Abbattere estremismi ed egoismi, se Dio vuole
di Alfredo De Girolamo e Enrico Catassi - mercoledì 03 maggio 2017 ore 11:04
Nell'Egitto del faraone al-Sisi, tra moschee e imam, chiese copte e patriarchi, litanie in greco, preghiere in latino e canti in arabo, Francesco ha pronunciato la sua pastorale alla politica: “Si assiste con sconcerto all'insorgere di populismi demagogici.” E nei quattro angoli della Terra a molti leader hanno fischiato le orecchie.
Non fa nomi e cognomi il papa gesuita ma l'indice è puntato: “ogni azione unilaterale che non avvii processi costruttivi e condivisi è in realtà un regalo ai fautori dei radicalismi e della violenza”. Nel mentre Francesco è in cattedra nell'Università islamica di al-Azhar, il segretario di stato americano Rex Tillerson a New York, al Palazzo di Vetro, avvisa il mondo: “Tutte le opzioni a future provocazioni – Nord coreane – sono ancora sul tavolo”. As-Salamu Aleikum. Che la pace sia con voi. Ripete in arabo il papa argentino durante i due giorni del suo viaggio egiziano: “Siamo tenuti a denunciare le violazioni contro la dignità umana e contro i diritti umani, a portare alla luce i tentativi di giustificare ogni forma di odio in nome della religione e a condannarli come falsificazione idolatrica”.
Replicando il concetto che viviamo giornalmente in una “guerra mondiale a pezzi”, ma che questo conflitto non è una guerra di civiltà, di religione: “La violenza, infatti, è la negazione di ogni autentica religiosità”. Francesco lavora diplomaticamente e instancabilmente nel tentativo di ricostruire una regione che oggi non esiste, il Medioriente è un habitat da dove fuggire. In tempi difficili, di smarrimento morale, di declino politico, di mistificazione della religione è importante parlare al cuore e alla testa della gente, senza distinzione di appartenenza religiosa, con spirito conciliativo e nel rispetto delle differenze: “Tre orientamenti fondamentali, se ben coniugati, possono aiutare il dialogo: il dovere dell’identità, il coraggio dell’alterità e la sincerità delle intenzioni.” Francesco spiana ogni dubbio sui rapporti tra islam e cristianità: “la religione non è un problema ma è parte della soluzione”.
Parallelismi storici, il 4 giugno del 2009 dallo stesso scranno Obama annunciava: “L’Islam non è parte del problema nella lotta all’estremismo violento, ma una componente importante nella promozione della pace”. Insorgeva la primavera araba, dopo le parole di Obama: “Abbiamo il potere di plasmare il mondo che cerchiamo”. Il movimento di cambiamento profetizzato dal primo presidente afroamericano falliva, sopraffatto dal conservatorismo, dal fondamentalismo, dalla radicalità della globalizzazione. In Medioriente l'onda della democrazia riformista obamiana si è infranta contro scogli culturali e sociali, politici e religiosi. Per poi proseguire il suo moto in profondità in attesa di tornare a galla: “La cooperazione è necessaria perché tutti i popoli possano avere giustizia e prosperità”.
Cooperazione ed educazione, la ricchezza della diversità tanto per il politico democratico quanto per la guida spirituale cattolica è la risposta alla misura del rifiuto dell'altro. Molte similitudini tra Obama e Francesco, ma nel pensiero e nell'apostolato del vescovo di Roma c'è maggiore consapevolezza del castigo populista: “Per prevenire i conflitti ed edificare la pace è fondamentale adoperarsi per rimuovere le situazioni di povertà e di sfruttamento”.
Pane e libertà le priorità di Francesco, l'evangelizzatore laico, il rivoluzionario contemplativo, il fervido pacifista: “l’unica alternativa alla civiltà dell’incontro è l’inciviltà dello scontro”. Un nuovo patto per abbattere l'estremismo e l'egoismo: Inshallah, se Dio vuole, direbbero gli arabi.
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Alfredo De Girolamo e Enrico Catassi