Quando la guerra riempiva bar e gazebi
di Mario Mannucci - giovedì 19 febbraio 2015 ore 18:20
"Come ora non hanno mai lavorato....", scrisse il capo guardia nella relazione sui bar e caffè cittadini commissionatagli dal cavalier Braccino Braccini, l'imprenditore che a volte col ruolo di podestà e altre volte di commissario prefettizio guidò il comune di Pontedera da metà dagli anni '30 fino il passaggio del fronte (1944) e alla conseguente fine del regime fascista in riva all'Arno e all'Era.
La relazione chiesta al capo guardia, oggi si chiama comandante della polizia locale, risale all'estate 1941, 'XIX dell'era Fascista' e soprattutto secondo anno di guerra. Che però si combatteva ancora lontano dall'Italia, in Africa, nei Balcani, in Russia. Un anno prima, il 10 giugno 1940, migliaia di pontederesi si erano radunati in piazza Cavour sotto il balconcino di Palazzo Stefanelli per ascoltare dagli altoparlanti il Duce che dall'assai più famoso balcone di Palazzo Venezia annunciava al popolo la dichiarazione di guerra . E da piazza Cavour partì poi un corteo fino per assistere al decollo di un aereo Piaggio per andare, fu detto, a bombardare la Corsica, obiettivo facile da raggiungere e una delle prime operazioni (l'esito, però, non lo conosciamo) del conflitto contro la Francia.
A Pontedera la guerra cominciò così e pur se ben presto anche i pontederesi cominciarono a morire sui fronti lontani, il conflitto portò in città una ventata di benessere economico. Proprio così: benessere. Strano ma vero e con un'unica e semplice motivazione: la Piaggio, già presente a Pontedera dal 1924, costruiva aerei e componenti di aerei per l'aviazione italiana e la produzione crebbe vertiginosamente con l'apertura del conflitto, comportando un altrettanto vertiginoso aumento della mano d'opera. In pochi mesi raddoppiò superando di molto i 10 mila dipendenti (cifra eguagliata soltanto a fine decennio 1970 con la Vespa, il Ciao e derivati) .
Chi andava a lavorare alla Piaggio era esonerato dal servizio militare, insomma non andava in guerra, e le officine e la città si riempirono all'inverosimile di gente che arrivava anche da lontano. Ne approfittò anche la squadra di calcio granata che potè schierare forti giocatori assunti dalla Piaggio, disputando campionati di vertice, mentre gli operai e i tecnici che abitavano lontano dormivano nei locali messi a disposizione dall'azienda nel suo villaggio residenziale da poco inaugurato dal Re, oppure da privati. Ma non si poteva soltanto lavorare e dormire. Ecco dunque affollarsi i cinema, i locali da ballo, il villino del sesso statalizzato (era fuori del ponte, praticamente in campagna) e i bar con i tavolini fuori.
Anche allora c'era la tassa sul suolo pubblico - argomento di polemiche anche attuali a Pontedera, dove in questi giorni si è sbloccato il contrasto sui gazebo fissi o mobili con relativa tassa - per la quale i baristi chiesero però uno sconto quando arrivò l'ordine del coprifuoco alle 22, come succede sempre in tempo di guerre o tumulti vari. materia che purtroppo abbonda da che mondo è mondo. "Dobbiamo chiudere presto e perdiamo incassi - lamentarono i commercianti riuniti nella loro associazione - e abbiamo dunque diritto a uno sconto sul suolo pubblico". Ma al cavalier Braccino Braccini risultava il contrario, e cioè che gli incassi fossero in forte crescita, per cui ordinò al capo guardia la già ricordata ispezione e relazione che stroncò, diciamo così, le proteste. (Per chi vuol saperne di più c'è un libro di Alessandro Spinelli: 'Pontedera 1941, anno XIX dell'Era fascista" Bandecchi e Vivaldi).
Anche oggi si polemizza sul costo del suolo pubblico - troppo alto?, giusto?, anzi benevolo?: nessuno riuscirà mai a metter d'accordo tutti perché le tasse sono tasse e nessuno le ama - ma, diciamoci la verità, se i clienti e guadagni devono venire da una guerra, è meglio che tavolini e gazebi non siano stracolmi di gente.
Mario Mannucci