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GIALLO Mazzola giovedì 14 agosto 2025 ore 08:00
Milano da bere? No, da dimenticare

Il thriller è di casa a Peccioli. È infatti uscito “Dimenticare Milano”, il quarto episodio della serie “Nero a Milano” di Romano De Marco, prolifico autore abruzzese che, proprio con il nostro paese, ha stabilito un legame ormai consolidato.
PECCIOLI — Romano De Marco è stato infatti il protagonista dell’edizione 2016-2017 del progetto “Parole Guardate”, un mini-festival letterario in cui le sue opere sono state discusse, analizzate e prese come spunto per nuovi racconti e percorsi teatrali. Più che una collaborazione, è stato affermato dallo stesso De Marco, con la Fondazione Peccioli per l’Arte è nata una profonda amicizia nel corso degli anni. A dimostrazione di ciò, Romano De Marco ha scritto due opere ambientate a Peccioli: il thriller dal titolo “𝐈𝐥 𝐜𝐚𝐜𝐜𝐢𝐚𝐭𝐨𝐫𝐞 𝐝𝐢 𝐚𝐧𝐢𝐦𝐞” (Piemme, 2020) e la raccolta di racconti “𝐒𝐭𝐨𝐫𝐢𝐞 𝐝𝐞𝐥 𝐛𝐨𝐫𝐠𝐨 𝐬𝐞𝐧𝐳𝐚 𝐭𝐞𝐦𝐩𝐨” (Fernandel, 2021), presentata anche alla Biennale di Venezia.
L’ultima fatica letteraria di De Marco, “Dimenticare Milano” (Ubagu Press, 2025) riprende tutte le caratteristiche dei precedenti romanzi dell’autore, come l’azione e l’adrenalina tipiche del thriller che, tuttavia, si sposano con un’intensa introspezione sui personaggi e sul loro animo. Riguardo al suo ultimo libro, ma non solo, abbiamo rivolto alcune domande direttamente a Romano De Marco, che ci ha annunciato anche una novità che riguarda proprio Peccioli…
In “Dimenticare Milano”, ancor più che negli altri romanzi, indugi su descrizioni di Milano a volte quasi sociologiche, dei suoi quartieri, di chi vi abita, dei suoi edifici e delle sue contraddizioni. Milano appare come una città italiana e tuttavia più europea del resto delle nostre città. Una metropoli che nasconde qualcosa di oscuro sotto una patina glamour. Perché hai scelto proprio Milano come ambientazione?
Milano è l’unica vera realtà metropolitana italiana e, storicamente, è stata lo sfondo ideale per la nascita del noir nella nostra nazione. I primi sono stati Giorgio Scerbanenco e Renato Olivieri, che hanno ambientato le loro vicende criminali nella Milano del dopoguerra e dei primi anni dell’industrializzazione, raccontando il lato più popolare e periferico della città che si espandeva a macchia d’olio con conseguente esplosione di contrasti sociali e di affermazione della malavita. Poi la cosiddetta “scuola dei duri”, quella di Sergio Altieri, Andrea Pinketts, Stefano Di Marino e altri, che nei decenni successivi ha esaltato gli aspetti più moderni del capoluogo lombardo, sottolineando come sia diventato, nel tempo, un coacervo di bande criminali internazionali, contrariamente alla edificante immagine di “Milano da bere” che si è voluta veicolare a partire dagli anni ‘80.
Questo romanzo segna il ritorno dell’ex poliziotto Marco Tanzi e dell’amico ed ex collega Luca Betti, il cui rapporto, a tratti difficile, trova in quest’ultima opera una nuova dimensione. Si tratta del quarto capitolo della serie “Nero a Milano”. Ma questi libri, come specificato dall’autore, si possono leggere anche in ordine sparso senza necessariamente partire dal primo. Perché questa scelta?
La serialità, in Italia, ha molto successo. Tuttavia, ritengo un limite, sia per gli autori che, soprattutto, per i lettori, essere costretti a considerare i romanzi come puntate di una serie TV con l’obbligo di leggerli tutti in ordine cronologico per poter comprendere gli eventi e apprezzare l’evoluzione dei personaggi. Peraltro, questa cosa può avere senso nelle serie di romanzi di grande successo, che vendono centinaia di migliaia di copie, ma si rivela un boomerang nelle serie che non hanno un simile, fortunato, riscontro di pubblico. La mia serialità non è orizzontale ma verticale. I personaggi sono gli stessi, ma ogni volta vivono delle situazioni che li portano, dall’inizio alla fine della storia, a subire una metamorfosi, un percorso, una evoluzione. Insomma, quello “spostamento” dal punto A al punto B che è il fulcro di qualsiasi opera narrativa che si rispetti.
Come detto, dunque, i libri della serie “Nero a Milano” sono usciti a distanza di tempo l’uno dall’altro, non sono stati concepiti in ordine cronologico e si possono leggere in maniera indipendente l’uno dall’altro. Su quali valutazioni di basa questa decisione? Per lettori ed editori, cosa si perde e, invece, cosa si acquista da questa scelta?
È una scelta che comporta solo vantaggi, per tutti. Perché un lettore può innamorarsi di questi personaggi, di queste atmosfere, leggendo senza alcun problema uno qualsiasi dei titoli e recuperando, poi (se lo desidera) anche gli altri che sono tutti strutturati come vicende a sé stanti. Chiaramente, in ogni romanzo, ci sono brevissimi richiami o riassunti di quanto accaduto in precedenza, ma li distribuisco in modo da non appesantire affatto la lettura. Come autore ho il vantaggio di alternare i miei romanzi a seconda di ciò di cui ho voglia e che sento maggiormente di dover scrivere, senza avere il cruccio di dover produrre per forza storie seriali magari non supportate da una sana passione e da idee interessanti.
Quest’ultimo romanzo sembra riprendere e, potremmo dire, ampliare alcune caratteristiche dei precedenti romanzi, a cominciare da una trama dai ritmi serrati e dal rapporto tra i due personaggi principali, Marco e Luca, che troviamo fin dall’inizio in due luoghi distanti e, entrambi, immersi nell’azione. L’inizio è infatti molto particolare: vi sono due prologhi “in medias res”. Perché questa scelta? Essa è soltanto congeniale agli sviluppi della trama oppure c’era fin dall’inizio l’intenzione di proporre un diverso approccio: un focus su entrambi i personaggi principali e sul loro rapporto?
Questo romanzo inizia con una importante discontinuità rispetto agli altri: Marco Tanzi è andato via, da due anni non vive più a Milano e conduce una vita del tutto diversa da prima. Questa situazione andava raccontata in modo accurato e lo faccio nel primo capitolo. A quel punto ho ritenuto opportuno informare anche di come se la passa, nel frattempo, il coprotagonista Luca Betti (e presentarlo ai nuovi lettori). E così, con molta naturalezza, sono venuti fuori i due prologhi.
In questo romanzo sembrano emergere sulla trama le relazioni tra i personaggi, non solo quelli principali, ma anche tra quelli secondari. Le relazioni, specie quelle familiari e, in particolar modo con i figli hanno un ruolo fondamentale: catalizzano sia la trama, sia sentimenti e legami. Sono momenti utilizzati per spezzare un ritmo serrato fatto di azione? Quanto è importante il ritmo in un romanzo, specie di genere come il poliziesco? Quanto ti sta a cuore il bilanciamento tra azione e approfondimento psicologico dei personaggi? Come si ottiene un buon equilibrio tra questi due aspetti?
Quella che tu citi, l’alternanza fra azione, approfondimento psicologico, introspezione, io la chiamo “metrica del romanzo”. Non è mai casuale ma oggetto di un preciso studio a tavolino fatto nel momento in cui si prepara la “scaletta” ovvero l’ordine dei capitoli con il relativo contenuto. Nelle mie scalette faccio sempre in modo di alternare in maniera quasi melodica, ritmata, i diversi contenuti, per dare modo al lettore di adagiarsi, di abituarsi a questo ritmo altalenante e farsi guidare nella lettura come in un viaggio o nell’ascolto di un brano musicale. La psicologia dei personaggi è la parte più importante del romanzo. L’azione è la più divertente (e anche la più difficile da scrivere).
Quanto hai dovuto documentarti per scrivere questo romanzo? La sequenza iniziale del primo prologo è ambientata in Africa, dove Marco Tanzi si è ritagliato una nuova vita, in un contesto molto particolare: assistiamo a un assalto di pirati. Sì, proprio pirati ai giorni nostri. Forse alcuni lettori si ricorderanno il film con Tom Hanks, “Captain Phillips”, ma si tratta di una realtà poco conosciuta. Ti sei ispirato, almeno in parte, a quel film? Quanto conoscevi già di quella realtà e quanto hai dovuto studiare? Cosa ti ha spinto a parlarne?
Per scrivere il primo capitolo ho dovuto studiare circa 300 pagine di documenti ufficiali dell’ONU e di diverse agenzie private che si occupano di pirateria. Trattare un tema così complesso non è possibile basandosi solo su un film o sulle notizie che catturiamo per caso in TV o sulla rete. Ho scoperto molte cose incredibili su questo fenomeno e ho cercato di riportarle, senza rischiare di essere didascalico, nelle poche pagine del prologo. Ho voluto approfondire questo argomento e parlarne perché inizialmente mi pareva adeguato alla scelta narrativa nella quale avevo collocato il personaggio. Poi, una volta partito, non ho potuto fare a meno di documentarmi e di trattare il tema con molta accuratezza per via del rispetto che ciascun autore deve avere per i propri lettori.
Nel tuo ultimo romanzo hai affrontato tematiche attuali ma spesso sottaciute, si tratta ad esempio di una potente criminalità organizzata di matrice straniera che ha trovato a Milano (e non solo) terreno fertile in cui prosperare, inoltre del fenomeno dello sfruttamento della prostituzione, anche minorile. Perché scegli questi temi? Come e quanto ti sei documentato? In che misura, ancora oggi, un buon thriller/noir può essere un mezzo per indagare la nostra società in tutti gli aspetti anche i meno conosciuti, al pari di altri generi letterari?
Uno dei punti forti del crime italiano è proprio quello di essere in grado di raccontare la realtà. A partire dal già citato Giorgio Scerbanenco fino all’attuale Massimo Carlotto, che con i suoi bellissimi romanzi ha riscritto la mappa della geo-criminalità italiana, il crime Italiano è portatore, oltre che di intrattenimento, di questo valore importante, la capacità di saper raccontare ciò che accade davvero nelle città, nei territori. Per far questo bisogna guardare oltre i concetti stereotipati che vorrebbero il sud in mano alla malavita e il nord come locomotiva onesta del paese esente da ogni fenomeno criminale importante.
Nelle pagine dei ringraziamenti, ammetti un tuo debito personale nei confronti di alcuni film di azione che hanno formato il tuo immaginario. Invece, tra gli autori e gli scrittori, non necessariamente di genere, quali sono i tuoi riferimenti? A chi sei più debitore?
Mi sento debitore di Sergio Altieri e Stefano Di Marino per quanto riguarda i contenuti, di Raul Montanari e Giuseppe Pontiggia per quanto riguarda la scrittura, avendo seguito e continuando a seguire le loro fantastiche lezioni di scrittura creativa (anche se non arriverò mai, nemmeno lontanamente al loro eccelso livello di grandi scrittori).
C’è una parte di questo romanzo a cui sei particolarmente legato? Perché?
Sono legato alla parte che parla di rapporti tra padri e figlie. È sempre un tema presente nei miei romanzi. Il perché non lo so, forse perché scriverne mi aiuta a superare i miei dubbi e le mie paure di essere un padre inadeguato.
“Nero a Milano” prevede un nuovo capitolo di quella che ormai potremmo definire una saga? Sono previsti nuovi personaggi?
“Nero a Milano” tornerà nel 2027 sempre per i tipi di UBAGU con una storia che segna un nuovo inizio per i personaggi, con tante novità. Prima, nel 2026, uscirà un altro romanzo molto diverso. Sempre di genere crime ma molto lontano dalle atmosfere e dal ritmo della serie “Nero a Milano”. Niente azione, niente investigatori o poliziotti, uomini e donne di 60 anni con i loro problemi, le loro malinconie e le loro disillusioni. E un omicidio di 40 anni prima ancora senza colpevole. Inoltre, sono in arrivo altre novità editoriali, fra cui una che coinvolge direttamente Peccioli.
Infine, i nomi dei personaggi, come li scegli? Sono del tutto casuali? Perché l’avvocata collusa con la mafia russa ha lo stesso nome e lo stesso cognome di una scrittrice… Casualità? Oppure omaggio scherzoso a una collega?
Francesca Spanu è una mia cara amica, mi ha chiesto lei di diventare un personaggio nei miei libri e l’ho accontentata volentieri. Spesso mi ispiro a nomi di colleghi, di amici, o di persone con le quali ho un conto in sospeso. Quelle le faccio sempre morire nei modi peggiori…
A cura dello Staff della Biblioteca Fonte Mazzola di Peccioli
CONSIGLI DI LETTURA:
Perché proprio il giallo a Fonte Mazzola?
Tutto è iniziato nel 2016 con Parole Guardate, il nostro Festival del giallo. Un progetto di contaminazione tra teatro, letteratura e scrittura, per adulti e bambini.
La particolarità del progetto Parole Guardate è stata quella di incentrare le sue attività e gli eventi sulle opere di un unico scrittore: negli anni sono stati protagonisti grandi e prolifici autori come Maurizio de Giovanni, Romano De Marco, Marilù Oliva, Giampaolo Simi, Piergiorgio Pulixi, penne che hanno riscosso molto successo e affetto da parte del pubblico.
La Biblioteca Comunale e Archivio Fonte Mazzola, con i suoi 400 metri quadri di ampiezza e una collocazione spettacolare sul limitare della campagna pecciolese, è stata inaugurata il 26 gennaio 2019. Qui puoi trovare una sezione dedicata al giallo italiano e straniero (americano, inglese, nord-europeo, francese…) e un patrimonio librario composto da oltre diecimila volumi, più la preziosa collezione del prof. Arnaldo Nesti, consistente in altri novemila volumi e la donazione del Prof. De Santi, strutturata in altri mille libri, rari e di pregio, monografici sul cinema.
Tutti gli spazi sono utilizzabili in assenza dell’operatore bibliotecario ogni giorno dalle h. 8 alle 24 (compresi la domenica e i giorni festivi), tramite un codice personale di accesso. L’iniziativa, unica sul territorio della Valdera, è il fiore all’occhiello della nostra Biblioteca e permette a numerosi studenti e utenti di frequentare in libertà, ma con assoluto rispetto, le sale a disposizione.
Qui troverai una Biblioteca dei Ragazzi con un’ampia varietà di letture dedicate ai giovani e suddivise per fasce di età disposte in una luminosa sala, rivolta verso l’Anfiteatro Fonte Mazzola; lo Speaker’s corner, l’angolino del parlato, la graditissima attività proposta agli utenti dai 6-14 anni in cui un nostro operatore esperto sarà a disposizione per conversare in lingua inglese.
Tra le tante attività della Biblioteca abbiamo avuto quest’anno gli incontri del Circolo dei Lettori, si è tenuto il corso di scrittura creativa del giornalista Andrea Marchetti e intitolato Di vario genere (in dodici appuntamenti).
Per celebrare l’importanza della lettura come conoscenza e crescita personale, abbiamo portato avanti l’iniziativa condotta dalla psicologa e psicoterapeuta Rachele Bindi “Scrittori minori del Novecento”, legata alla Libroterapia, un metodo che parte proprio dalla lettura, per promuovere il benessere psicologico e la crescita personale di ciascuno.
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