Attualità lunedì 08 febbraio 2016 ore 16:00
I nostri boschi avvelenati
Sacchetti, imballaggi, materassi, sostanze inquinanti. Aumenta la sporcizia ai confini della vegetazione. Un tour a tappe nel degrado
PONTEDERA — Quando Thomas Stearn Eliot scrisse la Terra Desolata, il poema destinato a rivoluzionare la poesia moderna in Europa, doveva avere in mente un paesaggio simile a quello che abbiamo incontrato perlustrando i confini dei nostri boschi. Il poeta inglese collocò il degrado sulle sponde del Tamigi, in Valdera basta fare due passi tra la vegetazione ai margini di una qualsiasi strada per rendersi conto di quanto in là ci siamo spinti.
Sacchetti, involucri di nailon, lampadine, mobili, bottiglie: l'inventario dei rifiuti abbandonati non conosce limite. Questo fine settimana ci siamo spinti nel fogliame, scoprendo un po' dappertutto piccole discariche abusive all'ombra di lecci e querce.
Il percorso inizia in Val di Cava, nel Comune di Ponsacco. Passando da via del Poggio al Vento già si incontra un sacchetto solitario (con tanto di scarpa) ma superando il ristorante le Tre campane, in via di Val di Cava, e affondando nel bosco in direzione Treggiaia, abbiamo il primo vero shock: in uno slargo sulla sinistra troviamo di tutto. Un materasso, copertoni d'automobile, un ventaglio di cannucce sparse al suolo. E ancora: lampadine, barattoli, vecchi giornali. E quasi come un segnale premonitore, all'ingresso del sentiero sventolano, appese ai rami, lunghe strisce di plastica.
Cambiamo zona. Ai piedi di Montecastello (Comune di Pontedera) ci si imbatte in un furgone Tigrotto che ha tutta l'aria di essere lì da mesi, se non da anni. Sembra quasi una composizione: accanto al mezzo ci sono altri sacchetti e nel cassone una maglia porpora ancora sgargiante. Una rete di plastica è aggrovigliata lì vicino. Sul dosso, abbracciato dai rami, scorgiamo un piccolo mobile, forse un frigo, corroso dalla pioggia.
Sulla via di San Gervasio (Comune di Palaia) viviamo un deja vu: al bivio con via della Falce ci sono tre sacchetti adagiati contro il cartello: sembrano attendere la mano misericordiosa che li porterà via da lì. Pochi metri ancora, in direzione Palaia, ed ecco, sulle destra, involucri di materiale chimico contrassegnato come nocivo e una tenda sfasciata nascosta nella verzura, forse la vecchia postazione di un cacciatore, con tavolino e indumenti militari.
Nel silenzio della campagna, a La Rotta, scendiamo per la sterrata che costeggia il camposanto, immettendosi nei boschi a valle. Le macchine agricole hanno da poco sforbiciato l'esuberanza delle sterpaglie mettendo a nudo coriandoli di plastica, lattine e bottiglie. Più in basso, dove la strada è circondata dagli alberi, incontriamo un sacchetto nero dal quale sporgono tubi colorati, forse un tempo usati per proteggere cavi elettrici. Da un altro sacchetto fanno invece capolino flaconi d'olio per automobili: un rifiuto non certo biodegradabile o ecocompatibile.
La passeggiata s'interrompe nel vallone: qua, in un sentiero laterale, scopriamo una delle tante piazzole di sosta (per innamorati, nel migliore dei casi) tappezzata di fazzoletti e bottiglie. Al ritorno incontriamo un contadino: spinge la bicicletta sul fango e scuote la testa sconsolato indicando i resti di un pernottamento (carta e bicchieri del McDonald): “Sono siciliano – ci racconta – abito qua dal 1950 e ho 83 anni. La situazione è peggiorata”. Gli chiediamo se si riferisce all'immondizia: “Non solo a quella – esclama – ormai qua sotto...” indica a valle, agitando una mano, lasciando intendere traffici sospetti. “Certo, la guerra è stata ben peggiore – conclude – ma ai miei tempi, mi sembra, c'era più rispetto per la terra”.
Filippo Bernardeschi
© Riproduzione riservata
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