Mutande
di Nicola Belcari - giovedì 24 giugno 2021 ore 07:30
Le (nuove) frontiere del giornalismo (o giornalismo di frontiera). In tivvù, programmi, o programmucci, sono condotti da donne giovani o meno giovani, ma ancora sulla breccia, di indiscussa (e talora anche discussa) avvenenza, giornaliste in gamba.
Esse, spesso insieme a “colleghe” ospiti, dànno spettacolo. Spacchi vertiginosi si aprono nelle gonne, corte o lunghe che siano: panorami senza confine, praterie si schiudono alla vista d’incauti osservatori al di là dello schermo.Tutto per qualche telespettatore in più, parafrasando il titolo di un famoso film, per sopperire a tematiche poco appassionanti con argomenti più convincenti.
Su YouTube i video di momenti di approfondimento culturale simile vanno a formare un genere, o sottogenere, “gambe in bella mostra”, che si affida alle immagini e in cui le parole sono di contorno. È una forma di “commercio” del proprio corpo? Elegante e signorile? Ma non scusato dal bisogno. È una mercificazione rivendicata come libertà? Libertà non sarebbe denudarsi senza infingimenti? Perché offrirsi vittime del voyeurisme morboso e dello spiare dal buco della serratura di individui disgustosi, o distinti e delicati come noi, nascosti nell’ombra? Non suscitano rossore i centimetri sfuggiti al controllo? È una lusinga essere l’oggetto del desiderio? Siamo ridotti in mutande.
Le mutande come bandiera. Brandite sulle barricate. Sventolate dalla zattera del naufragio. Le mutande “sembrano” le protagoniste di uno dei più celebri indovinelli.“Lavora d’ago fino a mezzanotteper aggiustare le mutande rotte”Un magnifico virtuosismo linguistico in cui il sostantivo in realtà è un verbo (gerundivo) e l’aggettivo è un nome plurale. La coppia di endecasillabi, in rima baciata, indica l’oggetto che è la soluzione dell’indovinello: la bussola. Ma non è proprio la bussola ciò che abbiamo perso?
Nicola Belcari