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martedì 09 settembre 2025

— il Blog di

Armani

di - martedì 09 settembre 2025 ore 08:00

Armani è morto. Viva Armani! Il re della moda, il grande stilista italiano se n’è andato, ma ha lasciato la Maison in solide mani. Non ha venduto il marchio -il brand, si dice oggi- a stranieri finanziari, come nel campo del fashion alcuni hanno fatto. Oltre a questo, non ho molto da aggiungere: non mi intendo di moda, né di Made in Italy, perché spesso, anche se non del tutto volentieri, compro cinese, vietnamita o pakistano. Almeno così è scritto nell’etichetta degli acquisti a buon prezzo di supermercati o outlet. E temo che dietro quelle produzioni si celino ancora lo sfruttamento e la povertà del mondo. Le maestranze di Armani invece hanno lasciato uno struggente attestato di cordoglio e ringraziamento al loro defunto creatore e creativo datore di lavoro. E questo, al di là delle circostanze, è un fatto significativo. Come e anche più degli articoli roboanti, dei comunicati e dei servizi apparsi sulla stampa e sui media. Per non parlare della rete. E siccome l’infinitamente grande oggi si studia insieme all’infinitamente piccolo e forse, con buona pace di Virgilio che ne dubitava, parva licet componere magnis-è lecito pensare che piccolo e grande si paragonino e si compongano insieme- a me Armani fa venire a mente un fatto minore, che ha qualche significato. O forse no. Del resto la poesia è fare l’universo con niente e, anche se la prosa si accontenta di meno, comunque ci prova. Poi certo dipende da che poesia e quale prosa.

Abitavo in via Silvio Pellico, l’autore delle mie prigioni, in una casa in cui dovevamo tornare da sposati. Sennonché non andò esattamente così e ognuno prese la sua strada e la sua casa. Quella in via Pellico era in affitto e lì restai. Era una casa in centro, grande e costosa. Per riuscire a pagare la pigione subaffittai ad amici frequentemente bisognosi di camere e saltuariamente di annessa cucina. D’altronde bisogna pur vivere, ancor prima di filosofare, e soprattutto campare. Così passarono Franco, Gabriele e Marcello. La storia non è fantastica in nessun senso, ma i nomi sono di fantasia.

Nacquero e si consolidarono amicizie, alcune durature, nel corso del tempo, delle nostre strade e delle nostre prigioni. Anche Marcello si era separato da poco e aveva bisogno di un ricovero momentaneo. Era un giovane imprenditore, aveva fondato una piccola società. Eravamo negli emergenti e ruggenti anni ‘80 del secolo scorso e tutto sembrava predisporci ad un futuro radioso, perfino superiore alle nostre possibilità.

Un giorno Marcello mi disse che gli aveva detto Franco che gli unici specchi della maison si trovavano nell’armadio in camera mia. Avevo uno storico e pesante armadio blu-notte che mi ha accompagnato durante i lunghi anni, i lieti traslochi e le notti insonni. Sì, risposi, all’interno delle ante centrali ci sono due specchi per “rimirarsi” davanti e dietro. Mi chiesi come faceva Franco a sapere questa cosa, ma preferii non indagare oltre. Le erratiche abitudini amatorie di Franco erano note e talora perfino preoccupanti. Meglio non sapere, come diceva Socrate. Non proprio, ma insomma, si può anche interpretare così, in chiave moderna, il pensiero dell’illustre filosofo.

Comunque Marcello andò in camera sua, tornò indossando un elegante completo blu, giacca e pantaloni, e si specchiò a lungo davanti, dietro, di fianco, per convincersi dell’acquisto. Il capo era in prova. Ti sta bene, gli dissi, molto elegante, lo stesso colore dell’armadio. Che non so se era proprio un complimento. È un completo Armani, rispose con malcelata soddisfazione. ‘Azzo! Esclamai. Mi ci vuole un vestito così, disse, ho un ricevimento importante per l’azienda, gli ospiti saranno tutti griffati. E poi voglio far colpo su… Ho capito, ho capito, lo interruppi. Non mi è mai piaciuto sapere i fatti privati degli altri, soprattutto quando vogliono raccontarteli. Marcello, ma quanto costa? Chiesi. Un milione, rispose, è Armani! Ma sei scemo? Gli feci. Marcello lo prese e fine della storia.

Un milione di lire, non lo guadagnavo in un mese. A rapportarlo ai “nostri” tempi, ammesso che nostri siano, oggi un completo Armani può costare mediamente tre mila euro, o euri che dir si voglia. Del resto un milione di lire del 1980 ora varrebbe poco meno di quella cifra che è quasi un terzo di più di quanto ho riscosso al mese, dopo l’avvento dell’euro, nel periodo del mio massimo splendore. Senza contare che ora la mia pensione mensile è circa la metà. Per la verità c’è la linea Emporio Armani a prezzi più contenuti, però in una recente collezione autunno-inverno ho trovato una giacca -solo la giacca, ma in panno leggero di pura vigogna- a tredici mila euro che, per la spesa di un giorno, richiederebbe quasi un anno di pensione. Magari è un doppiopetto, per un monopetto ci vorrà la metà. Comunque questo non è un paese per poveri. Ma non importa, tanto io, se esco, indosso le mie giacche intramontabili, corro, m’invento una fretta che non c’è e il più delle volte resto a casa, a custodire le molte giacche a poco prezzo in un armadio che non è nemmeno blu. Anche con quello ci siamo lasciati. Magari sono troppe le giacche ed è la somma che fa il totale. Ha ragione Totò che ce lo ricorda e la compagna che me lo rimprovera.

Poi la casa la lasciammo. Con Franco e Gabriele siamo restati amici per sempre e Marcello a volte lo vedo, si parla e ci si saluta. Ho saputo che si è risposato, ha una figlia grande, ha incontrato qualche difficoltà con l’azienda, ma ne è uscito con un’altra piccola impresa. Insomma è riuscito a superare la crisi esistenziale ed economica, campando sempre del suo, che è una cosa invidiabile. Onesta. E quindi merita rispetto e ammirazione, completo Armani compreso. Magari con il tempo ho notato che si è un po’ “irrobustito”, da magro che era. E a parte che le mode, come gli anni e le cose passano, chissà se gli starà ancora quel milionario Armani blu.

Marco Celati

Pontedera, Settembre 2025

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“Le masnà, con doe miseire, son cuntente, i son volasne via. A sent che la poesia l’è tüta lì: fà l’univers con gnente”. Le bambine con due miserie sono contente, / sono volate via. Forse la poesia / è tutta lì: fare l’universo con niente. Milo De Angelis, “Distante un padre”