L'assurdo (quotidiano)
di Nicola Belcari - mercoledì 22 novembre 2023 ore 09:00
La drammaturgia del Novecento ha espresso, oltre ad altro, il teatro dell’assurdo. Trame bizzarre, dialoghi apparentemente sconclusionati, paradossali o illogici dovevano nelle intenzioni degli autori rivelare l’assurdità nascosta nella convivenza umana, le incongruenze e le contraddizioni della società e la decadenza di una civiltà.
Oggi l’assurdo è la realtà così com’è. Non è metafora. L’assurdo è servito come piatto quotidiano ormai digeribile e digerito. Passa per normalità.
Non è l’assurdo dell’esistenzialismo francese (Camus, Sartre) che ha relazioni col teatro, non è l’assurdo dell’impossibilità di trovare un senso al vivere, né della ricerca della Verità: è il grottesco quotidiano. È l’assurdo di una banale stupidità, purtroppo dilagante. Non è la fatica inutile di Sisifo. Non è l’assurdo di Tertulliano.
Non è metafisica, è cattiva stravaganza. Ci si sposa per poi separarsi; ci si sposa per denaro o, anche peggio, per amore; si compra senza necessità; si discute per niente; si tace e si parla a sproposito. Si tiene accesa la tivvù per inerzia, una tra le tante pratiche di autolesionismo inconsapevole o addirittura cosciente. È la stramberia della quotidianità.
Non farò esempi. Sarebbe disutile e pericoloso: potrebbero risultare offensivi per alcuni, le vittime adontarsi. È un compito per ognuno di noi trovarne.
Convivono lavori degradanti o mal pagati con privilegi scandalosi, prebende faraoniche con umiliazioni drammatiche a cui sottostare per un’esistenza di magra sopravvivenza.
La semplicità e il buon senso non sarebbero mai giunti a tanto. L’irrazionalità domina la nostra vita: non sono le manie, le credenze errate, i comportamenti contrari al pensiero comune, ma è proprio quella normalità che ci avvelena giorno dopo giorno.
A me ha aperto gli occhi il lavoro di una donna (una mini “illuminazione”): inimmaginabile nell’epoca della modernità, indegno del terzo millennio e del progresso tecnico. Un lavoro per il quale avrà dovuto vincere un concorso! Un lavoro da forzati: anch’io come (forse) Courbet avrei voluto togliere la mazza dalle mani degli spaccapietre.
Nicola Belcari