QUI eBook mercoledì 03 marzo 2021 ore 10:00
LA RESURREZIONE DEL COMMISSARIO FAVATI
di Marco Celati
- — “Io era tra color che son sospesi
e donna mi chiamò, beata e bella,
tal che di comandare io la richiesi..."
“...I’ son Beatrice che ti faccio andare;
vegno del loco ove tornar disio;
amor mi mosse, che mi fa parlare...”
...Virgilio, destati da lo tuo torpore,
muovi dal limbo dove ti ristai,
reclama ‘l mondo ognor il tuo valore.
Riporta il comissar combina guai
in su la Terra, che ancora le sue ore
Caron dimonio e Inferno non reclama.
La donna ch’egli amava è trapassata,
ma dal regno de’ morti eppur lo chiama:
cretino svegliati, anima adorata!
Beatrice – dal verbo beare, nome comune singolare. Ma Beatrice chi, la Bea? Che era professoressa di religione a Ragioneria, forse per questo parla dell’aldilà. Sei te, Pilar? Dove sei? È incredibile quanto si sentano le persone che mancano: quanto le abbiamo trascurate quando stavano con noi. Manchiamo a chi amiamo e a noi stessi, perché amiamo quello che perdiamo e perdiamo coloro che amiamo. Ti meriti l’Inferno, la rabbia e il suo tormento. Adesso che mi sento morire in un momento, ti meriti ogni giorno di amarmi così tanto. E di restare senza me. Ma perché te ne sei andata, Pilar! Io dovevo morire, non tu.
Questi versi -danteschi e non- e una canzone di Mina, come pensieri confusi e inespressi si agitavano nella testa del Commissario Favati, al secolo -l’altro- Nedo. Svagellava: Oh Virgilio! È questo il limbo, la condizione dei non vivi? O quella dei non morti?
Si trovava in un letto dell’Ospedale di Praia, la capitale della Repubblica di Capo Verde, le isole più belle del mondo perse davanti al Senegal, al largo dell’Oceano Atlantico. Ma non ce l’aveva riportato Virgilio. Si era rifugiato là dopo la pensione, aveva preso casa a Mindelo, sull’isola di São Vicente e collaborava con la polizia locale alla soluzione di eventi irrisolti che spesso tali rimanevano. In una di queste azioni era stato accoltellato e ridotto in fin di vita. Anzi ucciso, così almeno credette il capitano Perez, quando lo ritrovò riverso sul molo del porto vecchio di Mindelo. Accanto al suo corpo giaceva quello dell’assassino: il commissario aveva svelato i suoi delitti e aveva ingaggiato con lui una colluttazione uccidendolo con un colpo di pistola, ma rimanendo a sua volta, in una pozza di sangue, gravemente ferito. Mortalmente, se non fosse stato per il medico dell’ambulanza che si accorse che ancora, debolmente, respirava. Una corsa a sirene spiegate al pronto soccorso e, sfidando gli Alisei, in elicottero all’Ospedale Agostinho Neto di Praia, dove era giunto in stato d’incoscienza, più di là che di qua. Ora era tutto intubato, una macchina controllava il suo cuore e un’altra il suo respiro.
Ad un tratto una vibrazione, un segnale dette un sussulto più ampio, poi un altro e un altro ancora e si accese come una luce dietro gli occhi. Smaniava. C’erano delle ombre tutto intorno e sentì correre qualcuno gridando «doutor, doutor o paciente acordou! Si è svegliato, milagre!». Miracolo pensava, voleva dire, parlare, perché? Emise solo un lamento. Era uscito dal coma.
I dottori erano stati bravi, avevano asportato la milza, tolto una parte del lobo sinistro del fegato, sperando che bastasse quello che restava, avevano arrestato l’emorragia, riempiendolo di trasfusioni e alimentandolo di flebo. Era rimasto in coma farmacologico per quasi un mese, con aghi e tubi infilati da tutte le parti. Poi era risorto. Al risveglio era tutto debolezza, lamento e dolore: le ferite interne, i punti, la vita e anche il cuore e la testa, ma quella era un’altra storia. Insomma era sopravvissuto al male e a se stesso. L’erba cattiva non muore mai.
Gli ci volle un po’ per articolare di nuovo le parole, quasi come la prima volta che si era messo la dentiera o quella volta che aveva bevuto un bicchiere di troppo. Le parole gli risuonavano nella testa abituali e nello stesso tempo sconosciute. La prima che disse dopo averla pensata e non era sconosciuta, ma cara e dolorosa, fu Pilar, la compagna, incontrata a Mindelo, alla quale voleva bene, incerto se fosse ricambiato. Alla domanda in merito lei lo baciava dicendogli che era un cretino. Era morta l’anno prima, come in un libro scritto male. Un brutto male se l’era presa anzitempo, come le cose belle che se ne vanno troppo presto. Poi seguirono lacrime, altre parole e ricordi. Quando fu in grado avvisarono in Italia, Lucandrea. Con la sua ex moglie avevano litigato anche sui nomi da dare al figlio: chi voleva l’uno e chi l’altro e così combinarono una crasi. E poi litigarono perché non si ricordavano più chi era che voleva l’uno e chi l’altro. L’amore passa per vie misteriose.
Lucandrea era venuto a Praia in aereo subito dopo il ricovero. Era rimasto qualche giorno in ospedale, i giorni dell’operazione. C’erano stati due interventi, uno difficile e poi era dovuto ripartire perché il babbo non si risvegliava, ma gli avevano detto che le operazioni erano tecnicamente riuscite e ora bisognava solo sperare e aspettare. Ma aspettare lui non poteva più di tanto: c’erano i gemellini, doveva tornare a casa e al lavoro. Si teneva in contatto.
Quando riuscirono a parlarsi e a vedersi su whatsapp, si commossero entrambi. Babbo, come stai? Resisto, tua moglie? È qui, ti saluta. E i bimbi? Buttate un bacio al nonno! Il gatto nero Portasfiga dov’è, ce l’ha ancora la x bianca sulla pettorina? Certo e infatti si chiama Malcom X e non Portasfiga: è in giardino, si rifugia dalle grinfie delle piccole pesti. Stai bene, babbo, appena posso torno. Non ti dare pensiero, me la cavo, presto sarò in piedi. Stai attento, riguardati e soprattutto non ti mettere nei guai, hai già dato. Va bene, va bene. Ma tornare in Italia? Ciao. Ciao.
Ormai Capo Verde era il suo paese: queste isole, questa gente. Erano ospitali, “morabeza” chiamavano il loro senso di accoglienza, stava bene qui. Era una vita nuova e chi se ne frega se era anche l’ultima. Certe volte l’Oceano a guardarlo ti entrava negli occhi e nel cuore e potevi stare delle ore sul terrazzino di casa, sentendoti piccolo e immenso. Presente e perso con il piacere appagato di essere qui e altrove. C’erano giorni così: l’ombra di una tenda, la pagina di un libro, la malinconia di una morna. Mancava solo Pilar.
Quando era ancora convalescente in Ospedale venne a trovarlo Marco Abbondanza che si trovava a Santiago per alcune iniziative del Festival Sete Sois Sete Luas con cui anche l’ex commissario a volte collaborava. Un progetto europeo. Il Festival era partito da Pontedera e si era sparso in diverse città della Spagna, della Francia, del Portogallo e altrove e qui a Capo Verde aveva aperto alcuni Centri. Erano luoghi di promozione culturale e di ospitalità: arte, buona musica, buon cibo. Marco era il direttore. Si salutarono. La visita gradita di una persona piacevole. Il commissario si sentiva fiero di quel Festival che veniva dalla sua città, come fosse una cosa sua. Ci sono cose nella vita che abbiamo fatto o ricordi nella nostra memoria e quella cosa lì rimaneva bella nel passato, come nel presente, pur senza che lui ne avesse alcun merito. Entrava nei suoi pensieri e ne usciva illesa. E gli dava un senso di soddisfazione, quasi compiaciuta.
Alla fine si rimise in piedi, ringraziò i dottori. Obrigado! Gli fecero il tampone che risultò negativo, gli consegnarono il relativo certificato medico e lo buttarono fuori dall’Ospedale. La pandemia, il virus che imperversava per il mondo, era approdato fatalmente anche a Capo Verde, portato dagli uomini che viaggiano o forse spinto dagli Alisei nelle isole Sopravento o Sottovento. Tutti o quasi i capoverdiani portavano la mascherina, i turisti un po’ meno, sono una razza invasiva che si crede immortale. Somigliano più alle cavallette. I letti di ospedale servivano e così era in strada con una busta di tela e pochi indumenti, ancora un po’ dolorante. Era ora di riprendere la vita, anche se non ne aveva voglia.
Vagabondò un po’ per le vie di Praia, verso il porto; dalla banchisa partivano le merci e i traghetti per São Vicente, ma la traversata era lunga, sconsigliata per le sue condizioni di salute. Il vento forte, il mare cattivo. Meglio l’aereo. Salì faticando al “Plateau”, il vecchio centro storico sull’altipiano che guarda l’oceano Atlantico, poi prese un taxi e si fece portare al mercato di Sucupira. Voleva stordirsi un po’ di voci e di colori. Frutta esotica, cesti intrecciati, tessuti variopinti, quadri esposti insieme a denti di pescecane, souvenir per turisti in bancarelle e negozietti coloniali. Ovunque musica di sottofondo: funaná, coladeira. Tanto per comprare qualcosa, prese un Bolga africano, un ventaglio intrecciato a mano con il manico rivestito di pelle, buono per farsi aria e scacciare gli insetti. Dovette trattare per il prezzo, come sempre: primo prezzo! E anche così pensò che fosse caro, però era bello, l’avrebbe messo a capo del letto per protezione. Ora però gli dava noia portarselo dietro, si sedette su una panchina e si sventolava per fastidio perché non era così caldo, poi lo ripose nel sacchetto con le poche cose che aveva con sé dopo il ricovero in ospedale. Vibrò il cellulare: whatsapp, una chiamata di Marco Abbondanza.
- Ola, ho saputo che ti hanno dimesso. Bene! Io sono ancora a Santo Antão, dopo domani vengo a Santiago, devo andare a Santa Catarina. Ci sono iniziative da fare. Potresti rimanere sull’isola? Così ci vediamo. Ti devo parlare di una cosa che mi ha detto di chiederti Alvarez, il comandante della polizia di Praia. Ti ricordi?
- Ciao Marco, piacere di sentirti. Il mare è agitato e con la nave non me la sento. Pensavo di prendere un aereo per tornare a Mindelo. Però c’è vento forte. Posso rimanere qualche giorno. Sono stanco, la ferita si fa ancora sentire. Cercherò una pousada o un albergo. Che vuole Alvarez?
- Macché albergo! Vai a Tarrafal, al nostro Centrum. È dal lato opposto dell’Isola. Ci sono gli aluguer, i servizi collettivi. Ma forse un taxi singolo con il Covid è meglio. Ti fai un bel giro e starai bene. Telefono e prenoto per la tua ospitalità. Appena sbarco a Santiago ti vengo a prendere là e andiamo insieme a Santa Catarina. Così parliamo e ti dico anche di Alvarez. Va bene?
- Grazie, però troppo disturbo. Dov’è il Centrum?
- Che disturbo? Il Centrum è all’Antigo Mercado. Cerca la Câmera Municipal, il Comune, davanti c’è Praça Tarrafal, la piazza alberata, attraversi Rua Macaco e trovi il Vecchio Mercato Comunale di artigianato e cultura. C’è l’insegna di Sete Sois Sete Luas. Facile. Chiedi di Victoria Fidalgo. A presto ciao
- Ok ciao
Arrivata l’ora di pranzo, chiese informazioni parlando italiano insieme a qualcosa che somigliava vagamente al portoghese -per le lingue non era portato- e gli indicarono un autobus di passaggio. Salì al volo e scese in Avenida Amílcar Cabral. Il Quintal Da Música è un ristorante pub. Magari troppo affollato. Chiese una cachupa rica a base di pesce, una birra Strèla e si trattenne ad ascoltare un po’ di buona musica, un mix di batuque. Per la maggiore andavano Mc Malcriado e Mayra Andrade con “Mas Amor”. Anche se richiedeva più la malinconia della morna. Era solo e ferito e non aveva scopo, niente più da fare. Lasciò arrivare il pomeriggio. Decise di non prendere un aluguer, un taxi collettivo, aveva già avuto troppi contatti sociali per i suoi gusti e per i rischi del contagio, così trattò un taxi privato. Quindici euro, anche se forse poteva scendere, ma non era buono a intavolare trattative né gli piaceva e partirono per Tarrafal. La via più diretta era da Assomada, nell’interno, più tortuosa e il tempo era grigio e i monti gli facevano tristezza, scelse la litoranea da Pedra Badejo, Ponta Verde, Mangue de Setes Ribeiras, Achada Tenda e Biscainhos. Una strada più trafficata attraverso i paesi sulla costa. Il mare era mosso, agitato come i suoi pensieri, ma era uno spettacolo anche solo vederlo, in squarci di passaggio lungo la costiera, frastagliata come una geometria frattale. Con l’autista si scambiarono poche battute o punte. Non c’erano voglia né dimestichezza di parole. Dopo più di un’ora, arrivarono a Tarrafal che erano le cinque passate. Si fece scendere davanti al Comune. Voleva cercare da solo il Centrum, seguendo le indicazioni di Marco. Attraversò la piazza alberata e fu a destinazione. Mercado Municipal de Artesanato e Cultura e sotto l’insegna azzurra di Sete Sois Sete Luas. Si presentò a Victoria Fidalgo.
Victoria Fidalgo era una giovane creola di Tarrafal, faceva la stagista al Centrum. Lei parlava bene l’italiano quanto lui male il portoghese. Meglio così. Aveva fatto un corso di formazione presso la sede del Festival di Pontedera, gliene parlò come di una città importante. È tanto che manco, le rispose. Altri convenevoli e poi gli mostrò la camera: uno degli alloggi ricavati per i collaboratori del Festival. Nel Centrum era in corso la mostra di pittura e scultura di Alfredo Martinez Pérez, un artista spagnolo. Nell’occasione della presenza dell’autore c’era un rinfresco. Victoria glielo presentò, ma, al solito, lui non sapeva che dire: solo un saluto, un complimento per il suo lavoro e poi, sopraffatto come sempre dall’imbarazzo, trovò il modo di congedarsi con un mezzo sorriso. Piluccò qualche antipasto dell’apericena in piedi, una cosa che detestava, non sai mai come tenere il piatto di plastica, le posate e il bicchiere: un disastro. Però dovette ammettere che gli spuntini erano gustosi e il vino discreto. È c’era buona musica. Presto però salutò Victoria e si rifugiò in camera. Era stanco, frastornato, forse la ferita, forse il vino, forse tutto, nonostante il rumore della festa che proseguiva si addormentò quasi subito.
“Dance me to the end of love, dance me to the end of love”. Fammi ballare fino alla finedell’amore. Finoalla fine del mondo e anche oltre, se esiste qualcosa, pensava, mentre ballava con Pilar. Erano nella scuola di danza che lei aveva a Mindelo e Leonard Cohen cantava con quella voce roca che si trascinava, come i piedi del commissario.
- È inutile che provi a ballare come me ora, ho provato a insegnarti da viva e tu non hai mai imparato un solo passo: come addestrare un orso!
- Scusa Pilar, lo so, scusa, ma possiamo sempre rimediare...
- Credi, commissario?
- Ex commissario, quante volte te lo devo ripetere!
- Non importa, ora sono ex anch’io... ex viva.
- Mi viene da piangere, Pilar, non è giusto.
- Che c’è di giusto nella vita o nella morte? È così e basta. E tu vivi. Noi morti non siamo gelosi della vita, siamo solo bisognosi di memoria. Per questo torniamo nei sogni o ci lasciamo evocare.
- Pilar, ma io ti piacevo davvero?
- Sei un cretino, commissario!
Pilar lo baciò e fu il risveglio. Un buon risveglio di quelli che accompagnano la malinconia delle persone tristi ed evitano che si perdano nel tempo del disamore. “Sodade”, cantava alla radio Césaria Évora, era mattino, il Centrum aveva riaperto i battenti, era ora di andare. Salutò Victoria, già al suo posto all’ufficio informazioni. Vado un po’ in giro, aspetto Marco, ci vediamo, all’ora di pranzo.
Passò davanti al Comune, lasciandosi alle spalle la Chiesa di Santo Amaro e prese verso il mare. Al Bar Isola Verde, tavolini e sedie erano di plastica, alla buona; tutto sembrava alla buona qui, lontano dai centri turistici più frequentati. Ordinò un caffè lungo e una pasta. Dalla terrazza si vedeva la scogliera del Mar di Baxu diviso da un molo dalla Praia do Tarrafal. L’oceano si muoveva ancora schiumando sugli scogli e stendendosi sulla costa sabbiosa in onde gonfie e lunghe che venivano a due a due. All’imboccatura della baia una grande onda si spezzava e accompagnava a riva i temerari surfisti, issati in piedi sulle lunghe tavole. A riva ragazzi si tuffavano facendosi portare dalla forza della risacca avanti e indietro. Sulla costa sotto l’altura alla fine della baia era scritto, maiuscolo a caratteri cubitali scavati nella roccia, TARRAFAL. Sorseggiando il caffè, sbocconcellando la pasta, guardava quello spettacolo, ascoltava il rumore delle cose. Nuvole andavano e venivano spinte dai venti e il mare ora era azzurrissimo, ora si faceva di un verde smeraldo, più cupo ed inquieto. Stette così senza sapere quanto tempo, senza pensare a nulla. Poi scese alla spiaggia, raggiunse un palmeto e si sedette all’ombra di una palma. I punti della sutura tiravano, chiuse gli occhi e lasciò passare il tempo e il dolore, immerso nel paesaggio.
Il cellulare: era Marco. Sono arrivato, dove sei? Ti vengo a prendere con Victoria, pranziamo, parliamo e si parte per Santa Catarina.
Saluti affettuosi con pugni e gomiti al posto di baci, abbracci e strette di mano. In fondo questa modalità di affetti, versione Covid, non dispiaceva del tutto al commissario, probabilmente affetto da una sorta di inconsapevole autismo sociale. Al Ristorante “Sol & Luna”, un’insegna che si addiceva al Festival, mangiarono riso, verdure e pesce arrosto. Erano un ex commissario, un direttore e una giovane stagista: un trio ben assortito, anche a livello generazionale, in quel luogo fuori del tempo. Stavano sotto gli alberi, sulla terrazza affacciata su un anfiteatro di gradoni che scendevano alla spiaggia, dove in secca stavano le barche variopinte dei pescatori.
A tavola parlarono poco, il commissario emetteva solo grugniti e rari monosillabi. Mentre si mangia è maleducazione, gli avevano insegnato e poi aveva letto che lo faceva anche il collega Montalbano di non parlare mangiando, che mangiare gli piaceva assai. Il Favati per la verità non era nemmeno un buongustaio, è che le protesi in bocca gli facevano male e si doveva concentrare masticando e poi di natura era piuttosto taciturno e in vecchiaia di più. Mutanghero avrebbe detto il grande e compianto Camilleri. Gustarono il cibo. Marco volle offrire, il commissario fece un po’ di complimenti, ma si ricordò di essere un pensionato e ringraziò. Partirono.
Victoria guidava l’auto, conosceva il percorso. La strada saliva sulle alture dell’isola fino al Parque Natural de Serra Malagueta, uno spettacolo di vegetazione, abeti, agavi, in un alternarsi di valli e rilievi montuosi. E poi giù fino a Santa Catarina. Il Comune di Santa Catarina in realtà è una Contea: con 42 mila cittadini circa è il terzo centro di Capo Verde e comprende diverse frazioni. Tra queste Ribeira da Barca, l’unico paese sul mare lungo una costa impervia e selvaggia e Assomada, la cittadina centrale della Contea. È lì che erano diretti. Durante il viaggio Marco ragguagliò il commissario sugli ultimi eventi.
È una triste storia, Nedo. Finalmente qualcuno che lo chiamava per nome e non con il titolo che aveva avuto nei suoi trascorsi di poliziotto prima della pensione! Una storia per cui urge il ritorno del commissario Favati. Come non detto. Pochi giorni fa il sindaco di Santa Catarina, che aveva da poco vinto le sue seconde elezioni, è stato rinvenuto nella veranda di casa, morto con in mano una pistola. Si è ucciso o è una simulazione e si tratta di omicidio? Se lo chiedono tutti. Si chiama, si chiamava José Alves Fernandes, però per tutti era Beto Alves. Era un uomo benvoluto, simpatico e positivo, nessuno crede al suicidio. Moglie e figlia erano in casa, hanno sentito un colpo, ma nell’immediato hanno pensato allo scoppio di qualcosa, un mortaretto di una festa, un rumore di strada. Poi la macabra e agghiacciante scoperta, la disperazione e le grida. Avevo fissato una riunione in Comune dopo le elezioni per mettere su un programma di iniziative del Festival in collegamento con il Centrum di Tarrafal e incontrerò la vice sindaca. La Policia Judiciária propende per la tesi del suicidio, Alvarez, il comandante di Praia, verrà anche lui a Santa Catarina. Mi ha detto che ti vuol far vedere delle cose e avere in via informale un tuo parere.
Arrivarono ad Assomada a metà del pomeriggio. La vicesindaca li aspettava in Municipio. Si chiama Jassira, Jassira Monteiro: è una donna giovane e bella, scurissima di carnato. Ora è divenuta sindaca. Con amarezza si deve dire che non c’è un male senza un bene. Purtroppo però è vero anche il contrario. Così si alternano la vita e la morte.
Cominciarono a parlare del Festival. Lei era ancora sconvolta. Marco traduceva: avevamo fatto insieme la campagna elettorale che è stata anche dura e ora, che era il momento di riposarsi, questa disgrazia inspiegabile! Pensate che il sindaco poche ore prima della tragedia aveva parlato con la Ministra dei Trasporti per fissare un appuntamento a Santa Catarina. Come è possibile? Scusate. La voce le si spezzò dalla commozione e i grandi occhi scuri, fuori della mascherina, si riempirono di lacrime. Si congedò e ci salutammo.
Fuori dal Municipio Marco raccontò un’altra cosa: ora che ci penso, mi viene in mente che l’anno scorso l’ex sindaco di Praia è stato gambizzato, alle sei di mattina, nella palestra dove andava a fare ginnastica. Tra l’altro proprio di fronte al Piccolo Hotel dove vado sempre, a Praia, nel quartiere di Palmarejo Baixo. Non se ne è mai conosciuto il motivo. Chissà, forse una promessa elettorale non mantenuta. Forse gli amministratori pubblici non godono di molta popolarità nell’isola o sono sottoposti a molte pressioni. Episodi ed eventi violenti che li vedono coinvolti non sono nuovi.
E ora la morte del sindaco: una vicenda inspiegabile che si tingeva di giallo. Anche se la pallottola trovata nella sua testa corrispondeva alla sua pistola regolarmente posseduta e questo rafforzava la tesi del suicidio. Il comandante Edivaldo Alvarez arrivò verso sera, avvertì Marco e decisero di trovarsi nel posto di polizia del paese. I due si conoscevano bene, Marco era amico del figlio di Alvarez, che studiava a Pisa e si stava per laureare.
- Obrigado commissario, come sta? Ho saputo del suo ferimento.
- Piacere mio comandante, quanto tempo! Lei sa che sono in pensione, ormai. Mi sto riprendendo, invecchio e resisto, grazie.
Loro si erano conosciuti qualche anno prima, quando il Favati era venuto a Santiago per un’indagine su un giro di droga e un’altra volta per risolvere il delitto di Charo, la sorella gemella di Pilar. E questo ricordo gli fece salire un magone che cercò di contenere. Ognuno si porta dietro, dentro di sé e in mezzo agli altri, il proprio corredo di ricordi e di dolori. Alvarez capiva e parlava bene l’italiano, non c’era bisogno che Marco facesse da interprete. E poi a Praia l’italiano è diffuso, ci sono pure diversi ristoranti italiani: perfino un ristorante pizzeria che si chiama “Terrazza Italia”. Tutto il mondo è paese.
Il comandante mostrò al commissario una serie foto: erano relative alla morte del sindaco. Lo si vedeva esanime, con uno squarcio alla testa. La pistola ancora impugnata. Erain boxer, svestito.
- Commissario, guardi le foto, per favore. Mi interessa il suo parere. Chieda pure se vuol sapere qualcosa.
- La ringrazio della considerazione, comandante, ma non credo di poterle dire granché. Il sindaco si trovava nella propria abitazione? Ed è vero che, come mi hanno detto, in casa c’erano i suoi?
- Sì è così, quello è il suo studio. Moglie e figlia erano erano in camera. La moglie è accorsa dopo e l’ha trovato così.
- Mi conferma che il proiettile ritrovato è quello della pistola?
- Sì, la sua. Era registrata.
- Dove la teneva?
- La signora ci ha detto che stava in una piccola cassaforte a parete, dietro un quadro, nello studio, della quale solo lui, per sicurezza, aveva la chiave.
- Era mancino? La pistola è nella sinistra...
- No, era destro.
- Ah!
- Che ne pensa, commissario?
- Non lo so, comandante. Ci dovrei proprio pensare...
- Ci pensi, per favore. Io devo tornare a Praia. Mi venga a trovare in ufficio. Si faccia accompagnare da Marco: il direttore del Festival è di casa, fanno un gran lavoro per le isole. E quando ci incontriamo mi dice la sua opinione.
Si salutarono. Victoria con l’auto tornava a Tarrafal: la mamma e il suo ragazzo la davano per persa. Marco chiamò il suo tassista, quello che conosceva -soprannominato Pai, il babbo- a cui ricorreva abitualmente quando si trovava a Praia e con il commissario partirono alla volta della capitale. Durante il viaggio parlarono ancora della morte del sindaco e Pai, entrando nel discorso, commentò: «Cabeça de fora é uma coisa, cabeça dentro é outra coisa». La testa che mostriamo è diversa da quella che teniamo. «E perder a cabeça é outra coisa ainda». Perdere la testa è un’altra cosa ancora, aggiunse il commissario, storpiando con mal riposta supponenza il portoghese o creolo capoverdiano che fosse.
Il taxi li portò all’Osteria n.3, un ristorante italiano, dove si concessero un piatto di fusilli al ragù e, per non tradire troppo il genius loci, un vino rosso dell’Isola di Fogo. C’è una splendida terrazza sul mare, è scesa la sera e si è fatto scuro. L’Oceano si è dato riposo, si sente l’onda che batte la riva. Nell’insenatura ci sono ombre di barche in secco, poche lampade accese e qualche luce che si intravede lontana, forse pescherecci o natanti che rientrano in porto o prendono il largo.
È tutto molto strano, dice Marco, che idea ti sei fatto, che risposta darai domani ad Alvarez? Il commissario rispose che non lo sapeva. Guardava il mare davanti, oscuro e infinito e non lo sapeva. Non aveva una risposta. Gli esseri umani vengono al mondo non solo per trovare risposte, disse, ma anche per porre domande. Ed è solo con il coraggio o con la perseveranza, oppure con la stupidità, meglio ancora con le tre cose insieme, che tutti noi riusciamo a lasciare un segno qua e là. Ma quale sia questo segno e il suo significato è difficile dire. Vivere è meglio che scrivere di avere vissuto: ma noi non ci contentiamo di vivere, vorremmo sapere anche perché. E qui cominciano i problemi. E poi una volta il futuro era migliore, l’ha scritto un vecchio costituzionalista italiano. Ed è vero anche per la vita. Ci sono uomini che avrebbero meritato miglior fortuna e altri che ne sono perseguitati. E poi c’è questa storia del libero arbitrio e credere in un Dio che ce lo concede. O che le persone si inventano e usano per distinguere il destino da sé e scegliere il bene dal male. O soltanto riuscire a capirne la differenza. «Tanto non farete mai centro. La bestia che cercate voi, voi ci siete dentro», aveva ragione Caproni a scriverlo. Siamo noi la bestia e, insieme al bene, abbiamo il male dentro. E a volte perfino la colpa di essere sopravvissuti alle tragedie epocali e a quelle private di ciascuno di noi: i nostri cari, gli amici scomparsi. Il babbo quando mi rivelò, ero appena un ragazzo, che la mamma era malata, che non c’era per quel male rimedio e difatti morì, mi confessò che se non ci fossimo stati noi, i figli, l’avrebbe fatta finita. E per noi visse e quando se ne andò anche lui, nel dolore lo disse che la vita era lunga. Anch’io senza Pilar che sono? Che risposta posso dare? Per vivere bisogna avere orrore e pietà di se stessi e, a volte, morire è per caso, come vivere. Forse José Alves Fernandes, per tutti Beto Alves, si è ucciso e non sapremo mai perché. Non c’è niente che impedisce alle persone di essere di destra e ai destri di spararsi con la mano mancina. E ti confesso, Marco, che non è stato facile fare il commissario, sempre in mezzo al male e tra il male e la giustizia. E tra la giustizia e il giustizialismo. Ma nemmeno il sindaco deve essere facile, forse il mestiere migliore per chi ama la politica e la vuole fare, però difficile. I cittadini che ti chiedono, quelli a favore, quelli contro, chi ti lusinga, chi ti disprezza e dopo tutti diventano la gente e la politica soltanto la ricerca del consenso. Alla fine credo che uno sia solo o si senta solo. Capitava anche a me da commissario. E allora il peso ti schiaccia, ti opprime. Forse sarà per questo che il sindaco di Santa Catarina si è tolto la vita. Perché la vita è la cosa migliore che ci è capitato, ma anche la peggiore alle volte. La più leggera e la più pesante. La più bella e la più brutta. Chissà. Credo che dirò questo, domani al comandante Alvarez. E comunque non si sa cos’è è giusto o no, non si sa la verità, si possono ricostruire i fatti, ma non la verità. Non sempre. Ripenso a quel cooperante toscano trovato morto in casa, in un lago di sangue. Credo di aver trovato chi è stato: quell’anarchico di destra che faceva fuori gli stranieri a Capo Verde in un delirio nazionalista. E lui di fatto ha confessato anche quel delitto, prima di accoltellarmi e prima che io gli sparassi, sul molo di Mindelo. Ma in questi giorni ho letto sui giornali che potrebbe essere morto perché si è ferito da sé rompendo i vetri dell’ingresso di casa, sotto l’influsso dell’alcol, dei grog bevuti a una festa. E c’è chi propende per questa tesi che i genitori negano e non si danno pace. È uno strazio ancora più incomprensibile la morte di un figlio. E anche la Ong per cui lavorava non si spiega ciò che è accaduto. Io credo di aver scoperto il colpevole, ti ho detto, ma non ci sono prove e lui è morto. L’ho ucciso e non ci dirà più niente. Ed anch’io ero quasi morto.
Pure io, dice Marco, non so cosa pensare per il Sindaco, se sia suicidio o no. E anche per quel cooperante non saprei. Tra l’altro le Ong fanno cose buone sull’isola, ma sono anche malviste perché ricevono contributi piuttosto consistenti che vanno a finire in gran parte negli stipendi, oltretutto assai alti rispetto alla paga dei capoverdiani. Molto meno viene destinato ai progetti locali, a favore della popolazione. Più che altro producono relazioni su relazioni per l’Unione Europea.
È vero, risponde il commissario, conoscevo una suora missionaria in Africa, una degnissima persona, che mi diceva più o meno la stessa cosa. Comunque abbiamo bevuto troppo, Marco, e si diventa filosofi d’accatto quando si è bevuto troppo, meglio andare a dormire. Non è più utile, diceva un amico.
D’accordo, Nedo, e si diventa pure tristi, mi pare. Ti sento in crisi, commissario, scoraggiato, avvilito. Sembri il capitano Alatriste nella scena finale del film “Il destino di un guerriero” quando dice «poteva andare meglio». Sì, meglio andare a letto e dormirci su.
Il Piccolo Hotel nel quartiere di Palmarejo Baixo, quello che utilizzava di solito Marco, era vicino all’Osteria, lo raggiunsero a piedi per smaltire un po’ la cena, che era stata frugale, ma soprattutto il vino, che era stato generoso. Pernottarono lì, sperando che all’indomani nessun ex sindaco venisse gambizzato. La notte fu agitata per entrambi, ma passò come tutte le nottate. Al risveglio, di buon mattino, si recarono da Alvarez, al Comando di Polizia di Praia. Marco lo accompagnò, ma aveva impegni da sbrigare al Consolato e si scusò. Ci sentiamo più tardi.
- Bom dia, commissario.
- Bom dia, comandante.
- Grazie di essere venuto. Ha pensato alla vicenda del sindaco? Che mi dice?
- Non lo so. Nessuno, penso, possa dirlo di preciso. Questa cosa della pistola nella mano sinistra, lui essendo destrorso, è strana. Tuttavia propendo per l’ipotesi del suicidio. Il sindaco era in casa, se avesse ricevuto qualcuno non l’avrebbe fatto in mutande e con la sua pistola in mano. Se fosse stato un incontro galante non l’avrebbe fatto nella sua abitazione, con i suoi familiari. Se fosse stata la moglie non gli avrebbe messo la pistola nella mano sbagliata. Forse puliva l’arma, forse è partito un colpo per sbaglio. Forse si sentiva in crisi, sopraffatto dagli eventi, dalla responsabilità delle cose, dal peso della vita. Ho tanti forse, comandante, e nessuna verità.
- Anch’io la penso così e mi conforta sapere che abbiamo la stessa opinione; la stampa invece alimenta voci e sospetti di un delitto. La sua esperienza, a livello strettamente personale, mi è utile in questa incertezza. Anche i poliziotti, come converrà, hanno un cuore e molti dubbi.
- Verdade, comandante, verdade.
Si salutarono e Nedo pensò, però che bravo questo comandante! Gli piacevano le persone che avevano più dubbi che certezze. Poi cercò gli orari delle linee aeree e Marco al cellulare e gli disse che per lui era ora di tornare a Mindelo, a casa. Era pronto per ricominciare non sapeva cosa, ma ricominciare era già una cosa. Nella tarda mattinata aveva un volo. Marco lo accompagnò all’Aeroporto Nelson Mandela, si salutarono: grazie di tutto, grazie di che, ci sentiamo, fammi sapere, ciao, a presto. Il commissario esibì il certificato medico che lo dichiarava covid esente e s’imbarcò. In volo guardava l’Oceano e le isole scorrere sotto l’aereo. Qualche banco di nubi e poi, fuori dalla foschia, uno spettacolo blu: il mare specchio del cielo e della vita. Il mondo appare sospeso e migliore a vederlo dall’alto, anche quando è un paradiso di suo. Ed anche quando il paradiso si porta dietro il proprio inferno. Atterrò dopo poco più di un’ora all’Aeroporto Cesária Évora di Mindelo. Prese un taxi e fu a casa, la pousada presa in affitto nel porto vecchio, il suo terrazzino vista mare. Ubi bene, ibi patria.
Si buttò un po’ sul letto e poi uscì a comprare qualcosa. Si apparecchiò un pranzo frugale, una birra, un caffè. Era il primo pomeriggio, ascoltava “Vedrai, vedrai” di Luigi Tenco, certe canzoni vanno al di là della tristezza, dell’amore e della vita. E intanto parlava con Pilar: come era dispiaciuto che non fosse venuta all’aeroporto! Ti racconto la storia del sindaco, le diceva, ma forse te ne ho già parlato. È triste, ma già la sai. Pensò quanto le aveva voluto bene e quanto era stato cretino e gli parve di sentire le sue labbra ed un bacio. Poi avvertì una fitta, come il ricordo di un dolore. La lama che gli mordeva la carne e il ricordo di Pilar che gli gonfiava il cuore. Era stanco e se ne stette seduto sul terrazzo a guardare il paesaggio. Ci sono campi bruciati e nuvole bianche nell’azzurro del cielo. E questo mare infinito, infinito, infinito intorno alle isole e qualche gabbiano che appare e le piccole barche che passano al largo. C’è così tanto amore nell’universo che lo cantano i grilli notturni e le cicale nei pomeriggi d’estate. E la sera che si allungano le ombre, mentre il sole tramonta e la notte quando spunta la luna. Essere soli o avere qualcuno, qualcosa da ricordare, da raccontare di fronte al mistero della vita e della natura, mentre scorrono i giorni ed il tempo. Ed essere vivi e non sentirsi perduti.
FINE
P.S. Il commissario Favati è risorto, ma non ha risolto il caso, si è limitato a descriverlo, a raccontarlo. E purtroppo i fatti descritti nel racconto sono veramente accaduti. Non ci sono per il momento spiegazioni relative alla morte del sindaco. E chissà se ci saranno mai. Tante cose si possono comprendere, ma non capire. Il commissario ha cercato di prenderne atto. Di più non poteva e non era capace. Forse nemmeno voleva. Del resto siamo dotati di scarsi indizi per indagare l’animo umano. La teoria che gli esseri umani vengono al mondo non solo per trovare risposte, ma anche per porre domande è presa dal film “Il tabaccaio di Vienna” ed è Sigmund Freud che la dice. Il costituzionalista italiano citato nel racconto è Sabino Cassese.
I fatti riferiti nella storia, seguono il racconto “Final” e quelli immaginari che in passato avrebbero coinvolto l’altrettanto immaginario comandante Alvarez sono tratti da “Il Favati non dorme” e “Il Favati cerca una storia”, tutti pubblicati su Qui News Valdera e nella raccolta, edita in rete per Amazon, “Il nuovo Favati, quattro indagini del commissario”, preceduta da “Il commissario Favati, delitti in Paradiso”.
Sono grato a Marco Abbondanza, direttore del Festival Sete Sois Sete Luas per le sue informazioni, il suo giudizio e, sopratutto, per il suo incoraggiamento. E anche per aver accettato di essere citato in questo breve e insulso racconto.
Ringrazio Dante Alighieri per il prestito dei versi del Canto II dell’Inferno nell’incipit e mi scuso con lui e con tutti per l’ignobile falsificazione delle terzine successive. Ringrazio anche Giovanni Giudici per la poesia “Alla beatrice” e Mina per la canzone “Mi merito l’inferno” che probabilmente, oltre che per i molti peccati, anche per questa prosa inconcludente e sgrammaticata, mi merito davvero. Ai “postumi” la scontata sentenza.
“Ti meriti l’inferno”, Mina
“Mas amor”, Maria Andrade e La MC Malcriado
“Dance me to end of love”, Leonard Cohen
Sodade, Césaria Évora
“Vedrai, vedrai”, Luigi Tenco
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