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sabato 05 ottobre 2024

RACCOLTE & PAESAGGI — il Blog di Marco Celati

Marco Celati

MARCO CELATI vive e lavora in Valdera. Ama scrivere e dipingere e si definisce così: “Non sono un poeta, ma solo uno che scrive poesie. Non sono nemmeno uno scrittore, ma solo uno che scrive”.

Amarezza

di Marco Celati - mercoledì 11 settembre 2024 ore 08:00

Mostrati coraggioso e forte nelle situazioni avverse e ammaina sempre saggiamente le vele, gonfie per un vento troppo favorevole. Orazio mi pare scrivesse, più o meno, questo, ed erano versi. E ancora, duemila anni dopo, li ripete a noi che, in genere, facciamo esattamente l’opposto, affidandoci senza equilibrio alla fortuna ingannevole: c’impauriamo per ogni contrarietà, difficoltà o critica e ci lasciamo portare in giro, con il vento in poppa, dal successo o dall’adulazione. E invece chissà che non valiamo più di quello che si dice e meno di quello che si pensa. O forse sarà vero pure il contrario. Dipende. Sono solo sofismi, in fondo.

È che non me la cavo più -semmai con la mia arruffata memoria me la sia mai cavata- aggrappandomi a queste citazioni. Perché la memoria, proprio lei, e anche la tradizione, quando non negligenti, non sono il culto, l’adorazione o la salvaguardia delle ceneri, ma la conservazione e la trasmissione del fuoco. Lo disse, sempre più o meno, un musicista famoso. Il nome non me lo ricordo, ma chissenefrega! Alla fine sempre un’altra citazione è. La storia sono un mucchio di cose già successe. Mentre la verità è coperta da una cortina di menzogne e la vita non è che un paradiso di bugie, le tue, le mie… Roba da cinema e canzonette, da gatti fradici, altro che musicisti e poeti classici!

Sono tempi di conservazione e di regresso. Non ci resta che l’amore. E allora siamo fritti. Perduti. Quanto alla morte, lei non smetterà il suo lavoro inintermittente di rinnovamento dell’umanità. In fondo, oggi come oggi, ne è l’unica levatrice sicura. A volte uno si crede arrivato, ed è soltanto vecchio. E nemmeno tanto arrivato. O forse sì: questa è l’ultima età, la mia, che si consuma in un’estate torrida della Terra riarsa. Sono con voi nella notte, da qualche parte, di là dal mare. Chi c’è? Chi sei? Dove siete? Nessuna risposta.

Dunque c’era questa piantina. Non ricordo più se fosse un acquisto o un regalo. È tipico di me. L’avevo invasata con terriccio di discarica, spesso nei luoghi peggiori si trovano le cose migliori. Come per i semi che solo se marciscono danno frutto, o dal letame da cui, diversamente che dai diamanti, eccetera, eccetera: è nel Vangelo secondo Fabrizio. Fabrizio De André. E così questa piantina aveva messo altre foglioline e poi un fusto e ancora foglie, a portare fortuna, dice. Le davo acqua q.b. che bisognava non ristagnasse, era scritto in rete, dove c’era anche il suo nome. Suo della pianta. Ma, ovviamente, non so più quale fosse. Eppure avevo per lei un tocco leggero che neanche mi conoscevo.

E allora un giorno ci fu un’infiorescenza rigogliosa, improvvisa e imprevista. Rara, dicono. Forse la pianta voleva davvero portarmi fortuna. Dispensare felicità, addirittura! Intanto elargiva questi fiori biancastri che emanavano un profumo inebriante, stordente, appiccicoso come le foglie e i petali. Dolcissimo. Mi pare la portai al lavoro perché era lì che vivevo allora. Così stava con me, per l’ammirazione e l’invidia dei colleghi. Poi non so che è successo. Mi sono un po’ perso. La pianta dopo quella generosa fioritura, si è spenta, è appassita. Capita, ai viventi. Persino d’invecchiare. Per i più fortunati, non necessariamente i migliori. Forse è ancora là. È seccata, è stata dimenticata e buttata. Di noi resta poco alla fine.

Perché la fortuna è mutevole e nemmeno si sa cosa sia. È il caso, il destino? Dipende da noi? Chi sa. Fatto sta che credo di aver perso, semmai l’ho avuto, il mio tocco leggero sulle cose. E per cose intendevo res: tutto, del mondo animato e non. Da allora solo piante finte, Ikea flowers, petites flueurs de Maisons du Mond, cineserie. A loro modo appartenenti alla famiglia dei sempreverdi. Arredano casa e terrazzo e non hanno bisogno di niente, solo di scuoterle la polvere di dosso ogni tanto, lavarle nei casi più gravi. Non danno e non chiedono niente, non c’entrano con destini, fortune e felicità. Estetica pura, fredda come la luce di certe lampadine. A sceglierle bene fanno pure figura. I tempi in fondo sono questi. “Amaro e noia/ la vita, altro mai nulla”. E se ho perso il mio tocco leggero, quello che non sapevo né dimostravo di avere, a loro non importa un fico secco, anzi finto. Non ne hanno bisogno. Non hanno a che fare con la natura ed il tempo e mi sopravviveranno.

Marco Celati

Pontedera, Settembre 2024

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P.S. Tendiamo a confondere felicità e fortuna, che non sono la stessa cosa, nemmeno intese come piante. “La tradizione è custodire il fuoco, non adorare le ceneri”, lo disse Gustav Mahler, compositore e direttore d’orchestra austriaco. Per il resto, oltre ad Orazio, Vangelo, De André e Leopardi -nientemeno!- sragionando e mal citando, ho attinto a diverse suggestioni, televisive e cinematografiche che mi sono appuntato via via, ma non ricordo più quali. Tipico di me. Di mio c’è un ricordo travisato e il dipinto dal pianeta Amarezza.

Marco Celati

Articoli dal Blog “Raccolte & Paesaggi” di Marco Celati