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martedì 19 marzo 2024

LE PREGIATE PENNE — il Blog di Pierantonio Pardi

Pierantonio Pardi

Pierantonio Pardi ha insegnato letteratura italiana all’ITAS “ Santoni” di Pisa fino alla pensione. Il suo esordio narrativo è stato nel 1975 con il romanzo "Testimone il vino" , ristampato nel 2023 sempre dalla Felici Editore, nel 1983 esce "Bailamme" (ristampato nel 2022 con Porto Seguro editore). Negli anni seguenti ha pubblicato come coautore “Le vie del meraviglioso” (Loescher,1966), “Il filo d’Arianna (ETS, 1999) e da solo “Cicli e tricicli” (ETS 2002), “Graaande …prof (ETS, 2005) e “Il baffo e la bestia” (ETS 2021). Ha curato l’antologia “Cento di questi sogni” (MdS, 2016) ed è direttore editoriale della collana di narrativa “Incipit” (ETS)

INCIPIT - La prima triade

di Pierantonio Pardi - giovedì 25 maggio 2023 ore 07:30

Come anticipato nel mio precedente blog, inizia con oggi la presentazione degli autori toscani presenti nella collana di narrativa Incipit (ETS) diretta da me e da Daniele Luti che collaborerà con me all’analisi e al commento dei romanzi.

Di ogni romanzo, presenteremo la prefazione, la quarta di copertina e, quando necessario, una breve sinossi.

La prima triade:

1. Siete tutti invitati (2002) di Davide Guadagni, con prefazione di Adriano Sofri.

2. I Like Frank Zappa (2003) di Riccardo Subri con prefazione di Enzo Fileno Carabba e nota di Ernesto de Pascale

3. Un sogno d’amore (2003) di Angelo Toninelli, con prefazione di Giorgio Luti.

I romanzi si possono acquistare sia sul sito dell’ETS che su Amazon.

Nota di Daniele Luti

Come in tutte le collane, i romanzi di Incipit cambiano per genere letterario (memorie, autobiografia, romanzo storico, doc novel, Bildungsroman, noir, horror...), per carattere tecnico, per ritmo e respiro espressivo, ma hanno almeno alcuni tratti in comune: la ricerca linguistica ovvero il rampollare fugace dei lemmi in mezzo agli ostacoli e alle asperità letterarie, regalando improvvise piacevoli sorprese per l' invenzione linguistica, per la brillantezza e musicalità di un lessico che arriva al lettore attraverso la ricerca, il piacere e il gusto di chi racconta; il timbro "aedico" che implica un modulo narrativo a tutto tondo, quello della coralità come se chi scrive e chi legge fossero vicini l' uno all'altro comunicandosi con lo sguardo e con la gestualità l'intenzione più profonda, più vicina al mistero della vicenda.

Da qui, la storia a scatole cinesi o a matrioska di Siete tutti invitati di Davide Guadagni, la punteggiatura sbarazzina, gli accostamenti acrobatici, la dinamica aggettivale che "avvengono", per contaminazione con i generi musicali quali rock, blues, jazz, fusion, in I like Frank Zappa di Riccardo Subri; il grande affresco sociale, il lirismo puntinista di Un sogno d'amore di Angelo Toninelli.

DAVIDE GUADAGNI

SIETE TUTTI INVITATI

Prefazione di Adriano Sofri

IL BABBO DI ALICE di Adriano Sofri

Uno conosce un altro da chissà quanti anni, trenta, in genere. Sono amici, se non qualcosa di più. Perché uno gli ultimi anni li passa in galera, che è un posto in cui non si riduce l'affetto per i nostri, anzi, ma si dirada la frequenza, a dir poco. Invece l'altro diventa dall'inizio assistente volontario di galera, e per anni - sei finora, e rischia di continuare - ogni martedì, alle 14:30 in presenza. Tutti i martedì, anche in agosto, e qualche volta anche il giovedì e il sabato. A quel punto sono due avanzi di galera. Pensate che i detenuti comuni ( chissà che cosa significa) che se ne intendono, dicono che il primo anno la donna si conserva, il secondo anno è a rischio, dopo il secondo anno è persa senz'altro. Invece il babbo di Alice dura, e anche alcuni altri si sono spartiti i giorni della settimana. Nel frattempo, si prendono a carico una quantità di altre vite di detenuti. Dio li benedica.

Il babbo di Alice assomiglia molto a quel protagonista di “Prima della pioggia” di Milcho Manchewski, con i capelli lunghi e la barba che si chiama Rade Serbedzija e fa una brutta fine. Il film a me piacque, a Venezia anche, e prese il Leone d'Oro ex aequo, e invece il Mereghetti gli dà solo due asterischi. (Ogni anno il babbo di Alice mi regala il nuovo Mereghetti, così ,se non vedo i nuovi film, li leggo). Assomiglia anche un po' a Mustaki, faccia di straniero e di juif errante. Diventando vecchio, il babbo di Alice si è fatto più vanitoso, ha meno capelli ma c'è più attaccato, e si veste morbidamente con cappelli ampi e soprabiti lunghi che svolazzino, immagino, quando viene a piedi alla galera dal lungarno, e tira vento.

Insomma la routine guida ormai i nostri incontri, ed ecco che un martedì il babbo di Alice arriva a tradimento con il suo fascicolo sotto il braccio. Ha scritto un libro, anche lui. Quando succede, uno si dice che in fondo l'ha sempre temuto. Però, perché scrivere un libro se non si è neanche in galera? A parte la visita del martedì, voglio dire. Lo prendo, ma protesto. Che cosa ti mancava, che ti mettessi a scrivere un libro? E per pubblicarlo, poi.

Mi sono messo in branda, e ho letto il libro: questo, che ora leggerete voi. E’ andata bene. Ho capito perché l'ha scritto. E ho capito un'altra cosa: piuttosto, la sapevo già, ma uno se lo dimentica, con le persone prossime. Si pensa di conoscerle così bene, di saperne quasi tutto. Naturalmente non è vero. Provate a dire com’ é una persona: più vi avvicinate ai vostri, più difficile diventa. Tutte le cose del libro io non le sapevo, o non me le ricordavo. Non se le ricordava nemmeno il babbo di Alice, magari, prima di scriverle. E poi voleva farle leggere agli altri: a sua madre, a sua sorella, ad Alice, a Roberta e così via.

Non è un romanzo, dichiara lui stesso - e magari, come fanno gli scrittori, dentro di sé pensa: "Altro che se lo è ". È un racconto, anzi una collezione di racconti. E’ la vita del babbo di Alice, se ammettiamo che a raccontare la nostra vita valga meglio raccontare quelli che ci hanno messi al mondo, che ci hanno iniziati al mondo, che abbiamo perduto dal mondo, che ci hanno fatto compagnia quando il mondo è toccato a noi, che abbiamo messo al mondo e ci fanno tremare per le sorti del mondo quando fra poco, non ci saremo. Ho detto collezione e non raccolta - se no tanto valeva che il babbo di Alice pubblicasse una raccolta di racconti. Lui è un collezionista. Li ha presi su, i suoi racconti, li ha messi da parte e custoditi e protetti dalle intemperie dai traslochi e dalle disgrazie. Quando li ha tirati fuori ha dovuto solo spolverarli e metterli in fila, e riguardarli con lo sguardo di ora. Lo sguardo di uno che diventa più vecchio di suo padre. E non ha paura dell'ironia e delle correzioni di Alice. Alice gli vuole bene.

Ci sono i posti: Colonnata, bianca di marmo e di lardo . Viareggio, al tempo in cui, per gli intenditori, era la più bella città del mondo - la vera capitale del Liberty internazionale. E Pisa, la città di Pardo Roques se non lo sapevate. Da Pisa sono un po' interdetto. Ci feci l'università, da studente spiantato, ma alloggiando in uno dei più nobili palazzi del mondo. E poi ci passai qualche altro anno pieno di eventi. Tuttavia, non so voi, ma non mi ero interrogato abbastanza su Pisa. Se qualcuno me l'avesse chiesto, avrei risposto qualche banalità distratta: "Piccola Tranquilla Meschina Bella - oltre a citare il più bel lungarno naturalmente. Troverete un sacco di persone che vi diranno, alzando le spalle: "Pisa non esiste”. E vogliono dire probabilmente che di Pisa ce ne sono tante e sparpagliate e Pisa non ha un'anima e semmai parecchie, ma animale. È strano, credo che poche città siano così avare di patriottismo. I livornesi sono molto più accaniti direi. Chissà da che cosa dipende. Voglio dire, che nessuno metta assieme, come succederebbe altrove, tutte le meraviglie e i cimeli: la Chiesetta della Spina e i Cantos pisani, la Domus dov’è nato Galileo e la Domus dov’è morto Mazzini, il Masaccio di San Matteo e il Caffè dell’Ussero, Sergio Gattai e Michele Feo, la doppia abside di San Piero a Grado e l’Hotel Victoria, San Rossore e l’Orto Botanico, la Sapienza e la Normale e la Leopolda e la casa di A Silvia e Marina e la caserma Gamerra e la galera, che non è granché e a me ha dato un punto di vista peculiare che qui non illustrerò, ma le costerà, a Pisa. Che fosse la città di Pardo Roques, ancora ai miei tempi non era facile sapere: e ora, dopo il capitolo che troverete qui, andate a leggere, se non l’avete già fatto, il bel libro di Carla Forti sul “Caso Pardo Roques”, uscito poco fa da Einaudi. Oggi, mi dicono – anche il babbo di Alice lo dice – Pisa attraversa una vera fioritura: buona amministrazione, navi romane, la Torre raddrizzata … Ecco, la Torre. Io sono attaccato alla Torre che pende con un affetto e una trepidazione, e ho paura che qualche vigliacco odiatore di Torri se la prenda con lei. (Ho avuto paura anche che si raddrizzasse troppo). Fu bella la manifestazione pisana di solidarietà con l’11 settembre di Manhattan tenuta sotto la Torre di Pisa.

Fra le più belle ragioni di affezione alla torre c'è un aneddoto che il babbo di Alice mi fece conoscere e che racconta qui. Ho suggerito al mio amico sindaco Paolo Fontanelli di farne tesoro, quanto della frase di Giacomo Leopardi sulla bellezza del tramonto Pisano. Il pensiero di Albert Einstein, di cui si tratta, fu indirizzato nel 1953 ad Antonio Rossi, normalista e italianista che insegnò a Princeton prima di tornare pisano. Mi era sembrato un bell’ aneddoto, appunto: poi mi sembrò qualcosa di più, magari oltre la stessa intenzione di Einstein.

Con lui e con gli altri sono stato invitato anch'io alla festa finale indetta nell'ultima pagina dal babbo di Alice, sono andato in giro a presentarmi a tutti i convenuti, per educazione, e per la curiosità di vedere bene che faccia avevano.. Pensate se si potesse, letti libri, vedere poi i personaggi in carne e ossa e accorgersi che non assomigliano affatto a come li avevamo immaginati, oppure sì. In genere no, almeno nell'unico caso in cui succede, cioè al cinema. Allora, sono andato a dare la mano al marinaio. Era vestito da giovane, sulla trentina, con un'abbronzatura indiana. Io sono venuto alla mia età. Vengo anch'io dalla marina militare e perciò ero preparato. So a memoria la preghiera del Marinaio e mi meraviglio ancora che fosse stato quel bravo Fogazzaro a scrivere cose così forti, petti più forti del ferro che cinge le nostre navi.

Sembra un film di Fellini. A Sarajevo, quando bombe e fucileria erano più demenziali, il mio amico Gigio scuoteva la testa e diceva: “Fellini”. Proprio così. Ci sono giorni - tutti i giorni in pratica - in cui immagino che il Padreterno guardi giù, scuota la testa e dica:” Fellini”. Ora, Fellini ha molto a che fare anche con il libro che sto introducendo. Del resto avete già capito che il modo di guardare del babbo di Alice deriva più dal cinema che dai libri. Lui ha scritto per la stessa ragione per la quale Fellini ha fatto i suoi film più belli: perché si ricordava. E perché non resisteva - chi di noi ci riesce a un certo punto ? - al desiderio di rivedere le persone della sua vita tutte insieme. Di ribellarsi alla bravata che chiamiamo la legge del tempo, e di provvedere lui. Di convocarli . Il libro serve a presentare gli invitati alle pagine finali, a far vedere da dove vengono, che cosa hanno pensato detto e fatto, quanto hanno amato e sofferto: perché la festa della convocazione non abbia da perdere tempo in presentazioni e spiegazioni, e sia solo allegra e gentile

Come in certi sogni, dove tutto si sa già, e si può essere felici. Così finiscono i film di Fellini e con un'altra musica anche di Bergman e più chiassosamente e grevemente di Kusturica. Oppure certe opere liriche e certe commedie teatrali. Perché non la vita, e almeno un libro? Nobile è questo desiderio, che risarcisca per un momento qualcosa del tutto che va perduto. La convocazione: non l'ho mai capito così limpidamente come davanti ai ritratti di famiglia che artisti nordici dipingevano nei secoli classici. Nobili e mercanti si facevano ritrarre periodicamente con il gruppo di famiglia, sicché sulle pareti delle loro dimore si vedono nascere bambini, poi crescere, farsi ragazzi e poi adulti e invecchiare e poi uscire dal quadro. Ma nella sequenza di quei quadri, mentre gli altri nascono crescono si sposano maturano invecchiano e muoiono, ci sono ogni tanto delle bambine e dei bambini che restano uguali con la stessa età e lo stesso vestitino: solo una piccola croce rossa dipinta sopra la loro testa segnala che sono morti precoci e l'affetto della famiglia se li tiene con sé nella memoria e li riconvoca nel ritratto. Ora che ci penso, il babbo di Alice somiglia molto a quei capi famiglia anseatici che lavoravano sodo, loro col merluzzo e le aringhe, lui con la pubblicità, per tenere insieme le persone e le cose, e far venire bene il ritratto di gruppo.

Ci sono i posti, e soprattutto le persone. Ce n'è una, una domestica thailandese, Paolina, la cui storia prenderà si e no una decina di pagine, per non disturbare, e basta da sola a sbaragliare centomila requisitorie contro l'immigrazione straniera. Sembra una storia del libro Cuore, penserete. Mi auguro che lo consideriate un gran complimento. Già mi ero chiesto se si sarebbe potuto scrivere qualcosa che emulasse il libro Cuore su una classe di oggi, mista di bambini e bambine senegalesi e thailandesi. Bé, il babbo di Alice ci è riuscito, quasi senza premeditazione. Lui ha delle vere virtù. E’ spiritoso e anche allegro, quando ci vuole e ha il gusto del medaglione nel cui cerchio una vita si apre si svolge e si chiude, come la corsa di Pensierino o l'amicizia di Gianni Lungo e del suo calzolaio. Però è soprattutto pieno di simpatia e anche di quella famosa pietas. La pietas vuol dire che anche all'inizio delle vecchie storie, quando il protagonista è ancora giovane e spensierato o campione di corsa o temerario nel salto in basso, ci si ricorda - ammesso che si possa ricordare qualcosa che deve ancora succedere, e forse fra molto tempo: si può, se no come farebbero i preti ad ammonire, sia pure con un po' di malanimo: “Ricordati che devi morire?” Potrebbe essere un trucco patetico - io esco sempre dal cinema (uscivo) quando il film comincia con uno che muore, specialmente se è il figlio, anche quando è probabile che sia un bel film, Kieslowski o Almodovar o Moretti: non è leale. Invece nei racconti del babbo di Alice è un fondo leggero. Non opprime il cuore, piuttosto ispira amicizia o fa tenerezza. Si vorrebbe stringere la mano al marinaio prigioniero che guarda il cielo dell'India, e a sua moglie, che lo incontrò al suo funerale. Si vorrebbe accarezzare il viso della ragazza thailandese, dopo aver letto qualche riga dei suoi biglietti. Si vorrebbe abbracciare e consolare Sara, che ha perduto il suo diario col glossario familiare, e ha paura che i tedeschi lo trovino e se ne servano per perseguitare gli ebrei. Con Sara si fa in tempo, ed è specialmente per questo che il babbo di Alice ha scritto il libro.

Quarta di copertina

Sembra una storia del libro Cuore, penserete. Mi auguro che lo consideriate un gran complimento. Già mi ero chiesto se si sarebbe potuto scrivere qualcosa che emulasse il libro Cuore su una classe di oggi, mista di bambini e bambine senegalesi e thailandesi. Bé il babbo di Alice c’è riuscito, quasi senza premeditazione. Lui ha delle vere virtù.

Davide Guadagni è nato a Pisa nel 1951.

Si occupa di comunicazione

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RICCARDO SUBRI

I LIKE FRANK ZAPPA

Prefazione di Enzo Fileno Carabba

Come chiunque altro di Enzo Fileno Carabba

Introduzione per “I like Frank Zappa” di Riccardo Subri

La prima volta che sento parlare di Riccardo Subri c'è questo poeta che mi dice: Ma come non lo conosci? È il Kerouac italiano.

« Ah » rispondo io, che sono piena di pregiudizi. «Oddio» penso. Mi figuro subito un tipo completamente finto. Una specie di caricatura. Magari un miliardario travestito da vagabondo.

Questo accadeva diversi anni fa.

Nel frattempo io e Riccardo siamo diventati amici. Non ho ben chiaro se sia il Kerouac italiano, anche se, a pensarci bene, quando fissiamo un appuntamento è sempre per strada ,anche se fa freddo. Un motivo ci sarà. Di sicuro non è finto.Per niente. E neanche quello che scrive. Che è poi la storia vera di un pezzo mica male della sua vita. A parte gli episodi perseguibili dal punto di vista penale, naturalmente Quelli sono immaginari.

C'è un ragazzo che all'inizio degli anni ‘70 conduce una vita piuttosto grama a Torino. Parte e, insieme ad altri tipi che compaiono e ricompaiono quando meno te lo aspetti, gente al limite della sopravvivenza, intraprende un viaggio sgangherato verso Chissà Dove. Attraversano la Turchia, l’Iran, il Pakistan e stanno per entrare in Afghanistan. Tutto questo senza un soldo, tirandosi dietro tutto il bordello culturale dei tardi anni sessanta, mi pare dica il protagonista. Ma arriva un telegramma, gli avvenimenti travolgono il nostro eroe che…

Poi vedrete voi. Ci terrei a dire che non è un libro di viaggio, o non è solo un libro dove si viaggia. Il nostro eroe - un tipo che capisce le cose a modo suo, senza offesa - lo vediamo militare, manovale, spacciatore mancato e così via. Lo attendono amari ritorni e nuove partenze.

Da lungo tempo questo libro attendeva di essere pubblicato. Nell'attesa si è reincarnato in molte versioni diverse. È stato smontato e rimontato, con aggiunte e tagli, per raggiungere una qualche forma di verità. Riccardo Subri ha tolto diverse scene di sesso, per esempio. Temo fossero inventate.

Questa versione naturalmente è la migliore, anche se a me, per quanto riguarda il titolo, piaceva di più il vecchio "Come chiunque altro.” Ma forse non dovrei dirlo.

Ogni capitolo parte un po' dopo, rispetto all'inizio dell'episodio che narra, un po' in avanti nel tempo. Questo dà un certo movimento, fa girare la relazione con una trottola.

Questa è anche una storia d'amore, dove l'amata quasi non c'è. Appare nel primo capitolo, poi alla fine. Diciamo che è un viaggio verso la storia d'amore che seguirà subito dopo l'ultima pagina. Detto così suona terribilmente sentimentale. Per cui lo lascio, mi piace.

Quando leggi I like Frank Zappa è come se ci fosse una persona lì, accanto a te, anzi nella tua testa. Una persona viva, con il suo tono di voce.

Non tiro fuori questo discorso solo perché Riccardo è un tipo robusto e sa dove abito e io sono di costituzione minuta. Lo penso. Riesce a saltare nella pagina, cosa rarissima.

E dire che a vederlo non si direbbe.

C'è un'ultima cosa. A un certo punto del libro, un punto fondamentale, il protagonista attraversa Firenze, andando dall' Ostello della Gioventù a San Gaggio. Caso strano, io da bambino -gli anni erano quelli - percorrevo Firenze sull'autobus andando esattamente dall' Ostello della Gioventù a San Gaggio.

Questo dimostra che il libro è buono.

Nota di Ernesto De Pascale

Frank Zappa dal vivo è micidiale. I suoi musicisti lo seguono con occhi attenti. Lui è l’ imprevedibilità della vita fatta persona. E Tra i 30000 occhi che si sommano ai 12 sul palco ci sono anche i miei, in questa arena coperta di Wembley. Oggi, 15 settembre 1973, scopro un linguaggio comune a tutti i presenti, un esubero a questa lingua inglese che ancora non mastico, una chiave che permette di aprire le porte della conoscenza. La stessa chiave che in quel mese di settembre scoprono anche tanti miei coetanei nei concerti di Roma e Bologna, tappe italiane di una lunga tournée europea.

Primavera 1988, Palazzo dello sport di Firenze. Unico giornalista, incontro Frank . Questa volta l'inglese lo mastico e lo digerisco, ma è chiaro fin da subito che con lo zio Frank ci vogliono altri codici. Mi dice: "Ho un segreto, ma te lo dico la prossima volta.” Ma dopo qualche anno Zappa ci lascia, senza avermi svelato il segreto.

Aprile 2003, Londra, Shepard’s Bush empire. Avrà almeno 55 anni di media il pubblico convenuto stasera da tutta Europa per vedere riunita sul palco - unica data in Europa - la Magic band del Capitano Cuore di Bue, compagno di banco di Frank nei porno collegi di Cucamonga, con lui ormai ritiratosi nel deserto del Mohave sin dal 1982. Qui dentro, in questa bolgia di caldo e birre ci riconosciamo tutti subito: il manager, l'ex Freak, l’ asceta , il salutista, il santo, la puttana e il ladrone. I personaggi dello Zio Frank sono tutti qui, con i loro fantasmi e noi con il nostro.

Qualcosa ci accomuna e tutti, proprio tutti, abbiamo con noi la chiave che fra qualche istante aprirà la porta della percezione, facendoci battere tutti allo stesso tempo. «I like Frank » sento urlare dal fondo sala. Non faccio in tempo a voltarmi che la loro vita mi scorre addosso e mi trascina nel fiume in piena della musica, la mia con loro. In questa Babilonia emotiva tutti noi abbiamo un segreto ma ve lo sveleremo la prossima volta.

Quarta di copertina

“Bé, forse c'è qualcosa di cui mi frega”

“ Cosa?” fanno le due come una sola madre.

“ Mi piace Frank Zappa.”

“Wer ist?” dicono guardandosi l'una con l'altra.

“ È il Beethoven dei nostri giorni, ma di lui non se n'è ancora accorto nessuno.”

"Ah, Beethoven!”

L’autore

Riccardo Subri è nato a Torino nel giugno del 1953, vive a Firenze da circa 30 anni. Alcuni suoi racconti hanno trovato ospitalità sulla rivista "Pioggia obliqua”. Con l'aiuto di un vecchio Hazon e la consulenza di almeno dodici, fra amici e conoscenti, ha voltato in un italiano improbabile Pull my daisy , una poesia di Jack Kerouac, per l’ antologia “Kerouac & Co” (1955, Edizioni Mille lire Stampa alternativa).

Per il resto ha una figlia e nient'altro

Nota : Riccardo Subri, pur essendo nato a Torino, vive da sempre a Firenze, quindi è naturalizzato toscano.

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ANGELO TONINELLI

UN SOGNO D’AMORE

Prefazione di Giorgio Luti

Presentazione di Giorgio Luti

Conosco Angelo Toninelli, l'autore di questo ampio romanzo, “Un sogno d'amore” , dagli anni della gioventù, quando insieme lavoravamo nella redazione fiorentina della casa editrice Sansoni. La nostra è stata una lunga amicizia. Insieme abbiamo trascorso anni di grande impegno intellettuale, folti di letture di ogni genere in una stagione ricostruttiva della nostra cultura letteraria. Poi le nostre strade si sono divise, lui ancora impegnato nelle editoria, io nella vita degli insegnamento universitario. Pure io credo abbia contribuito a tenere vivo il ricordo la sua passione letteraria, un suo particolare impegno nella narrativa che già in passato mi aveva offerto prove convincenti. Ma ora questo suo nuovo romanzo mi si presenta come un fatto sorprendente, costruito com’ è su un originale incrocio tra qualità inventiva e sapiente uso della tradizione narrativa toscana, in questa stagione nella quale molto raramente è dato in imbattersi in opera architettate con una solida struttura, non affidate soltanto a discutibile impiego di una vieta attualità. Qui, al contrario, il segno della storia sembra imporre un’ atmosfera di ampio respiro, una rievocazione in cui i minimi fatti della vita quotidiana si incidono nel quadro di grandi eventi destinati a cambiare in breve il percorso della umana vicenda.

Voglio dire che questo Sogno d'amore finalmente torna a proporci una dedicata avventura privata - tutta una serie di personaggi tratteggiati con rara penetrazione psicologica e sentimentale - ambientata in una città ricostruita con straordinaria efficacia: la Firenze degli anni tra il 1870 e 1875, dal trasferimento della capitale ai primi noti sociali , da quella passione politica che spinse molti giovani artigiani ed operai di quell'epoca a proporsi come protagonisti di una battaglia umanitaria a favore di un vero internazionalismo socialista. Il centro di Firenze, soprattutto il

rione di Santa Croce, proprio sulle sponde dell'Arno, costituiscono l'anima segreta di questa storia di passioni private e pubbliche, secondo un piano inventivo di larghissimo respiro. Un romanzo, allora, che non teme di misurarsi con i grandi esempi del passato, mescolando abilmente i “triti fatti” della microstoria con i grandi avvenimenti della macro storia che implicarono, in sede narrativa, una ricerca che per lungo tempo sembrò costituire l'indice di un rinnovamento molto atteso in Italia dopo gli ultimi esiti del Neorealismo.

Il lettore si trova dunque di fronte ad un universo reale ricostruito con grande pazienza e con una visione esatta delle proporzioni strutturali. C'è insomma al fondo di queste pagine un gusto per il racconto che sembrava da tempo perduto e c'è in particolare la padronanza di uno stile che non teme di confrontarsi con i punti fermi di un passato recente: da Pratolini a Bilenchi, da Palazzeschi a Cassola. Come dicevo, i punti di riferimento non mancano, ma il fatto significativo è che questo lungo racconto sembra lasciare alle spalle con grande decisione anche dal punto di vista linguistico, gli esiti di un percorso che ebbe per qualche tempo un forte ascendente sulla ricerca letteraria in Italia

Debbo Dunque riconoscere a Toninelli il coraggio di una sfida al passato e l'approdo a un risultato per molti aspetti originale: un narratore che sa misurarsi positivamente con alcuni tra i grandi esempi della narrativa storica, sospinto tuttavia da una volontà di scoperta intima e collettiva, in grado di proporre questo romanzo come un punto di partenza verso un nuovo approdo, frutto di una cosciente utilizzazione di tutti gli strumenti che oggi sono a disposizione di uno scrittore che voglia perseguire un nuovo piano di ricerca. In particolare vorrei insistere sulla capacità di evocazione cittadina, sull'immagine di una Firenze che dal passato riemerge con tutta la suggestione dei suoi antichi quartieri, e ancora sull’afflato che accompagna nel romanzo la raffigurazione dello scontro politico vissuto nei personaggi che pur sempre mantengono la loro specificità di protagonisti di un'epoca alla quale occorre tornare con spirito libero per un giudizio umanamente plausibile che soltanto può emergere dall'architettura segreta di un romanzo costruito modernamente, da una penna sapiente che accetta e vince la sfida col presente

Dalla quarta di copertina:

Andrea si sottrae agli arresti rifugiandosi in Garfagnana. A Firenze, nel 1875, si svolge il primo grande processo contro gli internazionalisti accusati di cospirazione contro lo Stato e toccherà all’amico Francesco difendere, di fronte al tribunale, l’idea dell’anarchia, trasformando l’accusa di ribellione allo Stato nell’accusa contro le ingiustizie di cui soffre la maggioranza del popolo.

Angelo Toninelli vive oggi a Pisa. Il suo primo romanzo, Luigi Regoli anarchico è stato pubblicato dalla Shakespeare and Company, Firenze, nel 1995.

Pierantonio Pardi

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