balenò un'idea che nemmeno a un dottorone sarebbe venuta in mente.“Ma come? Ti pare d'aver concluso un grand'affare? Io che sono una donnetta di casa ho trovato un uomo che ci darà di più! E quest'uomo è proprio ora dentro l'orcio perché vuole vedere se ha difetti”L'uomo che tutto ascoltava, pronto di ragionamento e di gambe, s'infilò nell'orcio mentre finiva di rivestirsi. Il marito fu contento che già la sua cifra gli sembrava bastante, figuriamoci di più, e rinnovò la sua stima di sé per la scelta di una simile consorte. Entrò nel celliere seguito dalla moglie e a lui il conoscente della donna, ma affatto sconosciuto all'uomo, si presentò affacciandosi dall'orcio e chiedendo: "Chi sei? Dov'è la donna che m'ha venduto quest'orcio?"“Sono il marito, dite pure a me" " Il coppo mi pare robusto... ma vorrei fosse pulito per quando tornerò a prenderlo”"Ci penserà ora mio marito a pulirlo" intervenne la donna che non voleva procrastinare l'affare.Il marito pregò il cliente d'aspettare che l'avrebbe fatto subito e presi gli attrezzi si calò all'interno del coppo da dove l'altro nel frattempo era uscito e cominciò a strofinarne le pareti. La moglie, affacciata sul bordo, controllava il marito e gli faceva luce con una candela; intanto, siccome stava un po' curva in avanti, nel vederla così al cliente tornò in mente quel lavoro ben iniziato ma interrotto, perciò le alzò la gonnella e la veduta, la donna era rimasta sprovvista dell’ “ultimo” e più intimo indumento essendosene prima disfatta, rafforzò in lui il desiderio e il bisogno di concluderlo. E così le si pose dietro.La donna con una mano teneva la candela e con l'altro braccio infilato dentro l'orcio dava al marito le indicazioni di dove e come dovesse strusciare meglio, mentre il cliente, tali suggerimenti, eseguiva a modo suo.Finito che ebbero, tutti furono soddisfatti e contenti.L'amante, che aveva sentito il dovere di finire l'opera intrapresa, poiché non è bene lasciare un lavoro a metà; la donna, doppiamente per aver portato a buon fine due affari in uno; il marito, sempre più riconoscente e quasi commosso d'avere una moglie tanto previdente e giudiziosa. E come dargli torto?
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VENDITA A CREDITO
Nel Casentino c’era un prete che tradiva la sua missione come purtroppo, anche se di rado, è capitato, a causa della concupiscenza che lo dilaniava. Tra le popolane della sua parrocchia una in particolare suscitava le sue voglie: quando lei era presente in chiesa egli diventava ricercato nelle prediche e si sforzava di cantare con più forte espressione, anche se poi finiva per somigliare a un asino che raglia. La contadina però si mostrava contegnosa e pareva non accorgersi della corte e di tali attenzioni.Un giorno, il prete, avendo incontrato per strada il marito, andò a casa della donna sicuro di trovarla sola e questa volta fu esplicito. “I preti fanno queste cose?” Chiese allora lei ridendo. “Noi meglio degli altri uomini, perché l’astinenza rafforza il nostro desiderio”. Siccome la donna non cedeva, il prete le chiese cosa poteva fare per avere il suo amore. La contadina di fronte a tante lusinghe, a tanto spietato accanimento nella cura del prossimo, a siffatta dedizione verso l’umile pecorella, come ella era, alla fine chiese una certa somma di denaro. Il prete non era tipo da mercanteggiare, e nonostante fosse fondato il sospetto di poter ridurre la cifra pretesa, si disse disposto a sborsarla ma che era impossibilitato a farlo subito perché non aveva con sé denaro. La donna non intendeva fare credito e non voleva sentire le spiegazioni che il prete forniva per dimostrare l’urgenza e l’inopportunità di procrastinare. Così le propose di prendere il mantello di stoffa pregiata come pegno, che valeva di più di quanto gli era chiesto. La donna, esaminato il mantello, accettò, non avendo altro modo di guadagnare, lo mise al sicuro e dopo si accompagnò all’uomo in un posticino tranquillo.Il prete, passata la tempesta, una volta a casa, pensò più freddamente che non fosse il caso di perderci dei soldi per comprare una cosa che aveva già avuta: incaricò un ragazzo di andare dalla contadina col compito di chiederle in prestito il mortaio. Quando poi fu sicuro che il marito era rientrato a casa, mandò lo stesso ragazzo a riportare il mortaio con l’ordine di chiedere indietro il mantello lasciato per pegno. Il marito molto si meravigliò della sospettosità e scortesia della moglie e ordinò di restituire subito il mantello che non avrebbe mai dovuto richiedere, come pegno per il mortaio, mostrando sfiducia nel prete. Poco mancò che non battesse la moglie, ordinandole di non fare più una cosa del genere, un affronto del quale poi si scusò col prelato.La donna, costretta a restituire il mantello, mandò a dire al prete che non avrebbe più pestato nel suo mortaio. Ma non poteva essere una decisione definitiva: mortaio e pestello altre volte furono utili l’uno all’altro, così come per loro natura sono fatti.La morale, se vogliamo: ogni commerciante avveduto sa che si consegna la merce solo per contanti.
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MARITO AVARO, MOGLIE INGEGNOSA
Viveva a Peretola un commerciante, Gualtiero, benestante e considerato abile, che aveva una moglie bella, coll’incarnato di una pesca, amante delle feste, dei balli, del lusso, in specie del vestire. Il marito però teneva stretti i cordoni della borsa perché così stimava aver raggiunto la propria ricchezza.Un giovane, Luigi, originario dello stesso paese di lui, sosteneva di essere un suo lontano parente e costantemente gli rendeva visita. Il commerciante lusingato da questa amicizia, pur avendo dei dubbi sulla parentela, glielo lasciava credere. I due anzi si dichiaravano affetto reciproco.Nella casa del mercante erano contenti anche i servi quando Luigi arrivava perché si mostrava generoso, cortese e affabile con tutti.Prima di partire per un viaggio Gualtiero aveva invitato Luigi per due giorni e l’amico aveva accettato come succedeva regolarmente. Aveva portato una bottiglia di quello buono ed erano stati in compagnia come al solito.L’indomani mattina Gualtiero si chiuse nello scrittoio a fare i conti, mentre Luigi passeggiava nell’orto. La moglie, Annalisa, salutò Luigi chiedendo se aveva riposato bene e il motivo di essersi alzato presto. Il giovane rispose che un uomo valente ha bisogno di poche ore di sonno “non come quei vecchi mariti che paiono covare nel letto come chiocce”, “ma questo non è il vostro caso: il nostro Gualtiero stanotte vi avrà fatto troppo vegliare, sia pure dilettevolmente, ché mi sembrate strapazzata” aggiunse poi ridendo. “Oh no! Ahimè!” Sospirò la donna “So io quanto poco mi conceda quel passatempo. E per non dire di altre pene che mio marito non guarisce…” Il giovane, che altro non aspettava di sentire, divenne serio, si mostrò preoccupato e desideroso di offrire aiuto, chiese quali erano le ragioni di tali angosce e mise a disposizione i suoi consigli e la sua discrezione assoluta. La donna a sua volta promise segretezza e per la vicinanza del parlar piano e il trasporto reciproco e per l’affetto che nasce tra due anime che si soccorrono suggellarono questa intimità con un dolce bacio. “La vita con mio marito è un inferno! Devo dirlo sebbene si tratti di un vostro parente” continuò la moglie. “No, perdinci” proruppe Luigi “Non è mio parente più di quel gatto, dico così per aver maggior motivo di stare vicino a voi, che amo sopra ogni cosa, ve lo giuro". “Non sta bene che io racconti quanto sia miserevole a letto e come sia da questo lato insolvente verso i miei crediti ormai in modo irreparabile, e io di questo non parlerò, ma in questo momento ciò che più m’offende di lui è la spilorceria e ora ho bisogno, prima di domenica, di soldi, per un pagamento, sennò sono perduta. Vi prego di non far parola. Potreste prestarmeli? E io farò tutto ciò che vorrete.”Luigi la tranquillizzò e promise il suo aiuto. Si salutarono con un nuovo bacio, più intenso, tutti e due immaginando già la giusta ricompensa che l’amico avrebbe chiesto e che la moglie avrebbe più che volentieri concesso.La donna, allegra a causa del fruttuoso colloquio, andò a chiamare il marito, rimproverandolo di trascurare la famiglia e l’amico per occuparsi oltre modo dell’amministrazione del patrimonio, gli chiese di sbrigarsi che era l’ora di andare a pranzo.Il marito spiegò che il patrimonio poteva essere perduto se gestito con poco giudizio e approfittò dell’argomento per esortare la moglie all’attenzione nelle spese e a sorvegliare l’economia della casa durante la sua assenza.Al momento di congedarsi Luigi prese in disparte Gualtiero, gli fece le ultime raccomandazioni, espose le sue apprensioni e come dovesse riguardarsi, poi lo pregò, non senza richiamarsi all’amicizia di lunga data e con la mortificazione del caso, di prestargli dei denari, per breve tempo. Gualtiero, quasi offeso per gli scrupoli dell'amico, lo accontentò prontamente.Alcuni giorni dopo la partenza, Luigi si presentò di nuovo in quella casa senza destare sospetto nei servi ché il padrone avrebbe avuto piacere se avesse saputo.La moglie e l’amico non ebbero nemmeno bisogno di accordarsi: ricevuti i soldi, la donna già stava sdraiata sotto di lui per mantenere fede alla parola data.Luigi stette un giorno solo per far sembrare naturale la sua visita, dopodiché se ne andò.Il marito intanto, conclusi i suoi affari, sulla strada del ritorno, si fermò a salutare Luigi. Dopo i festevoli convenevoli, il giovane informò Gualtiero di avere restituito alla moglie, la signora Annalisa, la somma ricevuta in prestito. “Non per questo sono passato a trovarvi, potevate fare con comodo” disse l’altro pensando però che in fondo era meglio così.Arrivato a casa, il commerciante, contento di aver superato certe difficoltà, per aver concluso buoni affari e aver guadagnato, e per i giorni di lontananza che avevano aumentato l’appetito, volle stare con la moglie come da un po’ non avveniva la notte in sollazzevole compagnia.Al mattino, il marito si accostò alla donna facendo intendere che avrebbe ripreso il discorso notturno; lei si schermiva, sapendo quanto fosse velleitaria la proposta, e al rifiuto, essendo sbollita la passione, Gualtiero si ricordò di Luigi e disse alla moglie, un po’ risentito, che avrebbe dovuto avvisarlo di aver ricevuto i soldi del prestito, perché ciò poteva provocare uno spiacevole imbarazzo qualora glieli avesse richiesti.La donna non si sgomentò per il tradimento e se la prese col giovane che non si era spiegato: lei aveva creduto a un dono che era dovuto all’ospitalità che costantemente riceveva. I soldi erano ormai stati spesi per dei vestiti comprati per meglio onorare il marito e in altre piccole sciocchezzuole di cui non era meritevole neanche dare conto. Comunque lei si dichiarava debitrice, che in fondo se il marito prestava ad altri, poteva più giustamente prestare a lei che era moglie e a ogni modo, fece intendere, avrebbe pagato con le carezze che poco prima aveva negato.L’uomo, visto che non c’era rimedio, la perdonò, raccomandando maggior cura nel futuro per l’economia della loro casa.

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CHI VA AL MULINO S’INFARINA
Un mugnaio rubava sulla farina e molti sospettavano. Un giovane contadino accompagnato da un suo amico studente si recò al mulino fermamente intenzionato a non farsi raggirare. Ma il mugnaio sapeva come trattare i diffidenti: mentre i due avventori seguivano con attenzione la macinatura, egli allentò la corda che assicurava il cavallo. Ben presto l’animale fu libero e si allontanò scorrazzando per i campi. Quando se ne accorsero i due giovani si rimproverarono a vicenda di aver annodato male le redini e si gettarono all’inseguimento dell'animale. Nel frattempo il mugnaio prelevò la percentuale di farina che era solito trattenere.Quando i due riuscirono a tornare al mulino faceva già buio, capirono di essere stati gabbati e furono costretti per giunta a chiedere ospitalità per la cena e la nottata, pagando s’intende.Il mugnaio vide la possibilità di un guadagno ulteriore e acconsentì. Allegro per l’andamento degli affari e fiero di se stesso bevve anche qualche bicchiere di troppo.Si sistemarono in un’unica grande stanza: in un letto i due ospiti, in un altro la figlia, nel terzo letto il padrone di casa con la moglie che aveva accanto a sé un comodino con un vasetto di fiori.Se il mugnaio si addormentò subito russando, il giovane pensava alla farina, ma pensava anche alla figlia del mugnaio che era un bel bocconcino e non poteva prender sonno. Si decise a tentare l’impresa, fu sopra di lei e quando la ragazza si rese conto non ebbe la prontezza di reagire e forse nemmeno la voglia di farlo, ché anzi rinnovarono la festa.La moglie uscì per un bisogno e l’amico, che intanto si rodeva il fegato, spostò il comodino con i fiori vicino a sé. La donna tornò verso il letto del marito ma non trovando nell’oscurità il comodino si diresse verso il letto degli ospiti e toccando il vaso dei fiori pensò al rischio che aveva corso di finire nel letto dei giovani. L'amico studente l’abbracciò e la donna docilmente l’accolse che da un po’ il marito non suonava il cembalo. Frattanto il contadino, che non voleva addormentarsi nel letto della figlia ed era ansioso di raccontare all’amico l’avventura, si mise a tentoni a cercare il letto che aveva lasciato e sbattendo nel comodino pensò di aver sbagliato e andò a coricarsi nell’altro letto a fianco al mugnaio.Contento di essere riuscito a non farsi scoprire diceva piano al compagno di letto, che credeva fosse l’amico, di essersi svagato assai piacevolmente e per due volte con la figlia del mugnaio. Quest’ultimo, svegliato da tale notizia, dopo la prima sorpresa e non poteva dirsi ben disposto, cominciò a urlare cercando di afferrare il compagno di letto, il quale capito l’errore tentava di divincolarsi.La moglie disse a quello che credeva il marito che i due giovani stavano litigando e preso un bastone picchiò alla cieca sulla massa informe dei corpi. Il destino volle che dei due colpisse proprio il marito perché giustamente il becco deve essere anche bastonato.I due giovani, approfittando del parapiglia, fuggirono. Al mugnaio, tramortito e confuso, doleva la testa sulla quale cresceva un bozzo, stavolta, più che guadagnato.
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DUE MOGLI E DUE MARITI
Due giovani cresciuti come fratelli stavano sempre insieme e quando furono sposati continuarono a frequentarsi.Uno dei due prese dimestichezza con la moglie dell’altro, il quale un giorno vide, non visto, l’amico che abbracciava la consorte. Curioso aspettò il seguito che fu prevedibile e si svolse nella sua camera. Ci restò malissimo ma passata la rabbia considerò inutile uno scandalo. Annunciò il suo arrivo con un rumore, l’amico fuggì dalla finestra mentre la donna si ricomponeva. Alla moglie disse che sapeva. Se voleva essere perdonata doveva obbedirgli per la “vendetta”. “Domani lo chiamerai e quando io arriverò dovrai farlo nascondere nella cassapanca sotto il letto” disse, rassicurando la donna che non avrebbe fatto del male all’amante. Così fu fatto e dopo andò a cercare la moglie dell’amico e le chiese di seguirlo fino a casa sua. Le spiegò il servizio che il marito aveva fatto a tutti e due e che l’unica cosa da fare era rendere la pariglia. La donna non si fece pregare e si lasciò condurre sul letto. Il marito nascosto sopportò di buon grado. E che avrebbe potuto fare altrimenti? Liberato l’amico tornarono a rappacificarsi. Col tempo i quattro furono più amici di prima ed ebbero due mogli e due mariti.Un dubbio poco importante: dove trovò rifugio la moglie mentre il marito dolcemente si vendicava? Si assentò per non dover assistere o si trattenne non vista per assistere allo spettacolo?
Un’altra storia racconta in modo più curioso come andarono le cose (anche se è dubitabile che sia vera).Due amici, uno fattore l’altro cuoco, erano cresciuti insieme e legati da grande amicizia e frequentazione che era proseguita anche dopo il matrimonio di entrambi.Il fattore spinto dal gusto del cambiamento e favorito dalla confidenza fece intendere alla moglie dell’amico di un certo suo desiderio nei suoi riguardi. La donna fece finta di non capire ma raccontò della inopportuna proposta alla moglie di lui che dopo un turbamento passeggero le propose di acconsentire chiedendo di sostituirsi a lei per ovvi motivi e con un piano facile da indovinare ma aperto a esiti non altrettanto facilmente prevedibili.Così un giorno che il marito sarebbe dovuto restare la notte fuori, la moglie del cuoco invitò il fattore a casa sua disposta a farsi trovare pronta nel letto. Le due donne si scambiarono i letti perché da qualche parte doveva pure andare la moglie del cuoco, e dove meglio se non nel letto a casa dell’amica che prendeva il suo?Il fattore arrivato sotto l’abitazione del cuoco già pregustava il frutto da lungo tempo agognato quando si accorse che l’amico inaspettatamente rientrava non si sa per quale accidente. Non c’era da far altro che tornare a casa propria deluso e crucciato e siccome s’era preparato al dilettevole travaglio del campo altrui, non potendo coltivare quello, decise di coltivare il proprio.La moglie del cuoco sorpresa aveva sperato che il fattore fosse già stato soddisfatto, si trovò in una tale situazione che fu più semplice lasciar fare e più il lavoro s’inoltrava sempre meno se ne dispiaceva.Intanto il cuoco coricato a fianco dell’amica avrebbe anche dormito se non fosse stato stuzzicato da moine alle quali si sottrasse solo per poco. L’intento della donna aveva le sue ragioni non esclusa la voglia ispirata dalla novità dell’ambiente e poi naturalmente avrebbe potuto svergognare e schernire il marito in maniera esemplare.Se solo uno aveva pensato a tradire (il fattore), se tre tradirono senza saperlo e solo una (la moglie del cuoco) ne era stata consapevole, superata la sorpresa non senza un'iniziale imbarazzo ma pure con un certo divertimento, da lì in avanti, non essendosi trovati male, si presero la libertà di cambiare moglie e marito quando ne avevano voglia.
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IL GIARDINO D’INVERNO

Al tempo dei castelli, ma in una città, tra ricchi borghesi ve n’era uno di nome Ansaldo perdutamente innamorato di una florida sposa, che avrebbe potuto chiamarsi Ortensia. Egli cercava senza posa di convincere la donna con lusinghe, promesse e infinite cortesie a restituire l’amore che le portava.La donna che fosse onesta e innamorata del marito, messer Sedano, o che non volesse fargli torto, sempre lo respingeva finché una volta, per mettere fine a quell’assillante corteggiamento, per canzonarsi di lui, forse, e per convincerlo definitivamente ad abbandonare speranze ingiustamente riposte, gli disse che si sarebbe concessa ad una condizione… credendo di trovare la soluzione a quell’accerchiamento che l’aveva stancata con una richiesta che riteneva impossibile a realizzarsi.Siccome il tempo inclemente, quel novembre, nel Friuli dove l’inverno è lungo, aveva già messo nel suo cuore un’uggia e un velo di malinconia, le venne il ghiribizzo d’una richiesta amena quanto esorbitante: un giardino fiorito in quella stessa stagione che doveva cominciare, in inverno, quando magari tutt’intorno è coperto di neve.Il signore Ansaldo s’avvide dell’impossibilità di poterla soddisfare, ma tanto era forte la sua passione che molto pensò finché non ebbe l’idea di rivolgersi ad un "mago", un po’ per disperazione, un po’ con quella speranza folle che non si sradica.Il "negromante" era un arabo esperto delle stelle, del corso degli astri, delle influenze del cielo, del ciclo della luna, ma soprattutto era un abile agronomo, conoscitore delle più sottili pratiche di coltivazione. Il compito era arduo ma valeva la pena tentare per il compenso stratosferico, per la soddisfazione d’una simile impresa.Il valente agricoltore tirò su una serra e con l’irrigazione, i concimi e altre diavolerie, riti e scongiuri, creò per la fine di gennaio un giardino fiorito come in primavera, un’oasi di sole nel mezzo al gelo, che apparve come un miracolo anche a lui che era abituato a fare il contrario nei deserti della sua terra.Il signore non stava alle mosse, subito invitò la donna e l’accolse in quell’”orto chiuso” (dall’aspetto paradisiaco ma dal fine malefico) prezioso viridario ornato di primizie. La donna fu grandemente sorpresa ma anche grandemente sgomenta rammentando il fine e il significato di quell’opera. Afflitta tornò dal marito, non poté trattenere il pianto di fronte a lui e alla fine gli rivelò i fatti. Il marito la rimproverò senza accanirsi e le disse che avrebbe dovuto mantenere la parola data e pur essendo questo molto penoso, la colpa sarebbe stata sopportabile perché non voluta, commessa col corpo ma senz’amore.La donna oppressa, con la morte dentro, si recò dal signor Ansaldo per obbedienza al marito (lei considerò anche la possibilità di non tenere fede alla propria parola).Espose al signore la sua risoluzione e come fosse maturata. Egli commosso dalla sincerità, dall’onestà e dal comportamento del marito, piuttosto che approfittare della lealtà dell’uomo e nemmeno troppo attratto da quella concessione senza gioia, anzi nel dolore, la liberò dall’incauta promessa. La donna era talmente felice e riconoscente che l’avrebbe abbracciato se non fosse stata evidente la contraddittorietà di un tale comportamento.Al mago, vivaista, che si presentò per avere il compenso stabilito e che chiedeva se tutto fosse andato secondo i desideri, il signore raccontò l’accaduto pur rassicurandolo che sarebbe stato comunque pagato.L’agronomo, colpito da tanta generosità, quella del marito e poi quella del signore, sentì che non poteva essere da meno dei due e si accontentò del recupero delle sole spese, rinunciando a una somma enorme. Certo, nella gara di generosità che s’era determinata, avrebbe potuto fare a meno anche del rimborso, ma la spesa era ingente e poi il medioevo stava effettivamente tramontando e un nuovo mondo nasceva e meglio di così non poteva andare.
Di fronte a simili cortesie anche noi lettori ci sentiamo molto spontaneamente in dovere di essere generosi non indagando più di tanto sulla situazione e sulle motivazioni dei personaggi.Ortensia fu un po’ leggera e probabilmente anche un po’ civetta?Il marito era troppo liberale ed eccessivamente comprensivo nei confronti del rivale che s’abbandonava senza ritegno allo sproposito di proposte poco rispettose di lui e della moglie?Il signor Ansaldo si dimostrò poco ragionevole, non considerava le conseguenze di certe iniziative?E infine, il giardiniere sublimava nell’arte agricola una passione nascosta?Certo è stupendo il sogno del giardino fiorito. Ma a quell’orto di delizie, anche togliendo la struttura di pali e vetrate, manca il profumo d’aprile, la luce e il colore della primavera, e il premio adeguato per il signor Ansaldo, quindi, sarebbe stato un fantoccio di Ortensia, più che la donna in carne e ossa. Una bambola gonfiabile, potremmo dire, se fosse stata inventata, se una tale invenzione fosse rientrata nelle corde del “mago”.

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DA ULTIMO
Una volta, quando il lavoro della terra era l’attività prevalente del popolo, il tempo era scandito dal succedersi delle stagioni. I giorni si somigliavano ma la domenica non era come gli altri: era il giorno del riposo e si avvertiva nel silenzio dei campi... il vestito buono, il suono delle campane, il ritrovarsi alla Messa, l’incontro dei fidanzati…Nell’ospizio tutto ciò è solo un ricordo… una briciola del passato si ritrova in quelli che potremmo definire “i discorsi della domenica” e cioè tipici delle abbondanti libagioni festive, ma siccome difettano di logica e chiarezza, incoerenti e strampalati, oscuri o ossessivi, ecc., è arduo anche riferirli, si lascia all’esperienza di ognuno la facoltà d’immaginarli.Si tralasciano pettegolezzi e segreti trasmessi dall’uno all’altro con solenni giuramenti di non rivelarli a nessuno per nessuna ragione al mondo e soggetti all’incoercibile bisogno di non restare occulti.La memoria gioca brutti tiri con l’età e alcune storie si ricorda che erano belle ma s’è dimenticato la traccia precisa o come finissero.Eccone alcune, confuse o lasciate a metà.In un monastero erano rimaste poche monache agli ordini di una vecchia badessa, alcune belle, altre meno, ma giovani e intenzionate a contestare coi fatti la decisione delle famiglie di imporre loro quella clausura da cui perciò cercavano di trarre il meglio.Le licenze alla regola erano così progredite che ne nacquero voci che arrivarono all’orecchio del vescovo.Egli, dunque, incaricò un abate dell’indagine; costui si recò in visita al monastero col fermo proposito di stroncare lo sconcio, ma veduta una tra queste monache, di travolgente bellezza, il proposito era divenuto alquanto traballante e se ne tornò alla sua residenza con pensieri diversi da quelli coi quali era partito. Prese a scrivere sonetti e lettere d’amore che non ebbero effetto avendo la donna già un garzone che provvedeva.L’abate stupito e scandalizzato dal vedersi preferire un inferiore avrebbe voluto vendicarsi facendo sorprendere gli amanti dalla badessa ma alcune circostanze resero vigile la monaca che urlando nella notte “vulpes in gallinarium” distrasse la superiora, che stava per coglierla sul fatto, spedendola di corsa nel pollaio.
In un convitto poco noto tre aspiranti direttrici si misero alla prova per essere scelte dal presidente dell’istituto.Una vecchia sosteneva di conoscere tutte le leggi del diritto scolastico a memoria e cominciò a snocciolarle senza incertezze e venne subito interrotta appena fu evidente che era vero; un’altra di mezza età sapeva ricamare e coltivare le piante dell’orto e con esse preparare farmaci portentosi. Ingurgitò un intruglio che aveva il pregio di liberare l’aria dello stomaco e il giudice del concorso si convinse ai primi rombi. Infine si presentò una giovane che, senza vantare doti o presentare il curriculum, si alzò la veste scoprendo delle magnifiche natiche, tra cui mise un baccello e con la sola forza dei glutei riuscì a sgranarlo. Una principessa sul pisello!L’uomo di fiducia del proprietario, incaricato della scelta, giudicò, pur lodando le altre due, la terza più meritevole di ricevere l’ambito incarico dimostrando sagacia e oculatezza.Naturalmente il concorso non era pubblico e si teneva nello scrittoio alla sola presenza dell’uomo, davanti al quale le donne si presentavano separatamente.La discrezione, la libertà di giudizio, la volontà di non umiliare le non prescelte… non finiremo d’ammirare la sapienza dei procedimenti amministrativi e la lungimiranza dei loro esecutori, maestri di vita da prendere a esempio.
E da ultimo.Un commerciante avido che avrebbe venduto la madre aveva una moglie curiosa, maritata dalla mamma per levarla dalla finestra dove passava le giornate, ma la vita coniugale non era riuscita a toglierle l’uzzolo dal capo.Fece amicizia con le mogli dell’avvocato e del dottore, che s’erano cacciati nello stesso ginepraio prendendo moglie, e quando erano insieme facevano una fiera o un mercato riuscendo a parlare tutte insieme e a intendersi.I tre uomini s’ingannavano a vicenda, senza fare sconti finti come facevano con tutti i loro clienti. Il medico ordinò all’avvocato contro l’impotenza un lavativo all’ortica, per fare un esempio, il mercante vendeva per il doppio la merce scadente e all’avvocato era sufficiente presentare le parcelle.Il medico estraeva di tasca le ricette accompagnandole con la formula (inespressa verbalmente) “Dio te la mandi buona”; avevano le manie più strane: il medico contava i fagioli che mangiava, l’avvocato girava per casa con la toga e questionava su tutte le sciocchezze, il mercante non si metteva in viaggio di martedì o venerdì, si grattava il capo sempre col solito dito ed entrava nel letto con la gamba sinistra.La moglie di quest’ultimo guardava il figlio del fittavolo, quando portava qualcosa del podere, sicura che quello non sarebbe stato a contare i passi in camera e a pensare con quale piede entrare nel letto, e quando decise di sincerarsene aprì la stessa strada anche alle amiche e poi non sappiamo quanto vi s’inoltrarono, indipendentemente o insieme.
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IN FINE
Al ventottesimo racconto conveniamo, annoiati, per non ripeterci, di occuparci d’altro e di non insistere su di un tema a cui riconosciamo importanza, ma che ora ci ha stufato.Ed è il ventotto, numero splendente del percorso celeste della luna, somma delle sue quattro fasi di sette giorni, il numero che una incomprensibile, superficiale, ottusa, ignorante e grossolana credenza popolare attribuisce al tradito.Certo il tema è importante. Lo stesso filosofo scettico che dubitava di tutto, inventore di un sistema di pensiero per cui la vita può essere un sogno e la realtà indimostrabile, si ricredette quando trovò la moglie a letto con un altro in una situazione che lasciava un campo d’ipotesi piuttosto ristretto.“Sempre pernici!”: anche la pietanza più prelibata può venire in uggia.La noia e la curiosità stanno in agguato.Neanche gli amanti sono al sicuro come possiamo dedurre da ciò che disse uno di costoro al marito per metterlo in guardia: “stiamo attenti, sta per tradirci!”E l’ultimo “adulterio” è quello del marito o della moglie che tradiscono l’amante col coniuge, tornando di nascosto nel proprio letto nuziale.Ma è l’adulterio sempre un rapporto più morboso, scandaloso, osceno, perverso, fondato solo sul sesso, passione senza quell’amore romantico ma affetto tra rivali e senza la travolgente passione di chi non si conosce? amore insieme a odio radicato nel bene più profondo, più assurdo, di quello tra moglie e marito? Non sono questi caratteri a volte tipici del matrimonio? Un patto da rinnovare tutti i giorni; altrimenti convenienza, ricatto, carcere senza scampo. Chi può dire questa donna è mia? l’ha forse comprata al mercato? il matrimonio è un contratto che ha come merce l’amore? un contratto di schiavi?L’unica promessa non va oltre la sera stessa dell’amplesso. E nell’abisso della mente il coniuge può tradire mentre fa l’amore.
Costretti dall’età e dalla situazione a vivere al chiuso il rimpianto è per quella vita ormai perduta al ritmo delle stagioni, quando l’orologio era il cammino del sole e la solitudine nella natura trovava la sua esaltante condizione ottimale nei vari momenti della giornata. Passa il tempo, cambiano le stagioni, sembra che tutto ricominci, fino a che un giorno ti dicono: è finita.Una volta ci si spegneva come una foglia che appassisce e ritorna alla terra; oggi si muore prima di morire, del dolore della propria morte, dolore per se stessi, dolore egoista, senza riscatto, senza sbocco. Si muore come una pianta recisa perché abbiamo voluto così, hanno voluto così altri per noi: uomini che hanno venduto la primogenitura sulla terra per la vera solitudine di una vita senz’amore, con la stupidità di divenire mostri, di sottomettersi ai mostri, di morire del mostro che cresciamo dentro.

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CONCLUSIONE
Alla fine la morale è sempre quella: chi ha tanti soldi se la ripassa bene. Ma l’argomento è stato un altro: l’amore fuorilegge, e in conclusione, che dire? Così parlò il sapiente. Qui legem dat amantibus? Se l’amore si caccia in tutti i buchi. Maior lex amor est sibi.Tra parentesi: ci serviamo di questo anacronismo letterario e storico in senso parodistico, come sempre quando si tratta di latinorum, una dichiarazione di erudizione mai indispensabile che ottiene solo di escludere i poveri dalla conversazione.Mangia e dormi e non pensare ai corni; se vuoi vendicarti di chi ti ha preso la moglie, lasciagliela.Se dell’adulterio è possibile farne a meno, è meglio. Siamo tutti d’accordo con quel predicatore che, nella foga, non trovando altre parole oltre quelle già pronunciate, per spiegare la sozzeria e le brutture dell’adulterio, disse che è un peccato tanto grave che avrebbe preferito, come male minore, andare con dieci vergini piuttosto che con una donna sposata.Tutte le strade portano a un letto, dalla nascita, all’amore, alla morte.
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COMMIATO
Abbiamo considerato solo un aspetto di una situazione inoltre marginale sfiorando la totalità della vita con un tema sul quale il nostro pensiero è tutt’altro.L’idea è quella di sorriderne. Ciò che è proibito o tabù suscita riso e chi ride, si dice, toglie un chiodo alla bara.Noi, esclusi dalla vita, col velo di tristezza, persistente al fondo dell’animo, di paure e ansie, delle delusioni e dei rimpianti, perché l’amarezza della vecchiaia è la scoperta degli errori della gioventù, potremmo per paradosso essere più liberi di prima, guardando dal di fuori quell’umanità indaffarata, costretta ad un’inutile fatica, a cui abbiamo partecipato, se non ci opprimesse la consapevolezza che il tempo che ci è concesso sta per scadere.Certo i malanni, le afflizioni, le sventure che ci sono date in sorte, di rado e solo per poco ci abbandonano e anche mentre cerchiamo una distrazione, nel gioco o nel conversare, ad un tratto un pensiero improvviso con una fitta dolorosa ce li riporta alla mente.Ora che ci manca l’unico conforto, rimasti soli dopo una vita, e ci sembra immedicabile la solitudine, di per sé senza rimedio, ora che l’amore, o fosse anche l’abitudine di lunghi anni, sono venuti meno, è arduo avere ragioni di andare avanti; perché nell’esperienza comune uomo e donna non sono nemici ma compagni nelle difficoltà, nel crescere figli, nel soffrire, insieme privilegiati o più spesso vittime nella Babele di questa società.Poi però non si muore insieme e chi resta ha la pena maggiore.Speriamo di trovare la forza di piangere.
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Bibliografia

  • Giovanni Boccaccio, Decameron, Rizzoli, 1950
  • Geoffrey Chaucer, I racconti di Canterbury, Rizzoli, 1978
  • Masuccio Salernitano, Il Novellino, Laterza, 1979
  • Matteo Bandello, Novelle, A. Curcio ed., 1978
  • Poggio Bracciolini, Facezie, Dall’Aglio, 1964
  • Pico Luri Di Vassano, Modi di dire proverbiali, E. Sinimberghi, 1872, G. D’Anna, 2001
  • Giuseppe Giusti, Raccolta di proverbi toscani, Edikronos, 1981
  • Carlo Lapucci, La Bibbia dei poveri, Vallardi-Garzanti, 1995


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INDICE

  • prefazione
  • prologo
  • mattino di primavera
  • cercare Maria per Ravenna
  • vale più la pratica della grammatica
  • dare la lattuga in guardia ai paperi
  • per la moglie troppo bella ci vuole la sentinella
  • un terzo non incomodo
  • quel che si teme s’avvera
  • un buon affare
  • pomeriggio d’estate
  • è un gran medico chi conosce il suo male
  • nuova vita
  • gli accorgimenti della gelosia
  • il geloso da solo s’incorona
  • non c’è due senza tre
  • un inconsapevole mezzano
  • un po’ per uno
  • sera d’autunno
  • il racconto dello scapolo
  • se non casta almeno cauta
  • fortuna al gioco
  • al buio tutte le gatte sono bigie
  • penitenza e premio
  • la legge è uguale per tutti
  • un fantasma alla porta
  • le udienze del saggio
  • notte d’inverno
  • oscurità
  • farla vedere in candela
  • vendita a credito
  • marito avaro moglie ingegnosa
  • chi va al mulino s’infarina
  • due mogli e due mariti
  • il giardino d’inverno
  • da ultimo
  • in fine
  • conclusione
  • commiato
  • bibliografia

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