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COSA APPARIRA'?

di Daniele Monti



PECCIOLI — La Nazione – Cronaca di Pontedera

Peccioli (Pisa), 31 ottobre 2009 - Una corsa disperata verso il buio del bosco. Pochi passi e quattro pallottole lo raggiungono alla schiena e alla testa. L’ultimo colpo sparato a bruciapelo come una firma dell’assassino che non ha voluto lasciargli la speranza di sopravvivere e per indicare un’esecuzione della malavita: Giuseppe Nola doveva morire. Il quarantenne è caduto in avanti senza più vita, come un fantoccio, con le braccia incrociate sotto la pancia.

Finisce qui la vita di un muratore di Partino, la piccola frazione di Palaia e inizia un mistero che coinvolge tutta l’Alta Valdera. Inizia nella casa dove la vittima aveva convissuto con una donna polacca (ma per i vicini, da tempo, era sparita) e passa da Capannoli dove è stata ritrovata la sua auto per finire a Peccioli, lungo la strada provinciale per Legoli che porta a Castelfalfi, proprio a un chilometro dal confine tra le province di Pisa e Firenze.

Assuero Strampelli aveva buona memoria, un viscerale amore per l’arte classica ed uno speciale colpo d’occhio. Sin da ragazzino era capace, settimana enigmistica alla mano, di individuare al volo le figure nascoste tra i puntini senza neppure unirli con la matita. Il suo talento era servito, qualche volta, anche per rintracciare delle opere d’arte trafugate dal patrimonio del nostro paese. Era quello il suo compito da quando era arrivato nel Nucleo di Tutela del Patrimonio Artistico dei Carabinieri.

Aveva anche un nome piuttosto bislacco, forse preso dall’antico testamento o più probabilmente imposto dal nonno materno vissuto a lungo in Brasile. Sulla questione la famiglia era sempre stata omertosa. Però lo avevano sempre chiamato tutti Asso. Poteva andargli peggio.

Asso, alias Maresciallo Strampelli, era stato a lungo al comando della Stazione di Peccioli e quell’articolo di giornale lo ricordava bene. Si era infatti stupito che, sin da subito, i giornalisti scrivessero del regolamento di conti evidentemente a conoscenza prima e meglio di lui, della partecipazione del Nola ad un programma di protezione. E anche se le indagini furono seguite dal Comando di Compagnia ad Asso rimasero dubbi e domande senza risposta. Poi, un pomeriggio di Dicembre, il Maresciallo Santini, suo sostituto, si fece vivo con quel breve messaggio e la foto di quella pagina di giornale. Asso non resistette alla curiosità e prese alcuni giorni di permesso per raggiungere Peccioli desideroso di rendersi utile e interessato a riprendere quelle indagini.

Peccioli è sempre stato un paese accogliente ed Asso lo trovò impreziosito dalle tante opere d’arte ed installazioni sparse nel borgo. Lo percorse prima di arrivare in caserma dove si incontrò con Santini, ansioso di raccontargli la vicenda.

“La pagina di giornale è stata rinvenuta, insieme alla lettera di cui ti ho accennato, in una busta in carta gialla, sporca ed unta. Il tutto ben nascosto nel doppiofondo di un mobile venduto da un robivecchi di Bientina. Il proprietario stava iniziando a restaurarlo quando si è accorto del doppiofondo, ha visto l’articolo ed ha pensato di portare tutto ai nostri colleghi che hanno intuito il possibile collegamento con il delitto e ci hanno avvertito. Sono state fatte ricerche sul mobile. Si trovava in un vecchio magazzino nelle campagne di Fucecchio. Dopo la morte del proprietario l’erede ha fatto svuotare tutto. C’erano alcuni mobili, macchine per lavorare il legno e attrezzi da falegname. Questa roba non era del defunto ma non si è scoperto di chi fosse”

Asso prese in mano il fascicolo e iniziò a sfogliarlo

“mi ricordo che sentimmo diverse persone” ricordò “vicini di casa e gente con la quale il Nola aveva rapporti di lavoro, come carpentiere edile, ma non venne fuori nulla. La perquisizione nella vecchia casa in affitto non dette informazioni od indizi, lo stesso il telefono. Tra l’altro era tutto irregolare, affitto e lavoro. Viveva come un fantasma probabilmente per paura”.

Santini intervenne “Ho letto la deposizione di una donna” disse “era la ex convivente del Nola ma il loro rapporto era durato poco e lei era tornata a fare la ballerina di night dopo un tentativo, fallito, di cambiare vita”

“Vero!” esclamò Asso “adesso ricordo, la rintracciarono dopo un po' di tempo, si era allontanata per paura dopo l’omicidio”

“Esatto” intervenne Santini “dopo oltre tre mesi, era stata all’estero. La deposizione la trovi nel fascicolo. E contiene qualcosa di interessante cui però non venne dato seguito ritenendo il caso già chiuso”

Asso lesse la deposizione. La donna, una polacca , aveva vissuto con il Nola per qualche mese prima di cambiare idea e tornare alla vita di prima. Si era convinta che lui nascondesse cose del suo passato e per questa ragione aveva deciso di interrompere la relazione. Lui però aveva continuato a cercarla, anche nel night dove lei lavorava. Un paio di giorni prima dell’omicidio lo aveva visto, prima da solo e poi con due uomini a lei sconosciuti. I due sembravano conoscere il Nola e avevano modi amichevoli mentre lui sembrava in imbarazzo. I due, entrambi sulla quarantina, erano molto diversi tra loro, uno mingherlino con i capelli lunghi legati e barba incolta. L’altro invece era un tipo attraente, ben vestito, baffetti e capelli impomatati “come nei vecchi film”.

Questa deposizione poteva fornire qualche elemento, forse i due uomini erano coinvolti nell’omicidio? Aprì il fascicolo e prese subito la lettera, un foglio unto strappato da un blocco a quadretti e vergato con mano incerta.

Quel jornu chi cambiò a mo vita era 'na notti.

Da chidda notti mi basta chiùiri l'ùocchi pi rivedere chidda fotografia, noi carusi duoppu a partita rintra chiazza du paisi.

Pino addritta chi alzava a palla comu si fussi a coppa du munno mentri iu e Tore stavamo abbrazzati comu i calciatori di li figurine.

Tore cu u so mustazzo furbetto e i capiddi a alliccata ri vacca e iu chi sorridevo mentri guardavo me soru nica scattarci a foto, macari idda sorridente.

U so ultimu sorriso innocente.

Ricordiu u so sguardo astutatu duoppu u rapimento

Ricordiu u tonfo du so corpo supra u selciato

Ricordiu a cenere chi avìa astutatu tuttu, i speranze e i sorrisi. e apprima chi a Provvidenza fermasse a idda a malasorte si era presa macari me patri e ma matri e iu mischinu sunnu rimasto sulu. Sulu.

Giulia si ni jè andata e Pino avi dovuto seguirla.

E Tore nun poteva cchiù vìviri duoppu chidda notti.

Chidda notti chi cambiò a mo vita.

Quelle parole trasmettevano angoscia e disagio, raccontavano di dolore e perdita. E ponevano altre domande.

Chi erano i protagonisti di quella foto? Cosa collegava la lettera all’articolo di giornale che parlava del delitto?

Chiese una mano ad uno dei Carabinieri di Peccioli, di origini siciliane, per comprenderne meglio il significato.

Il collega era catanese e questo si rivelò utile perché ricordava il fatto citato. Nella lettera si parlava infatti di una eruzione dell’Etna, durata molto a lungo tra il 91 ed il 93, miracolosamente fermata da giorni di preghiere collettive alla Divina Provvidenza.

Era un indizio. Un puntino da unire agli altri, sperando di trovarne ancora.

Asso voleva dare una identità a quei personaggi, Pino, Giulia e Tore. E all’autore della lettera. Pino poteva essere Il Nola, in questo caso la relazione con il delitto c’era eccome. E quello con i capelli “a leccata di mucca” ed il “mustazzo furbetto” ricordava la descrizione di uno dei due uomini visti con il Nola. Mentre rifletteva si era incamminato lungo via Bastioni. Percorse la parte medioevale del paese attraverso i suoi chiassi uno dei quali si illuminò al suo passaggio. Lo prese come un buon segno.

La mattina dopo con Santini rilessero i verbali delle indagini e degli interrogatori. Il Nola viveva a Partino di Palaia, un piccolo borgo nella zona dove era arrivato circa cinque anni dopo aver vissuto una ventina d’anni tra Lazio ed Umbria. Originario di Enna aveva vissuto fino a metà degli anni 90 a Catania. Agli atti risultava una denuncia per furto ed estorsione ma al processo i testimoni ritrattarono in parte e la condanna fu minima e con al condizionale. Non era certo il ritratto tipico del pentito di mafia, probabilmente il suo ruolo era stato un altro ma questo forse non era importante.

La sera prima dell’omicidio il Nola era stato visto in un bar di Capannoli dove andava ogni tanto. La barista lo vide affacciarsi ma non entrare poi lo perse di vista. La sua auto fu ritrovata vicino al bar. Probabilmente si era allontanato con i suoi assassini. Asso infatti si era fatto l’idea che i due personaggi visti al night fossero coinvolti e che la mafia non c’entrasse nulla. Questo spiegava il perché di una esecuzione in apparenza non ben organizzata. Troppi i quattro colpi di calibro 9, uno solo mortale. E poi il luogo, uno spiazzo lungo la strada provinciale anche se fuori dal paese di Legoli non era certo il posto adatto ad una esecuzione. Forse i tre si erano fermati, per un bisogno o con una scusa. E proprio lì era successo qualcosa che aveva fatto scattare la molla e portato all’omicidio.

La prossima mossa era scoprire l’identità di queste persone, a questo punto era delineato il periodo e il territorio dove cercare ma serviva qualcuno che potesse ricordare fatti vecchi di decenni.

Asso contattò Libero Li Calzi, Direttore del Museo di Castello Ursino, conosciuto durante una indagine. Il funzionario, persona arguta e molto disponibile, si mise a disposizione per aiutarlo e lo presentò a Rino Cannata, uno dei decani della redazione di Catania del Giornale di Sicilia. Asso chiese al giornalista di aiutarlo in questa difficile ricerca, quasi come trovare il proverbiale ago nel pagliaio.

Più tardi si ricordò anche di un altro, abusato, proverbio. L’assassino torna sempre sul luogo del delitto. Doveva dormirci sopra ma l’idea stava prendendo forma.

Quando c’è il sole la mattina verso le nove un gruppetto di pensionati di Legoli si ritrova fare quattro parole davanti al circolo. E quella mattina il sole c’era.

Anche se era in borghese l’arrivo di Asso catturò l’attenzione di tutti e in particolare del Baratta, un pensionato della Piaggio da sempre appassionato di ricerca di reperti della guerra che collezionava e, spesso, barattava con altri collezionisti. L’uomo gli andò incontro tendendogli la mano

“Maresciallo Strampelli” gli disse sorridendo “anche se ha fatto carriera lei è sempre il mio Maresciallo” aggiunse. I due si erano conosciuti quando il Baratta aveva trovato una vecchia bomba inesplosa. Asso sorrise a sua volta guardando il vecchio, occhi azzurri profondi, stretta decisa e sguardo limpido “Cercavo proprio lei Baratta” gli disse andando subito al punto “Si ricorda di quando trovarono il morto vicino a Colle Verde?” ad un cenno affermativo continuò “in quei giorni venne qualcuno a curiosare o a fare domande?” gli chiese.

“Ora che me lo dice forse si, c’era un capellone e barbone secco secco che cercava lavoro per cogliere le olive. Era parecchio curioso e chiedeva a tutti dell’omicidio ma nessuno sapeva più di quello che si leggeva sul giornale”

“ma lo trovò lavoro?”

“lo mandai dal Turi, lui ha tante piante e aveva bisogno. Non lo so poi però come rimasero ma gli si va a chiedere, tanto è alle terre”

L’uomo era intento ad accudire i suoi cani e in breve il Baratta gli fece rievocare l’episodio “Si, mi rammento. Enzo si chiamava. Era siciliano. Ma non era bono, troppo secco. Venne un giorno solo e poi sparì. Io lo chiamai anche per pagarlo, ma non ci fu verso, “il numero chiamato è inesistente” diceva la voce. Poi non l’ho più visto”.

“ma fece domande sull’omicidio?” chiese Asso.

“Hai voglia, insisteva anche, ma noi non si sapeva nulla”.

La descrizione concordava, magrolino, capelli lunghi, barba e accento siciliano. Enzo. Un altro puntino.

“Baratta si potrebbe fare una ricerca con il cercametalli?” Chiese Asso come preso da una intuizione. “Certo” rispose il Baratta. Prendo la roba e si va.

Arrivò poco dopo abbigliato con una giacca mimetica di foggia militare, la Panda carica di attrezzi e borse ed un sorriso che lo illuminava.

A mezzogiorno avevano già spazzolato una vasta area intorno al punto dove Asso ricordava essere stato rinvenuto il cadavere. La zona, negli anni, era stata usata anche come discarica abusiva di materiali da edilizia e venne fuori parecchio ferraccio, lattine, un mazzo di chiavi rugginose ed un bossolo. Quest’ultimo attirò l’attenzione del cercatore “questo non me lo aspettavo” disse “è di una Luger, una delle pistole più rare della guerra” spiegò ad Asso mentre avvicinava una lente di ingrandimento per fargli vedere il marchio sul fondello – 9mm LUGER G.F.L.-

“è qui dalla guerra?” chiese Asso

“difficile dirlo. Era una pistola da ufficiali e qui non c’erano comandi. Poi con tutta la roba che ci hanno buttato qui … vai a sapere … però penso che tanti anni in terra quel bossolo non ce li ha passati, è poco ossidato”

“qualcuno potrebbe avere una pistola come quella?” chiese Asso “e i proiettili possono essere usati da una pistola diversa?”

“la Luger era una pistola poco diffusa, i proiettili anche più rari. Li avevano solo gli ufficiali. E per evitare inceppamenti ogni pistola usava i suoi proiettili”.

“Di certo” aggiunse il Baratta che aveva capito dove si andava a parare “se ha sparato dopo tanti anni era conservata bene. Magari è passata di mano oppure è stata ritrovata da qualche parte”.

“cosa intende per conservata bene?”

“in un posto asciutto, protetta da polvere e umidità e tenuta ben oliata”

“ma chi l’ha tenuta perché lo avrebbe fatto?”

“Tanti alla fine della guerra raccolsero le armi per paura di cosa poteva succedere. Si temevano anche vendette. Nel dopoguerra però i carabinieri le hanno cercate a lungo e con insistenza e così chi le aveva le ha consegnate oppure rimpiattate”

“tipo rimpiattate dove?’”

“uno che conosco ha trovato un mitra inglese avvolto in una cerata e murato nell’ intercapedine di una porta” raccontò “ un altro invece ha trovato una scatola di bombe a mano sotto dei mattoni mentre disfaceva un vecchio pollaio. Rimpiattate bene direi”.

“La Luger in un cassetto segreto di un mobile poteva starci?” chiese Asso.

“Certo, un ottimo nascondiglio” annuì il cercatore consegnandogli il bossolo prima di caricare sulla Panda il ferraccio che avrebbe poi portato in discarica.

Un altro puntino.

Non riusciva ancora a immaginare la figura che sarebbe apparsa ma sentiva che c’era una svolta. Rientrato a Peccioli e informò Santini sulle novità. Poi fece lo stesso telefonando al giornalista ed infine chiamò il proprietario del mobile per sapere se il doppiofondo fosse sporco di olio. Ne ebbero conferma.

La mattina dopo lo chiamò Cannata. Il giornalista aveva trovato una possibile pista, Un suo collega gli aveva parlato di un episodio curioso avvenuto una decina di anni prima. Venne informato, da una sua attendibile fonte, di un delitto di gelosia sul quale scrisse un breve articolo. Poi però la sua fonte lo contattò per ritrattare tutto parlando di un suicidio. E questo era già curioso ma la cosa più interessante fu il ritrovamento di una pistola tedesca vicino al cadavere, come quella di cui gli aveva parlato Asso. Il giornalista aveva inviato per mail il breve articolo, datato 13 gennaio 2010.

Delitto o suicidio?

Ieri nelle campagne di Maggiorana Etnea è stato rinvenuto il corpo di un uomo di 40 anni, S.T. di professione commerciante. Il morto era riverso in una pozza di sangue all’interno di una piccola casa dove, pare, era uso a portare le sue amanti.

La morte è avvenuta per una ferita da arma da fuoco alla testa. E’ stata rinvenuta una pistola tedesca Luger, reperto della grande guerra.

Gli inquirenti mantengono un comprensibile riserbo su quello che potrebbe essere un delitto di gelosia lasciando aperte anche altre ipotesi.

Il giornalista non ricordava il nome del morto ma adesso un nuovo puntino si era aggiunto.

Il giorno lasciò Peccioli diretto in Sicilia per incontrare i Carabinieri di Maggiorana.

“Si parlò di suicidio perché facemmo circolare noi la voce” raccontò il brigadiere Florio che all’epoca si era occupato delle indagini. “Il morto, Salvatore Tancredi, era un tipo a cui piacevano le donne e la bella vita. Commerciava in vino e gli affari non andavano male ma aveva lo stesso parecchi debiti. Abbiamo vagliato questa pista ma abbiamo escluso l’usura. Il movente doveva essere la gelosia. Controllando il telefono abbiamo trovato un SMS anonimo, inviato da una cabina telefonica di Catania. Sembrava un invito romantico, per dirla con garbo. Era del giorno del delitto, lunedì 11, inviato nel tardo pomeriggio. Abbiamo pensato ad una trappola, magari tesa da un marito tradito. Però l’amante del Tancredi ed il marito avevano alibi validi. Il Tancredi però poteva avere anche corteggiato altre donne. E per questo lasciammo circolare l’ipotesi del suicidio sperando che il colpevole si tradisse. Ma non è mai accaduto. Al suicidio, invece, non abbiamo mai creduto. La perizia lo escludeva, il letto era rifatto e abbiamo trovato calici e vino da aprire. Chi si vuole uccidere non organizza una serata romantica. E poi perché avrebbe usato un ferrovecchio come quella pistola tedesca? Nella casa abbiamo trovato due fucili da caccia con le cartucce”

“Avete delle foto della scena del delitto e della pistola?” chiese Asso

“Certo” rispose il brigadiere “e voi cosa avete su questo caso?” domandò

Asso fece un riepilogo e mentre parlava stava mentalmente mettendo in ordine il disegno che si stava formando grazie ai puntini. Sperava presto aggiungerne uno, il nome dell’autore della lettera

Il fascicolo conteneva molte foto riprese da varie angolazioni. Il morto era sul pavimento, supino. Vicino alla sua mano destra la pistola, tra le dita della mano sinistra un oggetto che sembrava una cornice. I due oggetti si rivelarono essere una Luger ed una piccola foto incorniciata. Sullo sfondo di una piazza tre ragazzi, uno in piedi con la palla alzata sopra la testa, gli altri due in posa cingendosi reciprocamente le spalle. Uno dei due somigliava parecchio al morto, quello in piedi poteva essere il Nola.

“si potrebbero identificare questi ragazzi?” chiese Asso, “questo in particolare” precisò indicando quello che immaginava essere Enzo.

Il brigadiere stampò la foto e uscì, diretto in paese a chiedere.

Tornò un ora più tardi

“siamo stati fortunati! Il barista li conosceva bene, è un loro coetaneo.

“Questo è Vincenzo Cuffari, un tipo sfortunato. Nel 92 in pochi mesi perse prima la sorella, suicida, poi i genitori, in un incidente d’auto. Dopo poco tempo se ne andò senza più dare sue notizie. Quello a fianco è il nostro Tancredi. I due erano molto amici. Quello in piedi si chiama Pino e non è di Maggiorana ma ci passava le estati, presso i nonni”.

Quella era la foto che rubava il sonno a Enzo.

Era arrivato un altro puntino.

Sul suicidio c’era stata una breve indagine. La ragazza, Giulia, studentessa a Catania un giorno non era tornata da scuola. Venne dato l’allarme alla sera ma le ricerche non dettero esito. In paese si parlava di una fuitina. Il pomeriggio del giorno dopo la ragazza tornò a casa, da sola, con i vestiti stracciati ed in stato confusionale. Si chiuse in camera e non volle parlare con nessuno. I genitori, forse per vergogna, non la portarono in ospedale. La notte stessa si gettò dalla finestra della sua stanza senza lasciare nessuna lettera. Quello che sappiamo ce lo raccontò il fratello perché i genitori non si rivolsero a noi, si opposero anche alla autopsia e si limitarono ad incolpare alcuni giovani del paese, teste calde legate alla famiglia reggente. Questa cosa andò avanti per diverse settimane. Noi avevamo sentito le compagne di scuola ed eravamo convinti che Giulia si fosse allontanata volontariamente, forse attirata in una trappola da qualcuno di cui si fidava. Qualche tempo dopo i genitori morirono in un incidente stradale. Dopo questo fatto non avemmo più contatti con il ragazzo.

Vincenzo Cuffari risultava aver vissuto a lungo a Fucecchio, dove era morto circa un anno prima.

I colleghi sul posto interrogarono i due anziani presso cui aveva vissuto per tanti anni. Lo descrissero come una persona timida e schiva che viveva facendo piccoli lavori in legno e restauri. Ricordavano solo una visita, anni prima, da parte di un amico del paese di origine ma non lo avevano mai visto con una donna. Per loro era anche un po' fuori di testa, ricordavano numerose occasioni in cui diceva di parlare con la sorella morta. Gli anziani però ne avevano paura, anzi gli erano affezionati. Quando lo avevano ricoverato per un tumore erano andati a trovarlo in ospedale e avevano pagato loro per il funerale. Gli effetti personali inscatolati con cura vennero sequestrati ed analizzati con attenzione.

Furono trovati molti blocchi per appunti a quadretti, come la lettera ritrovata. In gran parte erano stati usati per segnare conti e misure. Alcuni però contenevano pagine di pensieri e riflessioni, quasi tutti riferiti alla sorella. L’attenzione si concentrò su un blocco con pagine usate come un diario che raccontavano di una visita in zona del Tancredi e l’incontro casuale con il Nola. A seguito di quell’incontro il Tancredi raccontò di un sospetto sulla possibile presenza del Nola davanti alla scuola di Giulia il giorno del rapimento. Inizialmente doveva averne dubitato ma l’imbarazzo dimostrato nel rivederli forse lo aveva fatto ricredere. Forse i due decisero di chiedere un chiarimento. Forse questo non era bastato per convincere il Cuffari, che si era presentato armato della pistola in precedenza casualmente ritrovata nello stesso doppiofondo, e il chiarimento era finito in un omicidio.

In altre pagine, probabilmente successive, abbondavano riferimenti ad un sogno, ricorrente, che indicava il Nola come complice nel rapimento, come a cercare una motivazione al delitto commesso, e poi ancora un crescendo di deliranti pensieri su sogni e segnali ricevuti dall’aldilà. Questi sembravano rivolgersi al Tancredi con cui i rapporti dovevano essersi incrinati dopo l’omicidio. Si ritiene che il Cuffari, in pieno delirio ma con una notevole lucidità, abbia fatto ricorso all’espediente del messaggio anonimo per incontrare ed uccidere l’uomo che era stato il suo migliore amico e che riteneva, in qualche modo, responsabile del suo dolore interiore.

Questo era in sintesi il resoconto di Santini al termine delle indagini insieme alla conferma che la Luger aveva sparato in entrambi gli omicidi.

I dubbi erano risolti e le risposte arrivate. Anche la figura nascosta adesso si svelava.

Era una pistola.

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Cosa apparirà di Daniele Monti è stato realizzato alla fine del Corso di scrittura dal titolo Storie a tinte gialle, promosso dalla Fondazione Peccioli per l’Arte e condotto dal giornalista Andrea Marchetti alla Biblioteca Fonte Mazzola.


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