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Attualità mercoledì 25 gennaio 2023 ore 19:00

I 100 anni di Lapo, sopravvissuto all'orrore

Lapo Pieraccioni insieme ai sindaci Alderigi e Giglioli, oltre all'assessore Cipolli di Cascina

Pieraccioni, in famiglia Osvaldo, è nato nel 1923 e ha vissuto sulla propria pelle il dramma dell'Olocausto, dal campo di concentramento al ritorno



CALCINAIA — Una mente ancora lucida, che naviga nel passato tra immagini vive e indelebili. Non potrebbe essere altrimenti per Lapo Pieraccioni, che i familiari chiamano Lapo, centenario di Fornacette che ha festeggiato il suo compleanno con tre candeline soltanto qualche giorno fa.

Soltanto per questo, per la sua longevità, la vita di Lapo meriterebbe un racconto. Ma ciò che ha vissuto nei suoi 100 anni, nella settimana che porta alla Giornata della Memoria, diventa una testimonianza fondamentale per ricordare, ancora oggi, il dramma della Shoah.

Nato a Ponsacco nel 1923, a soli 19 anni Lapo è stato chiamato a fare il servizio militare a Trieste, rientrando per pochi giorni: il tempo di sposarsi con sua moglie e tornare in caserma. Dov'è rimasto fino all'8 Settembre 1943, data dell'armistizio. "La caserma fu circondata dai tedeschi e mio nonno non si rese conto di cosa stava succedendo - ha raccontato Sabrina Frati, nipote di Lapo - insieme agli altri suoi compagni furono messi dentro un vagone, stretti come sardine, viaggiando in piedi per giorni. Si può immaginare cosa dev'essere stato".

Il viaggio terminò in Germania, nei pressi di Lipsia. "Scese con fatica dal vagone, non si reggeva più in piedi - ha aggiunto Sabrina - fu subito imprigionato in un campo di concentramento, dove rimase per oltre un anno e dove era costretto a lavorare per 12 ore al giorno, dormendo pochissimo e mangiando le bucce delle patate. A soli 20 anni era già arrivato a chiedere di morire".

Una prigionia disumana, che ha portato il signor Pieraccioni a vivere in prima persona il dramma dell'Olocausto. "I bombardamenti distrussero tutto, anche la fabbrica dove lavorava. Gli operai morirono tutti e mio nonno riuscì a sopravvivere - ha continuato a raccontare - fortunatamente, poi fu spostato in un'altra fabbrica, dove la vita divenne un poco più sopportabile: poteva mangiare e i turni di lavoro erano di 8 ore. Ma erano ridotti a pelle e ossa".

La guerra era ormai finita e Lapo, venuto a conoscenza di un treno che avrebbe riportato i prigionieri italiani a casa, riuscì a salire. "Arrivarono poco oltre il confine - ha proseguito - come racconta mio nonno, tutti, una volta scesi, si gettarono a terra, sfiniti e distrutti, a baciare la terra del proprio Paese".

"Il ritorno a casa non fu semplice, perché i binari erano stati devastati dai bombardamenti e, di volta in volta, si affidò a piccole tratte, ai passaggi offerti da alcuni barrocciai - ha detto - fino a che, un giorno, riconobbe un amico di famiglia di Ponsacco: gli consegnò una foto e gli disse di darla a sua moglie, con la promessa che, tra poco, sarebbe tornato. Trascorse un mese e mezzo, lo davano per morto, ma alla fine arrivò".

Un ritorno insperato e un inizio di una vita nuova. Anche se le cicatrici e i ricordi non se ne andranno mai. "Entrò a lavorare nella Piaggio - ha raccontato Sabrina - qualche anno dopo, invece, aprì un negozio per bambini a Pisa".

Proprio i bambini, per il suo compleanno, gli hanno voluto fare un regalo: dalla scuola dell'infanzia che si trova davanti casa di Lapo, sono arrivati gli auguri con i disegni realizzati dagli alunni. Tutti dedicati, ovviamente, a "nonno Lapo". "È stata un'emozione indescrivibile - ha concluso Sabrina - un ricordo bellissimo che rimarrà per sempre".


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