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Attualità giovedì 03 novembre 2022 ore 16:00

4 Novembre 1966, il giorno dell'alluvione

Ricordiamo quel tragico evento che sconvolse la città con le pagine del libro "Il cielo sotto Varramista" di Giuseppe Cecconi e Lando Testi



PONTEDERA — *L'alta competenza delle maestranze della Vespa e il loro attaccamento al proprio posto di lavoro, risultarono decisive in occasione dell'alluvione del 4 novembre del 1966.

Le acque limacciose del fiume Era, alle due del pomeriggio ruppero gli argini proprio all'altezza del viale che conduce alla grande fabbrica metalmeccanica, e inondarono Pontedera. I negozi furono svuotati dalla corrente impetuosa che portava via tutto. Tavoli, armadi e poltrone di un grande magazzino di arredamento del centro storico, galleggiavano dondolandosi sul Corso principale.

Era come un'alta marea che cresceva inesorabilmente. Dopo un'ora i piani terreni delle case erano stati sommersi, ma anche chi abitava più in alto temeva per la propria incolumità.

All'improvviso una colonna di fumo bianco, alta cento metri, si alzò dagli stabilimenti della Vespa. Succedeva che l'acqua, tracimando nei forni incandescenti a millecinquecento gradi della fonderia, evaporava con violenza estrema come se sprigionasse da un soffione boracifero. Questo fenomeno termodinamico provocava degli scoppi spaventosi che mettevano paura: sembrava la fine del mondo. Tutti i Pontederesi erano annichiliti.

Senza corrente elettrica, coi rubinetti asciutti e i telefoni fuori uso, mentre la gente era ammutolita dalla paura e i nuvoloni neri chiudevano il cielo, alle cinque della sera il buio e il silenzio furono i padroni assoluti della città.

Per tutta la notte si udì solo il gran vociare di un uomo possente e di gigantesca statura. Tanto per non sbagliare era un piaggista! Costui, abitando a metà strada fra il Comune e il Commissariato di Polizia di Palazzo Pretorio, come nel gioco del telefono senza fili, dal suo terrazzino faceva da cassa di risonanza, e rilanciava i messaggi che gli arrivavano dai due presidi istituzionali, permettendo così che potessero comunicare. Egli ebbe il suo momento di gloria. Ormai col Sindaco si dava del tu. Oh, Giacomo, oh, Silvano! Si chiamavano per nome come se fossero vecchi amici, anche se prima non si erano mai visti né conosciuti. Indubbiamente si sarebbe meritato una medaglia al valore questo instancabile portavoce, che sembrava uscito pari pari dalle pagine del libro Cuore di De Amicis.

I primi soccorsi alla popolazione arrivarono il giorno dopo dai militari americani di Camp Darby, che viaggiavano spediti su veloci gommoni. Sembrava di vedere un film di Roberto Rossellini, l'ultimo episodio di Paisà.

A piene mani distribuivano alle famiglie delle scatolette di latta dove c'erano biscotti, cioccolate, una bustina di liquore, sigarette.

Anche quella volta si presentarono come i liberatori!

Nella confezione degli alimenti c'era stampigliato il nome Vietnam, perché quelle vettovaglie erano destinate alle truppe impegnate nella cruenta guerra d'Indocina contro i Vietcong di Ho Chi Minh.

Quando le acque cominciarono a ritirarsi, tutto il personale della Piaggio si presentò ai cancelli della fabbrica e, senza sgomentarsi, rimboccatesi le maniche, ognuno si mise a spalare via la motriglia e a pulire gli ingranaggi dei macchinari. I piaggisti rivivevano la tragedia dell'ultima guerra, quando si ritrovarono da soli fra le macerie dei capannoni rasi al suolo dai bombardamenti aerei.

Il fango era ovunque, fuori e dentro, sopra e sotto. Bisognava smontare i motori, levare i cuscinetti, pulire gli avvolgimenti, quindi rimontare tutto. Coi termoventilatori furono asciugate le bobine, che altrimenti sarebbero saltate una volta ridata la tensione elettrica.

Un'operazione fatta a tempo di record, perché ognuno sapeva dove mettere le mani, mostrando la stessa passione con cui, in quegli stessi giorni, i giovani accorsi da tutta l'Italia liberarono dai detriti dell'Arno la Biblioteca Nazionale di Firenze: gli angeli del fango!

Dopo un mese di questo lavoro certosino, con turni massacranti di tredici ore al dì, la Piaggio risplendeva più bella che mai. 

*Pagine tratte dal libro "Il cielo sotto Varramista" di Giuseppe Cecconi e Lando Testi


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