Scossi da un altro sciame
di Francesco Feola - giovedì 25 agosto 2016 ore 15:10
Non è che sia stato il mio primo pensiero, la poesia che suggerisco qui di seguito, appena ho appreso la notizia del terremoto che ha colpito il Centro Italia in questo 24 agosto 2016, data ormai impressa per sempre come una cicatrice, l’ennesima, sul volto della nostra storia.
Ma è stata la prima cosa sensata cui ho pensato per dare voce alle mie lacrime senza scadere nella retorica facile, melensa, scontata. Inutile. E così, per fugare il rischio sempre in agguato di scrivere banalità, e tuttavia mosso dal bisogno di partecipare in qualche misura, ho voluto rileggere i versi di un grande poeta italiano, Valerio Magrelli, che ho conosciuto personalmente a Pisa, a fine maggio 2016, durante un reading di poesia nel chiostro della Chiesa di San Michele degli Scalzi.
Tra i brani che Magrelli scelse di leggere in quell’occasione vi fu Lo sciame, tratto dalla sua raccolta di poesie Il sangue amaro,e che in queste ore assume un significato tragicamente rinnovato.
Mi parve subito un modo senz’altro originale di raccontare un dramma come quello di un terremoto, che distrugge tutto e mette l’uomo di fronte alla sua impotenza. Un modo incredibilmente semplice eppure così efficace per descrivere qualcosa che non è possibile comprendere razionalmente.
Fui colpito dall’immagine di uno sciame di api cattive che si riprende con un dispetto tutto ciò che è suo, a cominciare dalle nostre case, da cui siamo sfrattati bruscamente (e questo nella migliore delle ipotesi). Un’immagine così immediata che sembra parlare a un bambino, ma che tocca la sensibilità di chiunque, forse proprio per quel registro straniante, solo in apparenza discorde con il tema affrontato.
E soprattutto già allora, al primo ascolto, mi sembrò un punto di vista molto interessante, tutt’altro che banale, e per niente retorico.
Lo sciame
Per non dimenticare il Policida
Si dice “sciame di scosse”, come fossero api,
ma api che ci cacciano da casa,
api che fanno un miele amaro amaro,
di dolore, di nausea, di paura.
Ci eravamo accampati sopra il loro alveare,
ecco perché ci cacciano.
Non siamo a casa neanche a casa nostra,
anche la nostra casa è casa d’altri,
la casa di qualcuno arrivato da prima
e che adesso ci caccia.
Vengono a sciami, si riprendono casa,
la loro casa, da cui ci scuotono via,
punendoci per la nostra presunzione:
essere stati tanto fiduciosi
da credere che il mondo si potesse abitare.
Da Il sangue amaro (Einaudi 2014)
Francesco Feola