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sabato 15 marzo 2025

RACCOLTE & PAESAGGI — il Blog di Marco Celati

Marco Celati

MARCO CELATI vive e lavora in Valdera. Ama scrivere e dipingere e si definisce così: “Non sono un poeta, ma solo uno che scrive poesie. Non sono nemmeno uno scrittore, ma solo uno che scrive”.

Sogni & incubi

di Marco Celati - lunedì 10 marzo 2025 ore 08:00

Sto seduto al tavolo con la testa tra le mani. Chiudo gli occhi, penso che non va bene. Non so nemmeno io cosa non va, ma sento che non va. È difficile spiegare. Stanotte ho fatto un sogno, forse uno di quelli che vengono al mattino e accompagnano il risveglio e perciò si ricordano. Ero come su un isolotto galleggiante e mobile in un lago. Il vento e la corrente ci spostavano ora più al largo, ora verso riva. C’era questa casa di legno scuro invecchiato e corroso dal tempo e stavo sulla porta a guardare fuori, gli uccelli levarsi in volo, gli alberi piegati dalla folata, le nuvole fuggenti. Non ricordo colori, sembrava più in bianco e nero. E dentro, la casa era come un ripostiglio di cose stipate su scaffali per essere conservate e dimenticate. Sì, dimenticate, anche se forse questa non era l’intenzione iniziale, era comunque la condizione finale. Polvere ed oblio. Pensavo, adesso farò spazio, darò un ordine a tutto questo, getterò cose inutili, conserverò quelle importanti. Un giorno lo farò, invece di portarmi dietro tutto quanto. Intanto la piccola isola si muoveva e andava incontro ad un’altra con sopra un’altra casa simile alla mia. E, da lontano, vedevo una persona che mi somigliava ferma sulla porta, in attesa. Poi non so.

I sogni vogliono dire tutto, molto o niente. Sono invenzioni della mente, della coscienza riposta dentro noi. Elaborazioni del visto e del non visto. Immaginazioni. Forse quell’isola piccola e migrabonda nel lago sono io. E quel ripostiglio stipato è la mia testa che non funziona più tanto bene. Vuol suggerirmi questo il sogno? Chissà. Prendiamo poco sul serio la vita, che dovremmo fare dei sogni? Difficile dire della vita, con la morte è più facile, la commozione è assicurata. L’ha scritto una poetessa. Ma la testa è vero che non va, confonde il tempo e le cose, non riconosce più le persone, il volto, il nome, la loro storia. Ho paura di finire dentro il nulla, prima ancora del nulla. Deve essere terribile e non tanto per noi stessi, quanto per le persone che ci circondano. Quando noi ci siamo, non c’è la morte e quando c’è lei non ci siamo noi. Ma con il nulla non funziona il motto epicureo, perché continueremmo ad esserci. Il nostro peso graverà ancora sulla terra e la vita. Su quella degli altri. Spegnetemi prima con grazia, vi prego, se dovesse succedere. Avevo scritto “se succede”, ma ho corretto. Apprezzerete almeno la prudenza scongiurante della consecutio temporum e, soprattutto, l’uso del congiuntivo.

Gli antichi e saggi greci, ma anche i latini dicevano “conosci te stesso” e io, dopo tanti anni, credo di avere imparato a conoscere me stesso e ho capito alcune cose. La prima è che sono un cretino. La seconda che è sempre meglio un nemico sincero che un falso amico e lo dico su base sperimentale. E infine che non avrò mai la capacità di comprendere la teoria della relatività di Einstein, ma so che quando diceva che la differenza tra la stupidità e il genio è che il genio ha dei limiti, aveva ragione. Sempre che l’avesse detto, perché non se ne sa più una da qui a lì. Forse proprio perché tutto è relativo, se Dio vuole. Anche troppo. La verità fa sempre meno parte della realtà: sempre più vengono spacciate immagini per accadimenti, date cifre a caso, confuse le opinioni con le cose, negando ciò che è stato. Un conto è la relatività, un conto è la menzogna.

Non mi piace questo mondo, sento di non farne più parte. Trovo orribili gli eventi del tempo. Vedere la natura vendicarsi delle nostre offese senza porvi rimedio. Veder proseguire la guerra tra Palestina e Israele e perdersi la possibilità di due Stati per due Popoli e quell’osceno filmato su Gaza, resort di lusso: un incubo! Vedere la Russia, in qualche modo perfino giustificata, continuare ad aggredire l’Ucraina. Il Presidente Trump che offende il presidente Zelensky, ospite alla Casa Bianca, per imporgli una resa da chiamare pace -“ubi solitudinem faciunt, pacem appellant”- nell’interesse spartitorio di America e Russia. E siamo ai confini e sulle coste d’Europa, inconclusa e impotente. Non voglio un mondo così.

Sto seduto al tavolo con la testa tra le mani e sento che non va, che occorre fare qualcosa e non so cosa. Temo di non ricordarlo più. La ragione sragiona. Sento parlare di ragione di Stato, conoscevo quella dei Lumi, della mente, del sapere, per quel poco che so. Dello Stato, se è diversa da questa, anche no. Vaffanculo. E fanculo a Trump, a Musk, a Vance che aveva scritto “Elegia Americana” e credevo meglio, a Putin, ai fascisti e ai nazisti eterni che tornano, se tornano. Che brutto mondo stiamo lasciando all’intelligenza artificiale!

Dove stiamo andando non mi va. E so che non si può fermare il mondo per scendere, che non è come un giro di giostra, almeno lo fosse! Il mondo è inesorabile come la vita, ma dipende da noi. Non solo dai potenti che tracciano confini sulle carte geografiche. Però anche noi dipendiamo da questo e dovremmo volere altro. Un futuro che valga la pena. O anche soltanto una mano posarsi sul braccio e un poco sul cuore. Solo un poco. Un ritmo nuovo nello spazio. Non basta, lo so, e non ci consola, ma “così la brezza/ dice sui rami/ senza saperlo/ un’imprecisa cosa felice”. L’amore, malgrado noi.

Marco Celati

Pontedera, Marzo 2025

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P.S. La poetessa malcitata è Wislawa Szymborska. Alcune frasi e i versi virgolettati del finale, sono di Pessoa.

Marco Celati

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