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sabato 05 ottobre 2024

DISINCANTATO — il Blog di Adolfo Santoro

Adolfo Santoro

Vivo all’Elba ed ho lavorato per più di 40 anni come psichiatra; dal 1991 al 2017 sono stato primario e dirigente di secondo livello. Dal 2017 sono in pensione e ho continuato a ricevere persone in crisi alla ricerca della propria autenticità. Ho tenuto numerosi gruppi ed ho preso in carico individualmente e con la famiglia persone anche con problematiche psicosomatiche (cancro, malattie autoimmuni, allergie, cefalee, ipertensione arteriosa, fibromialgia) o con problematiche nevrotiche o psicotiche. Da anni ascolto le persone in crisi gratuitamente perché ritengo che c’è un limite all’avidità.

“Odiatori” e colpevolizzazione della vittima (“victim blaming”)

di Adolfo Santoro - sabato 02 settembre 2023 ore 09:00

Nei mesi scorsi a Piedimonte San Germano (provincia di Frosinone) un ragazzino veniva filmato mentre prendeva a calci con violenza un gatto: il video è finito su youtube. Il frusinate e dintorni già si erano distinti per atti di violenza gratuiti ed efferati; ai limiti della Ciociaria, Colleferro, Willy Monteiro Duarte era stato ucciso a calci da due fratelli, esperti in arti marziali e di credenze fasciste: i giudici, dopo l’ergastolo comminato in primo grado, hanno poi ridotto la pena a 24 anni. 

La spettacolarizzazione della violenza su youtube è continuata ad Anagni (provincia di Frosinone), dove due diciassettenni, durante una festa in un locale pubblico, tra le risa dei coetanei e delle loro famiglie, hanno prima messo su una carriola una capretta di pochi mesi (che si era avvicinata a loro perché abituata al contatto con l’uomo), poi l’hanno gettata da una finestra ed infine, mentre agonizzava, l’hanno uccisa a calci; una loro mamma è stata subito pronta a difenderli: “Quella bestia agonizzante. L’hanno solo finita!”. Le madri ed i padri (oltre che gli insegnanti delle scuole frequentate) di questi giovani odiatori della capretta sono oggettivamente e moralmente corresponsabili di questo comportamento: al di là delle condanne per maltrattamento di animali (reclusione da 3 a 18 mesi, multa tra 5.000 e 30.000 €) nei paesi “civili” un giudice prescriverebbe un ciclo di Terapia Familiare perché tutti si chiedano “dove abbiamo sbagliato?”.

L’odio per le vittime assume varie forme di negazionismo. Il ministro Piantedosi ha affermato: “Il naufragio di Cutro è colpa di genitori irresponsabili che fanno partire i figli”. Il ministro Lollobrigida ha affermato che per una sana alimentazione è consigliabile essere poveri, perché i poveri mangiano meno e meglio. Il compagno della premier, Giambruno, nella sua quotidiana comparsata televisiva, dopo aver negato il cambiamento climatico (“È luglio, ha sempre fatto caldo”) e aver invitato il ministro della Sanità tedesco in vacanza in Italia a rientrare in patria (“Se fa troppo caldo, stai a casa tua nella Foresta Nera”), ha preso posizione contro le donne che bevono alcool nei locali pubblici e si espongono così agli stupratori (in questo sostenuto dagli “odiatori” sul web di Palermo e dal giornalista Sallusti). 

Il generale Vannacci, ignorando i limiti posti dagli articoli 21 e 98 della Costituzione e lo spirito della Costituzione, dopo aver apostrofato gli omosessuali (“Cari omosessuali, normali non lo siete, fatevene una ragione”) ed aver invocato il diritto ad “uccidere il ceffo che lo aggredisce” con una matita infilata nella giugulare, si è paragonato a Giordano Bruno! Lo ha ovviamente sostenuto, tra gli altri, il noto “odiatore goliardico” Sgarbi. Secondo i dati ISTAT pubblicati quest’anno circa 1/3 degli italiani, quelli incapaci di empatia e solidarietà, è d’accordo con gli stereotipi secondo i quali una donna ha sempre una qualche responsabilità quando subisce violenza sessuale; e sono più d’accordo gli uomini, chi ha un livello d’istruzione medio-basso e gli anziani: si comprende bene a chi elettoralmente si rivolgono questi “odiatori a mezzo mass media”.

Tutti questi comportamenti hanno a che fare con il fenomeno del victim blaming, della colpevolizzazione della vittima, che consiste nel ritenere chi ha avuto qualche sventura colpevole di quanto gli è capitato, se non altro perché non ha tenuto conto del fatto che la natura umana sarebbe incline alla cattiveria, all’abuso e alla sopraffazione. In parole povere, il victim-blaming è quando qualcuno pontifica su come una persona vittima di un crimine avrebbe dovuto comportarsi per evitare di essere vittima del crimine oppure quando si insinua che la vittima possa essere in parte colpevole, ad esempio perché non è stata attenta oppure non ha ascoltato dei consigli. In questo modo l’enfasi è spostata dall’aggressore alla vittima: l’aggressore può essere “scagionato e giustificato” e la sua reputazione non è intaccata. 

La narrazione di una storia può, dunque, essere facilmente distorta se l’opinione è ristretta al particolare, mentre non può essere distorta se l’opinione si amplia e, come uno zoom, si riverbera continuamente tra il particolare e il contesto: l’onere della colpa viene scaricato sulla vittima, accusata di aver messo in atto comportamenti provocatori e quindi, indirettamente, criminogeni. Ad esempio, può essere giudicato “stupido” o “irresponsabile” chi passeggia indossando dei gioielli, chi dimentica la borsa, chi parcheggia l’automobile lasciandola aperta, chi parcheggia la bicicletta senza mettere la catena, la donna che si fida di chi poi l’abuserà.

Fu William Ryan che nel 1971 elaborò il concetto di victim blaming quando contrastò le teorie di chi riteneva i negri come colpevoli della loro povertà economica e del vivere nei ghetti; egli osservò anche che è molto più frequente che la vittima venga accusata “di essersela cercata” se appartiene a categorie sociali medio-basse o a un gruppo etnico discriminato oppure se ha un titolo di studio basso. Il concetto è stato ripreso in ambito legale, in particolare in difesa delle vittime di stupro accusate a loro volta di aver causato o favorito il crimine subito. 

Il victim blaming è pertanto una forma di riduzionismo che sopravvaluta la disposizione mentale della vittima e sottovaluta i fattori situazionali, indipendenti dal comportamento e dalla volontà della vittima. Secondo la psicologa sociale Melvin Lerner le persone tendono a credere all’esistenza di un “mondo giusto”, in cui il male ricadrebbe solo sui peccatori. Vi sono, cioè, forme più impalpabili di violenza, tra cui la violenza simbolica, sottolineata dal sociologo francese Pierre Bourdieu: è una violenza indiretta e nascosta che, inculcando strutture mentali arbitrarie e basate sulla paura, influisce sulle scelte e sulle preferenze di ognuno e si riflette silenziosamente sulla quotidianità.

La paura del victim-blaming può indurre la vittima a tacere quanto è accaduto per paura della gogna. Ad esempio, la cantante Madonna ha dichiarato di essere stata violentata a 19 anni poco dopo il suo arrivo a New York, ma di non avere fatto denuncia perché sarebbe stato “troppo umiliante”. Ma Madonna era giovane e, soprattutto, non era Franca Rame, che, dopo essere stata stuprata nel 1973 da cinque uomini, raccontò poi l’episodio in un monologo e descrisse la domanda “cretina” che molti le fecero: “Hai avuto piacere dalla situazione?”.

Quando le vittime sono di nuovo esposte al victim-blaming da parte di istituzioni polizia, medici, giudici) e, soprattutto, da parte dei giornali e del web, si parla di "vittimizzazione secondaria" (post-crime victimization): la diciannovenne stuprata a Palermo ha subito una valanga di giudizi, oltre che da Giambruno & co, su internet soprattutto da parte dei coetanei,. Nel 2015 Tiziana Cantone, a seguito della diffusione sul web da parte del partner di un video di un rapporto sessuale con lo stesso, si uccise. La parte retriva della stampa italiana si è resa famosa quando, nel 2017, nel corso della denuncia per stupro da parte di due studentesse americane contro due carabinieri fiorentini, argomentò che molto probabilmente le due studentesse avevano dichiarato il falso per incassare i soldi di una fantomatica assicurazione anti-stupro

In un processo spagnolo del 2018, cinque uomini sono stati processarti per avere rapito e violentato una diciottenne e avere filmato lo stupro vantandosene su Internet; gli avvocati della difesa hanno pubblicato fotogrammi del filmato che mostravano che la ragazza teneva gli occhi chiusi e non cercava di divincolarsi e, per dimostrare che non c’era stato nessun trauma, avevano pubblicato anche una foto presa da Facebook in cui la giovane sorrideva ad un’amica; questi avvocati hanno poi ritirato tali pubblicazioni di fronte alle manifestazioni di massa di solidarietà verso la ragazza. Nel 2021 il conduttore di Non è l’arena ha ripetutamente proposto una sempre più imbarazzante discussione sulla vicenda di Alberto Genovese (abusatore sessuale seriale), non interveniva quando il comportamento dell’abusatore era ridotto ad “esagerazione” e non distribuiva equamente la quantità di tempo riservata al contradditorio fra i difensori dell’aggressore e quelli delle vittime: i dati di ascolto richiedevano evidentemente questi comportamenti poco professionali.

Ma anche i giudici dei Tribunali non scherzano: nel 1999, in Italia, la Corte di Cassazione ha negato una violenza sessuale perché la ragazza-vittima indossava i jeans e, secondo il giudice, i jeans non possono essere sfilati senza la fattiva collaborazione di chi li porta. Nel 2008, dopo un abuso sessuale di una ragazza, che era in stato di ubriachezza, da parte di sette uomini, dopo una condanna in primo grado, la Corte d’Appello decise per l’assoluzione con formula piena perché era una ragazza con “atteggiamento ambivalente nei confronti del sesso”, che l’avrebbe condotta a scelte “da lei stessa non pacificamente condivise e vissute traumaticamente o contraddittoriamente e avrebbe giustificato i ragazzi nel “mal interpretare la sua disponibilità”… era un “soggetto femminile fragile, ma al tempo stesso tempo creativo, disinibito, capace di gestire la propria (bi)sessualità” … il suo comportamento nel corso della sera della violenza sessuale esprimeva “atteggiamenti particolarmente disinvolti … in un clima … goliardico (e) godereccio”; in riferimento soprattutto a questa sentenza la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo, ha pubblicamente condannato l’Italia, il 27 maggio 2021, per i messaggi di vittimizzazione secondaria, attraverso cui vengono veicolati pregiudizi sessisti sul ruolo femminile ed ha ritenuto le parole di tale sentenza “deplorevoli ed irrilevanti” (insomma, noi italiani “veri” ci facciamo sempre riconoscere!). 

Nel 2015, in Italia, una peruviana di 22 anni ha subito una violenza sessuale perpetrata da due conoscenti, condannati in primo grado; i giudici della Corte d’Appello non hanno ritenuto attendibile la donna perché “… in definitiva, non è possibile escludere” che sia stata proprio la ragazza ad organizzare la nottata “goliardica”. Nel 2018, in Irlanda, un ragazzo accusato di stupro è stato assolto perché la vittima indossava un perizoma. Nello stesso anno, in Italia, la Corte di Cassazione ha stabilito che, se la vittima di stupro ha volontariamente assunto bevande alcoliche, non si può aggiungere l’aggravante del ricorso a sostanze alcoliche e stupefacenti in un’accusa di stupro.

I crimini e le ingiustizie che, più di frequente, sono accompagnati dal victim blaming sono gli abusi sessuali e gli stupri, gli abusi emotivi, il bullismo, le violenze domestiche, le violenze etniche, l’isolamento e l’emarginazione della vittima.

L’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha formulato, nel 1985, la “dichiarazione dei principi basilari della giustizia per le vittime di reato e abuso di potere" (UN,1986; risoluzione annuale 40/34). L’Unione europea (decisione quadro 2001/220/GAI e Direttiva 2012/29/UE) ha richiesto a ciascuno Stato membro di prevedere nel proprio sistema giudiziario penale un ruolo effettivo e appropriato delle vittime; il Parlamento italiano ha ignorato tutto ciò.

Adolfo Santoro

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