Enrico Piaggio, una fiction italiana
di Libero Venturi - domenica 17 novembre 2019 ore 07:30
Ho visto, come moltissimi italiani e quasi tutti i pontederesi, il film TV “Enrico Piaggio, un sogno italiano”. Mi piace il fatto che la Rai metta in onda, in prima serata, per il grande pubblico, sceneggiati dedicati agli imprenditori che contribuirono alla ripresa produttiva, alla ricostruzione e alla rinascita del nostro paese distrutto dalla guerra in cui la dittatura fascista l’aveva precipitato. Dopo Enrico Piaggio sarà la volta di Adriano Olivetti con la scuola d’Ivrea e il Movimento Comunità. Si apre anche una riflessione: la Piaggio, passata di mano e internazionalizzata, resiste, ma l’Olivetti, un marchio di prestigio nazionale, non esiste più. La fiction lavora di fantasia, forse un po’ troppo, ma coglie alcuni aspetti veri. Innanzitutto la volontà imprenditoriale di Enrico Piaggio che vuole fare industria, produrre, realizzare un prodotto nuovo che dia lavoro e ricchezza veri e non solo reddito e finanza, come vorrebbero il corrotto commissario alla ricostruzione o il perfido banchiere inventati nel film. Emerge anche in sottofondo, mi pare, l’idea etica della missione sociale dell’impresa.
Lo sceneggiato rappresenta bene lo spirito imprenditoriale e innovativo di Enrico Piaggio e la capacita d’innovazione a cui il genio abruzzese, Corradino D’Ascanio, seppe dare ali. Magari avesse potuto produrre e far volare anche il “suo” amato elicottero! Tutto ciò ha dato origine alla Vespa alla cui realizzazione contribuirono operai e anche valenti ingegneri il cui nome poteva e forse doveva essere fatto. E ha costituito la Pontedera che fin qui conosciamo.
Si capisce comunque che una fiction è una fiction e non è un documentario. Se no, sai che palle! E fiction, comunque la giri, è un modo anglofilo per dire finzione. Si può ben romanzare la realtà, a condizione però di non alterarla troppo e soprattutto senza mai falsificarla. Tra l’altro, a volte, la realtà è già un romanzo di suo e basterebbe metterla in scena così com’è, senza forzature. Ad esempio non risulta, come invece appare nel film, che Enrico Piaggio abbia impedito la deportazione degli operai -tra l’altro da dove, da Pontedera, da Biella?- e per questo sia stato ferito da un fascista. Si sa invece che egli si rifiutò di alzarsi all’ascolto per radio di un discorso del maresciallo Graziani -il macellaio di Debre Libanos- e per questo un ufficiale repubblichino gli sparò. Enrico Piaggio fu ridotto in fin di vita e subì l’asportazione di un rene. Si era durante la Repubblica di Salò con il fascismo agonizzante e si deve ricordare che la Piaggio, producendo motori d’aereo, ebbe commesse militari dal regime. Però bastava raccontare la storia dei fatti per rappresentare la presa di distanza dal fascismo dell’imprenditore. Se poi il regista ha documentazioni nuove rispetto a ciò che si legge anche nelle enciclopedie, siamo ben lieti di aggiornare la nostra conoscenza.
Anche l’importanza assegnata al film “Vacanze Romane” è un tantino eccessiva. Nello sceneggiato ha dato luogo ad un’improbabile storia d’amore ed ha preso molto spazio, anzi è stato quasi il leitmotiv da cui tutta la fiction si è dipanata. Certo che il film, con Gregory Peck e Audrey Hepburn che scorrazzano per Roma a cavallo di una Vespa, fu importante per affermarne l’immagine nel mondo, ma non fu quello il fatto decisivo per la sua fortuna commerciale. Il film è del 1953. La vespa è nata nel 1946. Nel ‘53 vendeva già 171.200 pezzi. E se nel 1956 festeggiò il milione di vendite, ciò si deve soprattutto all’introduzione del sistema rateale per il suo acquisto, come anche nello sceneggiato viene detto. Magari è vero che Piaggio ha sempre dato importanza alla comunicazione e sono memorabili le sue campagne pubblicitarie
Nemmeno risulta, come invece si vede nel film, che la Piaggio sia stata occupata dagli operai negli anni precedenti la nascita della Vespa, né durante le lotte degli anni successivi che furono molto forti e a cui peraltro non si fa accenno, se non superficialmente. Un piaggista ormai in pensione mi ha scritto di aver visto il filmato. Bene, ha detto, ora ne servirebbe un altro sulle angherie di capi e capetti e sulle ingiuste condizioni che gli operai nelle fabbriche hanno subito e ancora patiscono. Però, tutto sommato, il film gli era piaciuto perché la Piaggio era stata il Sindacato, lo Scioperone, ma era la Piaggio, il suo lavoro, la sua fierezza. La fabbrica fu occupata sì, per alcuni giorni, ma in seguito all’attentato a Togliatti, il 14 Luglio 1948.
E infine una cosa. Pontedera è stata più volte citata nei sottotitoli. Benissimo. Però, fosse stata citata una volta di meno e almeno una volta fatta vedere, non sarebbe stato male. Fatti salvi il Campo dei Miracoli e il Comune di Pisa, una scena in meno di prati e ruscelli idilliaci dell’oleografico paesaggio toscano, su cui la regia si è ben dilungata, non avrebbe certo inficiato la riuscita del filmato. E anche se si fosse visto in rapida sequenza un mattino nebbioso o un pomeriggio piovoso della nostra umida e bella Pontedera, al posto della perennemente solare campagna di Varramista, oltretutto Comune di Montopoli, a noi pontederesi non sarebbe affatto dispiaciuto Anche perché la campagna toscana, diciamo la verità, rischia di diventare uno stereotipo come la pizza napoletana. Senza nulla togliere... Pure l’ingresso dello stabilimento è stato ricostruito e così gli interni. Benino. Però sarebbe bastato riprendere l’ingresso dell’attuale Museo Piaggio o quello degli operai, nonché i corridoi delle officine meccaniche per dare un’immagine più vera della grande fabbrica che la Piaggio era già al tempo.
In conclusione il filmato mi è sembrato un tantino edulcorato e retorico, troppo fotoromanzo di amori, intrighi, tradimenti e molto paternalismo padronale. Un po’ all’acqua di rose, insomma. All’italiana. Però dietro la fiction c’è una solida base di realtà. Un po’ come dietro il mito c’è un fondo di storia. E dietro il mito della Vespa c’è la rappresentazione e la sostanza del lavoro dell’imprenditore, degli ingegneri e degli operai. Sarà per questo che l’ho visto tutto e non mi sono nemmeno addormentato davanti alla TV, come mio solito, incombendo l’età. Forse perché anch’io ragiono un po’ come quell’amico e compagno operaio. Perché siamo di quell’epoca lì, da lì, pur diversi, veniamo. E alla fine la Piaggio è sempre la Piaggio e guai a chi la tocca. Buona domenica e buona fortuna.
Pontedera, 17 Novembre 2019
Libero Venturi