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RACCOLTE & PAESAGGI — il Blog di Marco Celati

Marco Celati

MARCO CELATI vive e lavora in Valdera. Ama scrivere e dipingere e si definisce così: “Non sono un poeta, ma solo uno che scrive poesie. Non sono nemmeno uno scrittore, ma solo uno che scrive”.

Lo squaraus:una notte sul vaso - La nuit africaine

di Marco Celati - giovedì 25 febbraio 2016 ore 19:00

In principio sarà stato anche il Verbo, ma alla fine è lo Squaraus. La fine sarà la "Dissipatio HG", la dissoluzione del genere umano. Dev'essere un effetto secondario e non certo desiderabile della crescita dell'entropia, del disordine delle cose. Senza proferire verbo, rimasto senza parola, questo pensavo, seduto sulla tazza, sull'abisso del cesso, a notte inoltrata.

Il giorno si era già presentato malino, annunciato da mal di pancia, sinistri brontolii e inquietanti gorgoglii che non presagivano niente di buono. Tenera non fu la notte, ma conseguentemente tragica e tutto si compì. Un effetto devastante e debilitante. Una mortificazione della carne e dello spirito. L'attacco di dissenteria produsse la liquefazione dei visceri che in poco tempo avvenne e fu inarrestabile: il segno di una resa invincibile. Ultimo venne il vomito.

I militari chiamano il gabinetto "la ritirata": in questo caso, sotto l'azione di un simile attacco, è più appropriato parlare di disfatta totale. Un'intera confezione di otto pasticche di Imodium e sei capsule di Enterogermina a forte concentrazione furono lasciate sul terreno in un giorno e mezzo e non riuscirono ad impedire l'avanzata del virus africano che s'impose con un febbrone a trentanove, determinante per la mia più completa e definitiva capitolazione.

Per la verità avevo anche mangiato un purè di quelli già confezionati, da scaldare nel microonde, che era appena scaduto: solo da venti giorni. Ma dispiaceva buttarlo via, contribuendo ai già eccessivi sprechi alimentari e poi non era cattivo! Lo dissi ai figli che, debilitato e spaventato, avevo chiamato a soccorso al capezzale, che mi accudirono, commiserandomi. Da un padre ci si aspetta più forza e saggezza. Anche la compagna si mosse a compassione e amorevolmente mi curò, non senza rimproveri. Il medico di famiglia, un amico di gioventù, fu allertato per sms, ma era un fine settimana: il Lunedì chiamò e fu gentile. È influenza, confermò, ci sono tanti casi in giro così. Fu lui a dare la notizia circa l'appartenenza etnica del virus al continente nero: è un uomo democratico e non xenofobo, c'è da credergli. Le medicine sono quelle che già stavo prendendo, aggiunse Tachipirina per la febbre e vitamina in compresse effervescenti per la ripresa, Supradyn. Dovevo richiamare se il male si fosse protratto. Per mia fortuna il bollettino medico del giorno successivo fu: niente più febbre, arrestata diarrea, nausea e debolezza, ma meglio. Il peggio era passato e qualcosa più del peggio; rimaneva una debilitazione da capogiro e si trattava di restituire solidità e vigore al fisico fiaccato.

Forse per effetto del virus, mi vennero a mente ricordi africani. Senegal, un viaggio di solidarietà, la verifica di un progetto agricolo tra Comuni gemellati. La sera a cena il cameriere del Ristorante Capoverdiano di Dakar aveva inutilmente insistito che dovevo ordinare, semmai, verdure cotte e non prendere insalata e pomodori crudi. Ma ero stanco di cous cous e yassa avec poulet o yassa avec poisson e m'imposi! Così si fa. Fatti intendere, uomo bianco!

Le verdure crude le lavano con l'acqua corrente che contiene batteri che ai senegalesi fanno niente e agli europei tutto. La notte dormii praticamente sul water del lussuoso bagno della lussuosa camera del lussuoso Hotel che ci ospitava. Ma non mi andò di lusso, fu anzi una nottata miserevole. Diarrea e febbre a quaranta. Resistetti fino alle sei. Alle prime luci del mattino africano chiamai il dirigente capo della delegazione italiana. Sto male, malissimo: intossicazione alimentare.

Mi dettero delle pasticche che non sortirono nemmeno un effetto placebo per i miei disturbi. La febbre permaneva, lasciandomi intontito. Alle undici avevamo un appuntamento con il Ministro dell'Agricoltura del Senegal per illustrare il progetto. Preoccupati telefonarono all'Ambasciata Italiana. Di lì a poco arrivò un medico. Era un uomo di colore, ma non senegalese, un magrebino, più chiaro di pelle: sempre scuro comunque, rispetto al colore bianco lenzuolo della mia carnagione che stava già virando al giallo verde. In francese mi chiese Qu avez-vous mangé? cosa avevo mangiato, glielo dissi, e Vous avez mal partout? se avevo dolore dappertutto. Risposi debolmente Oui. Gli feci vedere i farmaci già assunti. E lui, categorico: "Pas médicine italienne!".

Si va benino, pensai, meno male veniva dalla nostra Ambasciata...

Armeggiò tra i flaconi e le siringhe della sua valigetta da medico e in rapida successione mi sparò tre punture: una, ricordo ancora, assai dolorosa. Poi mi strinse la mano, gli dissi di ringraziare l'Ambasciatore, accettò dei francs cefa e si congedò.

Alle undici in punto, senza febbre, lucido e asciutto, parlavo con il Ministro, come se avessi dormito tra quattro guanciali la migliore delle notti africane. Chissà l'uomo della medicina cosa aveva messo in quelle punture! Tornai in Patria e andai di nuovo di corpo dopo venticinque giorni.

Corsi e ricorsi della storia, corsi e ricorsi alla toilette. Riposti questi ricordi, mi sono ricordato che era il compleanno dei figli e ho detto loro appena mi sono ripreso si fa una cena per festeggiare.

Volentieri, ha risposto uno ridendo, a base di purè.

Compralo che scade ora, si fa fra venti giorni, ha detto l'altro.

Era influenza, ho risposto, laconico.

Sono venuti su così, ironici e spiritosi, i miei figlioli, chissà da chi avranno preso. E questo penso sia un bene per loro. Lo spero, spero li salvi dalla tristezza e dallo Squaraus.

Marco Celati

Treggiaia, 3 febbraio 2016

"Dissipatio H.G." è un libro di Guido Morselli in cui si annuncia la scomparsa improvvisa e misteriosa del genere umano e in cui l'autore annuncia la propria tragica scomparsa. Rendo omaggio a questo autore che fu incompreso in vita e invece apprezzato e pubblicato postumo. Mi scuso per l'accostamento del titolo della sua opera a questo volgare e scabroso racconto. Chissà se però una spiegazione alla dissipazione della razza umana non sia da ricercarsi in uno Squaraus universale. L'unico sopravvissuto del romanzo, un aspirante suicida pentito, era un uomo lucido, misantropo e ironico, forse avrebbe apprezzato o forse commiserato. Del virus africano non mi ha parlato il medico, sono chiacchiere di paese, servite come espediente letterario. Nientemeno!

Marco Celati

Articoli dal Blog “Raccolte & Paesaggi” di Marco Celati