Una "mandorla" speciale per le feste
di Alberto Arturo Vergani - domenica 18 dicembre 2022 ore 16:50
Dicembre è uno dei mesi più importanti per le festività, siano esse di natura religiosa (come l’Immacolata Concezione o il Santo Natale), oppure di natura cronologica (come il “veglione” in attesa della più famosa Mezzanotte). Dando degli estremi convenzionali a questo periodo, si può certamente dire che dall’ 8 Dicembre al 6 Gennaio seguiranno quattro settimane di molteplici pretesti per pranzi, cene, aperitivi, scambi di regali e saluti tra amici e parenti. Tutte queste attività implicano situazioni di forte coesione sociale, vicinanza l’uno con l’altro, condivisione di spazi e comportamenti. Quella che può sembrare esclusivamente un’abitudine annuale incentrata sui costumi della generosità e della gentilezza, in realtà assume anche un connotato psicologico, in grado di mettere in luce grandi differenze tra le persone: alcune saranno entusiaste degli eventi conviviali, altre li accetteranno con sobrietà, mentre altre - se potranno - li eviteranno adducendo le più svariate scuse.
Escludendo motivazioni soggettive che porterebbero al declino di un invito, la letteratura psicologica rubrica gli evitamenti sociali a comportamenti causati da un vissuto d’ansia. Un determinato evento - come l’invito in un certo posto o con certe persone - viene percepito come minaccioso, e quindi procura sensazioni spiacevoli alla persona, a cui solitamente segue una strategia di evitamento come autosalvataggio.
L’ansia ha un fondamento neurobiologico noto ai ricercatori da molti anni, e cioè l’amigdala. La parola è di origine greca e significa “mandorla”, ossia una piccola struttura ovoidale che risiede all’interno di un gruppo di nuclei e regioni cerebrali fortemente interconnesse chiamato sistema limbico, una delle parti più antiche del cervello dei mammiferi. Ogni persona possiede due amigdale, una per emisfero, che processano informazioni relative alla memoria delle paure e ad emozioni affini. In particolare, a fronte di uno stimolo ansiogeno avvengono una cascata di eventi: l’amigdala attiva l’ipotalamo, che a sua volta attiva il sistema nervoso autonomo preparandoci ad agire; l’ipotalamo attiva ipofisi e le ghiandole surrenali - per la produzione di ormoni come il cortisolo e l’adrenalina - e l’effetto combinato di questa sequenza sono le istintive reazioni di attacco o fuga.
L’amigdala, oltre che inviare informazioni, ne riceve da alcuni nuclei cellulari specializzati nella produzione di serotonina, e cioè il neurotrasmettitore del “buonumore”. La riduzione dei livelli di questa molecola nell’amigdala è stata spesso associata a depressione ed ansia, e quindi a comportamenti evitanti.
Partendo da questa considerazione, un gruppo di ricercatori della Zhejiang University (Hangzhou, China) guidati dal prof. Xiao-Ming Li, hanno studiato in modelli animali (topi) se i comportamenti sociali ed evitanti fossero legati a distinti circuiti neurali nell’amigdala. Attraverso avanzate tecniche genetiche ed elettrofisiologiche, oltre che fortemente invasive, i risultati hanno messo in luce che la diffusione del neurotrasmettitore del buonumore nell’amigdala segue delle strade distinte per i neuroni eccitatori ed inibitori, formando così due sottocircuiti altamente specializzati.
Più precisamente, il sottocircuito avente destinazione i neuroni inibitori dell’amigdala è risultato reattivo a stimoli ansiogeni, ed associato alla riduzione dei livelli di serotonina e ad un aumento del comportamento evitante; invece, il sottocircuito avente destinazione i neuroni eccitatori dell’amigdala è risultato reattivo a stimoli sociali, con conseguente aumento dei livelli della serotonina e del comportamento inclusivo. Inoltre, interrompendo in modo preciso il normale funzionamento di quest’ultimo sottocircuito, i ricercatori sono riusciti a rendere i topi socievoli dei topi asociali, annullando quindi le loro caratteristiche gregarie e interattive, dimostrando la complessa specializzazione dei neuroni dell’amigdala nel determinare le forme di comportamenti a favore o a sfavore della socialità.
I risultati della ricerca del gruppo del prof. Xiao-Ming Li sono stati pubblicati a Dicembre (c.m.) sulla prestigiosa rivista Nature Neuroscience, e hanno avuto un così forte impatto scientifico che gli editori hanno dedicato loro l’immagine di copertina: il disegno di un topo in atteggiamento ansioso - in quanto esposto ad una fastidiosa luce - generatrice di ombre proiettate su due muri (come i due sottocircuiti trovati) rappresentative dii alcune posture di comportamenti ansiogeni.
Cosa possiamo imparare da questo studio? Sicuramente che nei roditori esistono delle specializzazioni dei circuiti neurali sottostanti l’evitamento sociale e l’inclusività. Il primo che abbassa i livelli di serotonina e il secondo che li alza, e che quest’ultimo è unico, e quando alterato induce a comportamenti meno sociali. E’ molto probabile che anche i mammiferi più evoluti - come gli esseri umani - abbiano in comune con dei roditori molte caratteristiche del sistema nervoso. Ma il livello di invasività presente negli studi che adottano modelli animali è tale da non essere ripetibile nell’uomo; e quindi, molte domande difficilmente potranno avere una risposta così precisa, se non in particolari condizioni patologiche o neurochirurgiche. Tra i rari casi di questo tipo, uno è diventato un riferimento per gli studiosi dell’amigdala: cioè la paziente SM.
SM è una paziente che, negli anni ‘90 del secolo scorso, aveva fatto clamore in quanto incapace di provare paura. Il motivo? Poiché non riusciva a riconoscerla. Ricercatori e medici avevano provato diverse tipologie di esposizione a situazioni che normalmente avrebbero determinato nella popolazione reazioni emotive di spavento, terrore, ansia, angoscia (come la visione di film horror, o la visita di vecchi sanatori, o la manipolazione di animali pericolosi). Ma la paziente SM ne rimaneva indifferente. Lo studio del suo cervello attraverso la risonanza magnetica strutturale ha mostrato la causa di questa incapacità di reagire a stimoli paurosi: entrambe le sue amigdale erano assenti, e questa mancanza era dovuto probabilmente ad una rara malattia genetica di cui soffriva SM. L’assenza della coppia di amigdale la rendeva incapace di riconoscere non solo stimoli paurosi, ma anche l’emozione stessa della paura nei visi impauriti, oltre che una serie di difficoltà nel riconoscere espressioni facciali relative ad altre emozioni. Il caso SM fu studiato dal gruppo americano del Prof. Damasio (University of Iowa) e pubblicato sulla prestigiosa rivista Nature nel Dicembre 1994.
I risultati ottenuti dal caso clinico SM ci fanno capire quanto importante sia il ruolo di una singola struttura cerebrale, grande come una delle tante mandorle che si mangeranno durante le feste, nel determinare se uno situazione sia avversiva o non lo sia. Dallo studio del prof. Xiao-Ming Li, invece, abbiamo imparato che esistono circuiti dedicati per la socialità e per l’evitamento nell’amigdala, e che i livelli di serotonina dipendono da questi circuiti. Ricordiamoci, però, che ognuno di noi è come uno scienziato che dispone di due “manopole” per controllare i propri livelli basali di questo neurotrasmettitore del “buonumore”: la prima è lo sport e la seconda è il cibo (cioccolato, banane, legumi, e frutta secca). Quindi, quando prenderete la decisione se accettare o meno un invito, ricordate che, a fare la differenza, potrebbe essere proprio una mandorla, che sia un frutto o che sia una parte del vostro cervello.
Riferimenti bibliografici:
- Yu, XD., Zhu, Y., Sun, QX. et al. Distinct serotonergic pathways to the amygdala underlie separate behavioral features of anxiety. Nat Neurosci 25, 1651–1663 (2022). https://doi.org/10.1038/s41593-022-01200-8
- Adolphs, R., Tranel, D., Damasio, H. et al. Impaired recognition of emotion in facial expressions following bilateral damage to the human amygdala. Nature 372, 669–672 (1994). https://doi.org/10.1038/372669a0
Alberto Arturo Vergani