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LEGGERE — il Blog di Roberto Cerri

Roberto Cerri

ROBERTO CERRI - Spunti ed opinioni del Direttore della Biblioteca Gronchi di Pontedera su libri, lettura, biblioteche, educazione permanente e su come tutte queste cose costituiscano una faccia importante dello sviluppo delle comunità.

​Una lapide è per sempre

di Roberto Cerri - venerdì 17 aprile 2015 ore 09:04

Lo so, la frase può sembrare macabra, ma contiene della verità. Nell'epoca in cui le parole sono ridotte a bit leggerissimi e viaggiano come elettroni impazziti per l'universo della comunicazione alla disperata ricerca di un lettore o di un uditore, le parole scolpite sulle pietre sono pesanti e immobili. Di solito contengono certezze, ma a volte, specialmente sotto regimi autoritari, le lapidi riportano frasi che re e generali vogliono propinare al popolo. Perché si ricordi di loro e delle loro imprese. Più in generale sulle lapidi di solito ci finiscono le ragioni dei vincitori. Quasi mai quelle dei vinti. Quando ad Ankara vedremo una lapide che chiede scusa per il genocidio degli Armeni credo che sarà un bel giorno. O almeno così mi piace pensare.

In una democrazia le cose sono un po’ diverse e a volte possono essere molto complesse come dimostra il caso di San Miniato. In generale comunque le lapidi sono abbarbicate a monumenti spesso secolari, a palazzi storici importanti, per le collettività, soprattutto. Di solito le lapidi restano immobili nello stesso punto per secoli se non per millenni. A volte vengono distrutte dai barbari, a volte da terremoti o da sommovimenti sociali. A San Miniato, in provincia di Pisa, è stato un sindaco a rottamarne due in un sol colpo. Senza che ci fossero rivoluzioni. Senza che la terra tremasse. Ma la politica si, quella aveva tremato cinque anni prima, anche se molti avevano finto di non accorgersene.

Ma perché due lapidi e di cosa parlavano?
Le lapidi parlavano della strage avvenuta nel duomo di San Miniato durante il passaggio della seconda guerra mondiale nel luglio del '44 e ricordavano le vittime della barbarie. Ma perché due? Perché la prima risalente ai primi anni '50 fissava quello che credeva giusto la maggioranza della popolazione di allora e quello che si sapeva con ragionevole certezza su questo episodio, ovvero che la strage fosse stata opera delle truppe tedesche. Col passare degli anni sono emerse altre testimonianze e prove indiziarie che hanno reso via via più probabile l’ipotesi che la bomba della strage fosse stata sparata da un cannone americano. E’ stata l’amministrazione comunale guidata da sindaci comunisti come Nacci e Tonelli a rintracciare negli archivi americani la nuova documentazione negli anni ’80. E’ stata la prima scelta revisionista. Poi sono venuti tutti gli altri. Finché nei primi anni duemila, dopo dibattiti e scontri culturali, è arrivata, certo faticosamente come sono faticosi tutti i processi di revisione che toccano memorie e sensibilità culturali e politiche della gente, anche la seconda lapide che attribuiva la responsabilità materiale dell’eccidio agli americani.

Ma due è meglio di una?

La mia risposta è: non sempre, ma in questo caso sì. Perché? Perché la strage di San Miniato è una strage a più mani e con più protagonisti. E’ quella che definirei una “strage condivisa”. Infatti se con la sola sicurezza indiziaria possiamo ragionevolmente sostenere che sia stata una bomba americana a macellare le persone in duomo a San Miniato (ma la prova dell’esame delle schegge non è mai stata fatta. Si sa solo dai diari di guerra che c’era un cannoneggiamento americano nell’ora dell’eccidio e che le batterie puntavano sulla città), si sa con assoluta certezza che i tedeschi ordinarono lo svuotamento dei rifugi, la concentrazione dei civili inermi in alcune piazze tra cui quella del duomo e da lì in chiesa. Quindi i tedeschi, che occupavano il 22 luglio del ’44 San Miniato, favorirono la concentrazione della popolazione in duomo e furono, come minimo, complici dell’eccidio. Gli americani, che avanzavano da sud e cannoneggiavano la città, uccisero fisicamente le persone che i loro nemici avevano esposto al loro fuoco come scudi umani.

Quindi anche se la gente preferisce i finali in cui c’è un solo colpevole, brutto e cattivo e soprattutto ben identificabile, qui non è così, siamo di fronte ad una strage a due mani e con due livelli di responsabilità. E con molte incertezze e dubbi.

E’ chiaro che la prima lapide (dettata la Luigi Russo e inaugurata alla presenza di Ferruccio Parri), quella che gettava tutta la colpa sui tedeschi, andava modificata. E alla fine è stata integrata e corretta dalla seconda, dettata da Oscar Luigi Scalfaro, che attribuisce la colpa materiale dell’esercito americano. Questo faticoso e doloroso processo di revisione storica, voluto dalle stesse amministrazioni locali, è avvenuto alla luce del sole e dopo un ampio dibattito pubblico. Per questo due lapidi sono meglio di una.

Ma questa soluzione non piaceva a qualcuno. Così il sindaco rottamatore ha smantellato in un giorno le lapidi e ha calpestato la sensibilità del grosso della popolazione. Poi ha azzoppato il dibattito storico. Ha cercato di silenziare la discussione politica e di far vedere che era in grado di rimettere le cose a posto (anzi fuori posto). In realtà togliendo le lapidi ha schiaffeggiato una tradizione lunga settant’anni, mentre la proposta di musealizzare questi oggetti in un luogo ancora da inventare è semplicemente ridicola. Le lapidi per loro natura sono oggetti pubblici, beni da mostrare a tutti, nei punti più visibili di una città. Accade così in tutte le parti del mondo. Quale luogo migliore quindi di un palazzo comunale come quello di San Miniato per raccontare questa verità molto complessa? Forse anche per questo in molti stanno chiedendo al sindaco di rimetterle al loro posto!

Roberto Cerri

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