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​SANGUE INNOCENTE

di Carla Sabatini



PECCIOLI — Una mitraglietta tedesca aveva vomitato i suoi proiettili sul corpo della giovane donna stesa sul tavolo della cucina. La mano che aveva impugnato l’arma per mettere fine a quella vita innocente non era tedesca, i tedeschi se ne erano andati da mesi.

Un pianto silenzioso, dopo le grida di disperazione, aleggiava nella stanza. La madre, aiutata dalle vicine, cercava di lavare via il sangue che dal tavolo scendeva sul pavimento confondendosi con il rosso dei mattoni.

Nelle campagne intorno a Peccioli la vita stava tornando alla normalità.

Non ci si doveva più nascondere nei rifugi o temere un rastrellamento.

Anche alla fattoria dei Cipressi si festeggiava la Liberazione.

Le famiglie che vivevano lì ringraziavano il cielo per essere riuscite a sopravvivere alla guerra senza perdere nessuno dei loro cari, nonostante la Toscana fosse una delle regioni con più tombe su cui piangere.

I pochi uomini che erano andati a combattere stavano tornando. Altri si erano “imboscati” evitando così di dover impugnare le armi.

I Borghi e i Vanni vivevano nella stessa casa colonica, a poche centinaia di metri dalla villa dei padroni, dove, fino a pochi mesi prima, i tedeschi avevano il loro quartier generale. I primi erano lì da molti anni, mentre i secondi erano arrivati da un paese vicino, poco prima che scoppiasse la guerra.

Lia Vanni, unica figlia femmina di quattro fratelli, aveva 17 anni ed era la gioia della famiglia. Non molto alta, era minuta e aveva capelli neri, occhi scuri e profondi e la voce di una capinera, come soleva dire il padre, che una volta sentendo cantare quell’uccello ne aveva apprezzato il suono melodioso. Mario Vanni non conosceva Verga né la sua novella “Storia di una capinera” e non poteva sapere quanto profetico sarebbe stato il soprannome che aveva dato alla figlia.

Lia trovò in Maria Borghi un’amica. Maria aveva due anni più di lei, era fidanzata e stava aspettando il ritorno del fidanzato dalla guerra per sposarsi.

Le due ragazze passavano insieme tutti i momenti liberi dalle faccende domestiche.

Mino, fratello di Maria, attratto dalle loro risate, aveva iniziato a spiarle di nascosto dalla finestra della sua camera.

La poliomielite lo aveva lasciato incapace di muoversi da solo. I falegnami che lavoravano nella bottega sotto casa gli avevano costruito una sedia a rotelle di legno che gli permetteva di essere indipendente in casa, ma fuori poteva andare solo se il padre o i fratelli lo aiutavano a scendere le scale.

“Perché tuo fratello se ne sta sempre in casa?” Chiedeva Lia a Maria quando lo vedeva dietro il vetro ad osservarle come fanno i pesci quando passi davanti al loro acquario.

“Quando sarà più caldo vedrai che scenderà in cortile con noi”. Rispondeva l’amica che aveva vagamente accennato al fatto che il fratello non camminasse bene.

E un giorno Mino era finalmente sceso in cortile. Lia era stata subito attratta da quel ragazzo taciturno e riservato, non le importava se dovesse muoversi con una sedia a rotelle. Da parte sua Mino, che all’inizio se ne stava in disparte, alla fine era stato conquistato non solo dalla bellezza di Lia, ma dalla sua allegria e dalla sua gentilezza.

Di quell’amore nato durante la guerra non si era accorto nessuno, altri erano i pensieri delle due famiglie impegnate a sopravvivere alla meglio in un momento così difficile.

Maria era stata la loro complice, l’unica a conoscere i sentimenti dei due giovani.

Adesso la guerra era finita avrebbero potuto dire alle loro famiglie che volevano sposarsi, questo si dicevano Lia e Mino quando riuscivano a vedersi da soli.

Si amavano nulla avrebbe potuto dividerli.

Una sera, mentre tutti erano a cena, Lia si decise a parlare con i genitori.

“Babbo, mamma, io e Mino ci amiamo e vogliamo sposarci.” La madre che aveva iniziato a sospettare qualcosa iniziò a piangere “Non sai quello che stai dicendo Lia, Mino ha bisogno di essere assistito, chi lo farà? Non potrà mai lavorare nei campi. Come farete a sopravvivere?”. “Vivremo in casa con i suoi genitori. Ci sono i suoi fratelli che possono aiutarlo e anch’io mi prenderò cura di lui, non chiedo altro.” Disse Lia.

Il padre all’inizio rimase in silenzio poi, calmo ma deciso, le disse " Tu non sposerai mai Mino, piuttosto ti faccio rinchiudere in convento. La zia Angela ne sarebbe felice.” A nulla servirono le sue suppliche, nessuno la ascoltò.

Nei giorni che seguirono le impedirono in ogni modo di vedere Mino. Così i due giovani iniziarono a scriversi in segreto aiutati da Maria che recapitava i messaggi ora all’uno ora all’altra.

Una notte la madre sorprese Lia mentre leggeva uno di quei messaggi, ci fu un feroce litigio e la ragazza venne buttata fuori di casa. Era notte fonda, non sapeva dove andare non le restava che bussare alla porta dei vicini. La madre di Mino la accolse e la fece dormire con Maria. Al mattino dopo, quando Lia tornò a casa trovò il padre che le porse una busta con i suoi vestiti annunciandole che da quel giorno sarebbe andata a servizio in una cittadina vicina, che era arrivato il momento che anche lei aiutasse la famiglia. Lia sapeva che non avrebbe potuto ribellarsi, scrisse un biglietto per Mino promettendogli che presto sarebbe tornata, lo consegnò di nascosto a Maria e partì. Il padre la accompagnò con la vespa fino a Pontedera, Mino la guardò partire dalla finestra della sua camera. Da quel momento si allontanò da quella finestra solo per dormire e mangiare e non volle più uscire di casa.

I signori Nencini, che vivevano in un bel palazzo nel centro di Pontedera, accolsero Lia come una figlia, visto anche che loro di figli, fino a quel momento, non ne avevano avuti. La casa era sempre piena di persone importanti e Lia era molto impegnata nelle faccende domestiche.

Scriveva spesso a Maria e dentro la busta metteva sempre una lettera per Mino. I due giovani continuavano a dichiararsi il reciproco amore e fantasticavano di andare lontano, magari in America. La signora Fausta Nencini era molto gentile con lei più di quanto nessuno lo fosse mai stato. Presto diventò la sua confidente. Lia le raccontò del suo amore per Mino e di quanto fosse triste lontana da lui. Quando le parlò della condizione del fidanzato la signora Fausta capì la preoccupazione dei genitori, una ragazza così bella e gentile sposata con un uomo che sarebbe sempre dipeso da lei non era quello che avrebbero voluto per una figlia, se l’avesse avuta. A lei, però, non disse nulla e continuò ad ascoltare le sue confidenze ripromettendosi di cercare una soluzione. Cominciò così a presentarle i figli delle coppie di amici che invitava spesso a cena sperando che fra loro ce ne fosse uno che le facesse dimenticare Mino.

D’altra parte, pensava, Lia non si era mai mossa dalla fattoria, non aveva conosciuto altri ragazzi, non sarebbe stato difficile farle capire che poteva avere di meglio. Passarono i mesi, nelle sue lettere, Lia chiedeva con insistenza al padre di venirla prendere per passare alcuni giorni a casa, ma senza risultato.

Intanto tra i giovani, che la signora le aveva presentato, ce n’era uno che non si arrendeva. Le mandava fiori, le recitava poesie e non perdeva occasione per rimanere solo con lei e dirle quanto era bella, che si era innamorato, che avrebbe voluto sposarla. Una sera venne invitato anche un fotografo e il giovane si fece fotografare insieme a Lia mentre le dedicava una delle sue poesie.

Lia però continuava a pensare a Mino, al dolore che aveva letto nei suoi occhi quando era partita.

Una mattina Lia non riuscì ad alzarsi dal letto, era stata male tutta la notte. All’inizio pensarono che avesse mangiato qualcosa che le aveva fatto male. La ragazza però continua a stare male, a vomitare ogni volta che mangiava. La signora chiamò il suo medico di fiducia e la fece visitare. Non era malata diagnosticò il medico, stava aspettando un bambino. Quando Lia lo seppe, all’inizio pensò ai suoi genitori, al dolore che avrebbe dato loro, ma poi si rasserenò, adesso avrebbero dovuto accettare che lei si sposasse con Mino per evitare lo scandalo. Con questo stato d’animo li accolse quando arrivarono a Pontedera avvertiti dalla signora Fausta.

I Vanni entrarono accolti dai padroni di casa e senza nemmeno guardarla in faccia si chiusero con questi ultimi nello studio. Erano molto arrabbiati e delusi, Lia lo capiva e se ne dispiaceva, ma nello stesso tempo non poteva fare a meno di immaginare il suo futuro con Mino e il loro figlio.

Rimase ad aspettare fuori dalla porta cercando di trovare le parole giuste, se mai ce ne fossero state, da dire ai genitori. Non ce ne fu bisogno, suo padre e sua madre uscirono come erano entrati, senza guardarla o rivolgerle la parola.

Lia cercò di fermarli, ma la signora la bloccò dicendole che avevano incaricato lei di parlarle. Quello che le disse gettò la ragazza nella disperazione, non ci sarebbe stato nessun matrimonio, nessuno al paese avrebbe dovuto sapere di quella gravidanza, Lia avrebbe partorito in casa assistita da una balia di loro conoscenza, e tutti avrebbero dovuto credere che il figlio era della signora Fausta, se non avesse accettato il bambino sarebbe stato dato in adozione e lei non ne avrebbe più saputo nulla. Lo facciamo per il tuo bene, concluse la signora lasciandola da sola.

Per una settimana Lia rimase chiusa nella sua stanza rifiutando anche il cibo. Poi si convinse che così facendo, non solo si faceva del male, ma lo faceva anche al suo bambino e uscì.

I signori Nencini, smisero di dare feste, annunciarono a tutti che la signora era in dolce attesa e che aveva bisogno di riposo. Chi li conosceva sapeva quanto avevano desiderato un figlio e se ne rallegrarono.

Lia intanto non aveva perso le speranze, sapeva di non poter dire a nessuno, almeno per ora, della sua gravidanza, né a Maria né tantomeno a Mino se non voleva che le portassero via il bambino, ma era convinta di poter trovare una soluzione.

Il giorno che arrivò una lettera di Maria senza che insieme ce ne fosse una di Mino, Lia non poté fare a meno di chiedersi cosa fosse successo e si affrettò a rispondere all’amica per chiederle spiegazioni.

La risposta di Maria arrivò dopo pochi giorni, Mino aveva conosciuto un’altra, ma non aveva il coraggio di dirglielo così aveva deciso di interrompere la corrispondenza con lei. Lia non riusciva a crederci, certo Mino non sapeva che aspettavano un bambino, ma non poteva averle mentito così, non era passato nemmeno un mese dall’ultima lettera che le aveva mandato e in cui le diceva che la amava sempre di più e che senza di lei non poteva vivere.

Continuò a scrivere a Maria chiedendole di dirle la verità, perché lei non credeva affatto che Mino l’avesse dimenticata. Presto anche l’amica smise di rispondere alle sue lettere.

La gravidanza volgeva al termine e Lia capì che non poteva far altro che assecondare i suoi padroni, si sentiva sola, abbandonata da tutti, la sua unica consolazione era che avrebbe potuto stare vicina al suo bambino e vederlo crescere.

Andò tutto come era stato previsto, nacque Cecilia, una bella bambina che venne registrata come figlia dei signori Nencini.

Lia ormai si era rassegnata, sarebbe stata la tata di sua figlia, le sarebbe sempre stata vicina e con i suoi padroni avrebbe potuto avere la vita che lei non poteva darle.

Alcuni giorni prima dell’inizio di luglio ricevette una lettera da sua madre. Le annunciava che il 15 luglio suo fratello Gianni si sarebbe sposato e che il padre sarebbe andato a prenderla per assistere al matrimonio, non le chiedeva niente di lei o della bambina e specificava che era stato il fratello ad insistere perché fosse presente.

Lia era combattuta, da una parte desiderava rivedere i fratelli e i genitori anche se la freddezza che traspariva dalla lettera della madre dimostrava che non l’avevano perdonata; dall’altra non voleva lasciare la sua bambina, nemmeno per pochi giorni.

Fu la signora Fausta a convincerla, le assicurò che Cecilia sarebbe stata benissimo e che anche a lei avrebbe fatto bene tornare a casa e cercare di recuperare il rapporto con i genitori.

Era passato solo un anno, ma a Lia sembrava una vita. Mentre scendeva dalla vespa che l’aveva riportata a casa non potè fare a meno di alzare gli occhi e guardare verso la finestra di Mino sperando di vederlo, in cuor suo sperava anche di potergli parlare.

Mino era lì che la guardava come aveva fatto tante volte, ma non la salutò, anzi quando lei gli fece un cenno con la mano sparì dentro la stanza.

In casa c’era una gran confusione, un vociare di donne intente a preparare il pranzo per il matrimonio di Gianni. Le vicine stavano aiutando la madre nei preparativi.

Quando la videro entrare interruppero quello che stavano facendo per salutarla.

“Lia come stai? Che bello vederti!”. “Come sei bella! Che eleganza! Si vede che vivi in città!” “Raccontaci, come sono i tuoi padroni?” Le piovve addosso una raffica di domande a cui Lia cercò di rispondere mostrando una calma che non provava e un sorriso che sembrava più una smorfia sulla sua bocca, nessuna notò l’ombra scura che attraversava quegli occhi un tempo pieni di luce. Solo la madre continuò ad impastare il pane sul tavolo della cucina. Lia le si avvicinò “Buongiorno mamma come state?” La donna, senza nemmeno guardarla in faccia le indicò i pani che aveva preparato sul piano di legno e le disse di andare al forno a cuocerli. Il forno era fuori, Lia si avviò in silenzio accompagnata dalle chiacchiere e dalle risate delle donne che avevano ripreso a preparare piatti prelibati per gli sposi e i loro invitati. Doveva trovare un modo per parlare con Mino, pensava, mentre scendeva le scale, raccontargli di Cecilia, di quanto fosse bella e di come gli assomigliasse.

Era sicura che Mino non l’avesse dimenticata e che l’amasse ancora come lo amava lei. Prima di attraversare l’aia per raggiungere il forno si fermò e chiuse gli occhi lasciandosi avvolgere da quell’armonia di suoni e di profumi che solo la campagna può comporre e che le era mancata tanto nell’ultimo anno in città. Il sole le scaldò il corpo e l’anima. Tutto sarebbe andato bene, pensò mentre un sorriso le aleggiava sul volto.

Una raffica di colpi partiti da una mitraglietta seguiti da un silenzio innaturale cambiò all’improvviso quella giornata di allegria in tragedia.

Quel giorno che doveva essere la vigilia di un nuovo inizio per due giovani innamorati fu la fine di un amore ostacolato da tutti e fu anche la fine della pace per le due famiglie che vivevano in quella casa.

Le donne accorse fuori trovarono Lia per terra in una pozza di sangue, colpita alle spalle, il suo assassino non era neppure riuscito a guardarla in faccia.Mino era ancora alla finestra con la mitraglietta tedesca in mano che adesso rivolgeva contro di se .

Le urla della madre e delle altre donne fecero accorrere gli uomini dai campi.

Il padre prese la figlia tra le braccia e la portò in casa deponendola su quel tavolo dove fino a poco prima la madre aveva impastato il pane.

Vennero chiamati i carabinieri da Peccioli che dovettero buttare giù la porta per entrare nella camera dell’assassino, scoprendo che l’arma si era inceppata e aveva impedito a Mino di uccidersi e portare così a termine il suo piano: morire insieme alla donna che amava. Nella perquisizione che seguì, il maresciallo, amico delle due famiglie, capì la disperazione del giovane quando trovò una lettera anonima in cui si diceva che Lia si era fidanza e a riprova di questo nella busta c’era una foto in cui sorrideva insieme a un giovane elegante.

Tutti avevano cercato di dividerli, alla fine anche Maria era stata costretta a mentire parlando della nuova fidanzata del fratello e poi non riuscendo più a continuare con le menzogne aveva interrotto la corrispondenza con l’amica.

Nessuno seppe mai chi avesse portato la mitraglietta tedesca in quella camera. Ne vennero trovate molte abbandonate e nascoste intorno alla villa, ma il giovane non poteva essersela procurata da solo visto che nell’ultimo anno non era uscito di casa.

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Sangue innocente di Carla Sabatini è stato realizzato alla fine del Corso di scrittura dal titolo Storie a tinte gialle, promosso dalla Fondazione Peccioli per l’Arte e condotto dal giornalista Andrea Marchetti alla Biblioteca Fonte Mazzola.


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